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I Borbone… re imprenditori

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Reggia di Carditello


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La storiografia filo sabauda li ha dipinti come inetti e, invece, a differenza dei montanari piemontesi, erano illuminati e imprenditori

Alzi la mano chi a scuola non si sia fatto l’idea che i piemontesi abbiano liberato il Meridione d’Italia dalla tirannia borbonica!

Chi, invece, ha approfondito l’argomento si è reso conto delle indicibili corbellerie scritte nei libri di storia, dove i nostri ragazzi sono costretti ad apprendere una verità farlocca.

I Borbone sono stati descritti come rozzi, ignoranti e sanguinari, mentre, al contrario, avevano una gestione oculata dello Stato, tanto che la tassazione e il debito pubblico era ai minimi.

Si trattava dello ‘staterello’ più industrializzato della Penisola, parafrasando Metternich, che rappresenta una mera espressione geografica.

I Sovrani diedero addirittura vita a delle attività imprenditoriali, come il Reale Opificio di San Leucio, la cui seta era ricercata nel mondo, e dove vigeva una sorta di uno stato moderno, con istruzione e sanità obbligatoria per gli abitanti.

Il Real Sito di Carditello o Reggia di Carditello, nacque per volontà di Carlo III, nella piana di Capua, nel comune di San Tammaro (CE).

Appare come un complesso architettonico semplice ed elegante di stile neoclassico. Progettata da un allievo di Luigi Vanvitelli, Francesco Collecini, inizialmente fu destinata dal sovrano alla caccia e all’allevamento di equini, in particolare del ‘Cavallo Napolitano’, di cui ci siamo occupati in un precedente articolo.

Ancora oggi, vi troviamo la Razza Governativa di Persano, quella pregiata dei cavalli di Stato nati nel 1744 per volontà del Re Carlo di Borbone, frutto di un incrocio ben riuscito tra stalloni turchi e giumente del Regno di Napoli.

In seguito, Ferdinando IV convertì la tenuta in una fattoria per la coltivazione del grano e l’allevamento di razze pregiate di bovini ed equini, grazie anche al vasto territorio ricco di boschi, pascoli e terreni agricoli, che circondava il sito.

Carditello, oltre alla produzione delle messi, era il luogo ideale per il re e la sua corte per un ‘piacevole rifugio’ sia per le battute di caccia sia per la fitta foresta, che offriva un’adeguata privacy.

Negli anni venti del secolo scorso il sito fu smembrato; edifici ed arredi furono regalati all’opera nazionale combattenti, mentre i terreni vennero venduti a privati.

Dopo l’otto settembre 1943, la reggia o ciò che ne restava, fu occupata dalle truppe naziste, che implementarono il quartiere generale, danneggiandolo ancor di più.

Nel gennaio 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose la vendita all’asta del complesso monumentale denominato Real Sito di Carditello al prezzo base di 10 milioni di euro. Il Tribunale assegnò il diritto di prelazione al Comune, alla Provincia, alla Regione e al MiBAC; in due anni andarono deserte tutte le 13 aste.

Nel 2012, un comitato locale espresse il suo sostegno durante il censimento ‘Luoghi del Cuore’, portando la Reggia di Carditello ai primi posti della classifica, garantendole, così, un intervento da parte del FAI, Fondo Ambiente Italiano.

Dal 2011 al 2013 fu sorvegliata a titolo volontario da Tommaso Cestrone, che, più volte, aveva cercato di attirare l’attenzione della politica per il recupero del complesso architettonico nel quale trovò la morte, colto da infarto, la notte della vigilia di Natale del 2013.

Nel 2016 è stata costituita la Fondazione Real Sito di Carditello, con l’intento di preservare il luogo e recuperarne le funzioni storiche, a cominciare dall’artigianato, la grande tradizione delle seterie di San Leucio. Successivamente è stato stipulato il protocollo di intesa per la promozione e la cultura del cavallo sportivo italiano.

L’8 gennaio 2017 ha avuto luogo la riapertura della tenuta al pubblico. Vi si organizzano, con regolarità, varie manifestazioni culturali, eventi musicali, mostre, convegni, visite in mongolfiera e gare di Endurance Cavalli.

Tra le suggestive rievocazioni storiche merita una menzione a parte la Festa dell’Ascensione, che si tiene nel mese di giugno, tradizione che risale al 1792, nel segno delle incursioni teatrali e delle rievocazioni storiche, con esibizione di danzatrici in costume ed esposizione di abiti talari di epoca borbonica.

Visitarla è un piacere e si contribuisce al ricordo di un glorioso passato, che non deve e non può essere dimenticato.

La settimana prossima ci occuperemo, appunto, dell’altra perla imprenditoriale borbonica: San Leucio.

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Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.