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I Sanniti e la damnatio memoriae

Tomba sannitica


Un popolo passato alla storia come rozzo e incivile e, invece, i nuovi studi rivelano il contrario

La damnatio memoriae, esercizio giuridico utilizzato ai tempi degli antichi romani, è una locuzione latina che si usa per la cancellazione, non sempre intenzionale, della memoria di periodi storici, persone o ideologie in quanto ritenuti negativi.
Questo esercizio è, ovviamente, praticato dai vincitori. Quando un popolo è perdente, anche la sua cultura lo è, viene dimenticato dalla storia.

Nei libri scolastici, spesso, quella popolazione e la sua cultura vengono a mala pena citate e presentate negativamente, irrise, demonizzate.

Qualche volta neanche compaiono nei libri scolastici. E questo è stato, almeno per ora, il destino dei Sanniti e della loro cultura, vittime della damnatio memoriae.

I Sanniti, senza paura di essere smentiti, sono stati gli unici a contrastare con efficacia l’egemonia romana nella penisola. Il loro periodo di massima rilevanza storica si sviluppa in un arco temporale compreso tra la fine del IV secolo a.C. e il termine delle Guerre Sannitiche, cioè nella prima decade del III secolo a.C..

Tra il 500 e il 290 a.C. vi fu l’Epopea Sannitica e prese forma il modello di governo federale, come unione di più comunità. Ma lo spirito e il profondo senso di libertà di questa gente continuarono anche dopo.

Solo dopo le fine delle Guerre Sociali, Roma con le sue legioni portò a termine l’operazione di ‘risanamento’, con la desertificazione del Sannio e la distruzione di ogni testimonianza della cultura dei Sanniti.

La storiografia antica, peraltro scaturita dallo stilus di personaggi non coevi alle vicende descritte come Tito Livio e Tacito, è stata spietata nei confronti dei Sanniti, valorizzati per la loro indole guerriera e il grande spirito di libertà, ma spesso definiti rozzi, ostili e sanguinari.

Su questo cliché ha continuato anche la storiografia moderna. Bisognerà attendere un italo-canadese, Edward Togo Salmon, e dopo di lui Adriano La Regina, tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 80, per avere una visione super partes e non filoromana.

Ma oggi la fase storiografica è molto propizia agli studi, specialmente quelli locali. Questo è valido sia per l’area italica sia per il resto del mondo romano. I progressi dell’archeologia – operazioni di scavi, ricognizioni di superfici, ritrovamento di manufatti e studi sulla loro circolazione – costituiscono il bagaglio degli strumenti degli storici veri.

Ovviamente i risultati raggiunti con questi strumenti spesso vanno in contrasto con le generalizzazioni e le affermazioni dogmatiche appartenenti alla vecchia storiografia. Per i Sanniti sta avvenendo proprio questo.

Un esempio ci proviene dagli scavi dell’area archeologica di Monte Vairano, un territorio montuoso che guarda il massiccio del Matese, a pochi chilometri dal capoluogo molisano di Campobasso, tra i comuni di Busso e Baranello.

L’artefice delle ricerche è il professor Gianfranco De Benedittis, archeologo sannita, coadiuvato dai suoi studenti dell’Università del Molise. Il docente ha illustrato i risultati ottenuti in una preziosa monografia: Gianfranco De Benedittis, Monte Vairano – Distruzione Oblio Rinascita. Banca Popolare delle Province Molisane, Campobasso 2018.

I lavori hanno permesso di far riaffiorare un sito risalente al IV secolo a.C., che ebbe il suo pieno sviluppo fino al VI secolo a.C., un’area di 50 ettari, circondata da mura, e di dimostrare due aspetti: l’elevato livello di vita dei Sanniti e la veemenza dell’antagonismo romano nei confronti del Sannio.

Lo studio dei materiali ritrovati – rovine gettate sul selciato delle strade e nelle cisterne d’acqua volutamente per impedire la viabilità e l’approvvigionamento idrico – ha consentito di datare la distruzione dell’abitato intorno all’88 a.C., quando Lucio Cornelio Silla, con le sue truppe penetrò, distrusse e desertificò il Sannio, preoccupandosi di cancellarne definitivamente gli abitanti e la sua storia.

Le cisterne e le strade scoperte sono però la testimonianza di una civiltà di elevato sviluppo. Il sistema di raccolta delle acque risulta davvero imponente, sia per la capacità delle cisterne, che per la caratteristica del canale di adduzione, delimitato e protetto da mura robuste poligonali alti due metri e larghi tre metri. La cisterna più grande è profonda tre metri e con una larghezza 7X9 metri.

Il dato raccolto sulla viabilità ha evidenziato come le strade di questo agglomerato fossero di gran lunga più larghe di quelle romane, che si possono osservare a Sepino o a Pompei.

Risulta sorprendente anche l’importante grado di sviluppo dell’attività commerciale raggiunto dai Sanniti, in contrasto sui giudizi negativi sull’economia sannita, espressa sia dalla storiografia antica che moderna.

Materiali provenienti da tutto il Mediterraneo – anfore vinarie di Rodi, anfore tunisine e marsigliesi, monete di città che si affacciano sull’Adriatico orientale – ci confermano il livello di civiltà raggiunto dai Sanniti.

D’altronde, negli approfondimenti di Adriano La Regina viene rimarcata la partecipazione di alcuni membri delle élite sannitiche alle lucrose attività commerciali intraprese nel Mediterraneo orientale dalla seconda metà del II sec a.C..

Tutto questo è stato ritrovato sotto due metri di terra e la città riportata alla luce può ancora riservarci sorprese rivoluzionarie, che potranno rendere giustizia al grande popolo sannita, ripristinando la verità storica.

Nonostante tutto, la damnatio memoriae continua ancora la sua opera, passando dallo stilo di un tempo alle sottili armi della burocrazia di oggi, che non vuole la lupa capitolina umiliata e incornata dal toro sannita, immagine proposta nel denario sannita in argento del Bellum Sociale.

Sulla civiltà dei Sanniti sicuramente lo storico E. T. Salmon rappresenta uno dei riferimenti più importanti. Abile descrittore della civiltà di questo popolo, si rifà alle documentazioni letterarie degli storiografi antichi e moderni, ma anche alle testimonianze rilasciate dalle ricerche archeologiche conosciute all’epoca della uscita del suo libro ‘Il Sannio e i Sanniti’.

Salmon descrive una popolazione che viveva principalmente di pastorizia, con un’agricoltura sussidiaria, abituata a vivere per vicus, con pochi agglomerati urbani di rilievo, abitatori di casali, centri rurali.

Dopo le Guerre Sannitiche quel territorio subì una feroce repressione, quindi, un’inevitabile trasformazione verso una cultura più urbanizzata.

L’opera di Salmon riflette le testimonianze archeologiche conosciute in quel periodo dell’uscita del volume e delle sue riedizioni, per cui i capitoli su arte, architettura e commercio vengono descritti con livelli di sviluppo non esaltanti. Ecco perché l’esperienza archeologica di Monte Vairano rappresenta un momento essenziale per la loro riscrittura.

Sul piano filosofico ci viene incontro la testimonianza di Cicerone che, nel ‘Cato Maior de senectute’, XII 39-41 racconta, tramite Nearco, dell’incontro tra l’Archita di Taranto, Platone e Caio Ponzio Sannita, si tratterebbe di Erennio, padre del comandante dell’esercito sannita che sconfisse i romani alle Forche Caudine.

Nell’incontro, che si svolse a Taranto, probabilmente si discusse dei pregi della vecchiaia e dell’applicazione di principi filosofici nella definizione di rapporti geometrici.
La partecipazione di Erennio a questi momenti culturali fu importante in quanto appresi e recepiti gli insegnamenti della scuola tarantina li riportò nel Sannio.

Elementi di cultura tarantina ritrovati a Pietrabbondante ci confermano dei legami esistenti tra le due popolazioni. La produzione sacrale del Sannio avrebbe un’unica origine nella tradizione pitagorica. Salmon, nella sua opera, è di tutt’altro avviso. Lo stesso si dice non convinto dei buoni livelli della cultura sannitica, ritenendo non attendibili le affermazioni di Nearco sulle doti intellettuali di Erennio.

La natura dell’organizzazione politico-costituzionale dei Sanniti è un altro capitolo meritevole di attenzione. Resta comunque di difficile soluzione per la povertà di documenti disponibili.

Gli studi consolidati hanno confermato che i Sanniti erano organizzati nella cosiddetta ‘lega sannitica’, fenomeno federativo di grande importanza sia per l’epoca di realizzazione, sia per la partecipazione di varie popolazioni. Anche per questo argomento l’opera di Salmon rappresenta la formulazione più completa, ma, dal 1967, prima edizione della sua opera, ad oggi, il panorama si è notevolmente arricchito, grazie alla ricerca archeologica ed epigrafica.

Il dibattito sulla questione politico-istituzionale si è infiammato tra la tesi di Salmon di una popolazione confederata in quattro stati, Staatenbund, corrispondenti alle quattro tribù sannitiche, Carricini, Pentri, Caudini e Irpini, e quella denominata ‘nazional unitaria’ di La Regina di una nazione Samnium, una ‘touta’, ovviamente con il tempo ridimensionata a cause delle guerre sannitiche.

Interessanti gli sviluppi in senso federale, Bundesstaat, sull’esistenza o meno di una sympoliteia e cioè l’esistenza di un cittadino federale, al contempo cittadino di quello stesso stato membro, rappresentato da semplici città o cantoni.

Il dibattito sull’assetto politico istituzionale dei Sanniti si sviluppa, fondamentalmente, su tre diverse concezioni dello Stato: Stato Confederale o Staatebund; Stato Nazional-Unitario o Touta; Stato Federale o Bundensstate.

Secondo la tradizione letteraria, tra il IV e il III secolo a.C., i Sanniti possedevano un’organizzazione federale, dove la questione se fosse una Confederazione o uno Stato Federale resta tuttora aperta.

Il modello politico-istituzionale, Federale o Confederale, dei Sanniti rappresenta un dibattito attuale, per esempio, tra il modello europeo degli Stati-Nazione e quella dell’Europa dei Popoli.

Un recente contributo storico e culturale sul mondo dei Sanniti vede ancora protagonista l’archeologo molisano Gianfranco De Benedittis nel suo libro ‘I Sanniti – Una storia negata’, dal titolo importante, che lascia già intendere il ‘taglio’ che l’autore ha voluto conferire al suo saggio.

Non più una visione romano-centrica delle vicende di questo grande popolo italico, ma una serena e, per certi versi, sorprendente presentazione di una civiltà che merita la sua giusta considerazione e non relegata ai margini della storia.

De Benedittis è un professore sempre pronto ad assumersi le sue responsabilità, mettendo nero su bianco dati scientifici messi in luce grazie all’aiuto degli studenti/archeologi dell’Università del Molise.

Alla luce di queste considerazioni, frutto di un’attenta rilettura della storiografia classica e di un’archeologia moderna, il Sannio e i Sanniti meritano un posto di rilievo nel dibattito storico, senza l’etichetta di perdenti e cancellando la damnatio memorie, ma è anche necessario, nella ricerca archeologica, un cambio di mentalità, abbandonando la visione proprietaria del patrimonio.

Musei, monumenti o territori non vanno considerati cosa propria; non servono fili spinati o muri; ben vengano collaborazioni e integrazioni disciplinari; le decisioni non siano unilateralmente su chi può lavorare e chi no, ignorando competenze e qualità, considerando amicizie e convenienze; non si possono dare concessioni degli scavi senza un confronto e una concertazione tra i contendenti; il patrimonio non va gestito con i principi della mercificazione.

Autore Fernando Luisi

Fernando Luisi, obtorto collo cittadino italiano. Laureato in medicina, diffonde la cultura del sud nel nord. Vicedirettore di Terronitv magazine.

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