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Hamšík, un enigma da sciogliere



Il suo connazionale Nedved, pallone d’oro nel 2003, lo ha definito il suo erede. In virtù della magistrale tecnica, dell’eleganza nei movimenti, della grande capacità di dettare i tempi di manovra e di inserirsi tra le linee, tanti lo hanno paragonato a centrocampisti di fama internazionale.

Ben otto anni trascorsi alle pendici del Vesuvio indossando la maglia azzurra, è ormai considerato una bandiera. Insieme al Pocho Lavezzi e al Matador Cavani, con i quali formava il temutissimo tridente soprannominato dei tre tenori, ha fatto la fortuna del tecnico livornese Mazzarri.

Molti pensavano che l’arrivo di Rafa Benitez avrebbe finalmente favorito, dopo stagioni di buon livello, il salto di qualità dello slovacco. Ma la consacrazione tanto attesa non è mai arrivata. Dopo un inizio di stagione non negativo, lo slovacco si è smarrito e l’infortunio, che lo ha tenuto lontano dal terreno di gioco da novembre a gennaio ha fatto il resto.

Dal 2 novembre 2013, data della gara casalinga vinta contro il Catania, non è andato più a rete. Ritornato dall’infortunio non è stato mai incisivo e il tecnico spagnolo, in più di un’occasione, non l’ha nemmeno schierato nell’undici titolare.

Dov’è finito l’Hamšík che a Torino firmò una splendida doppietta alla Signora, nella storia partita del 31 ottobre 2009 finita 2-3, in cui gli azzurri, allora guidati da Mazzarri, rimontarono due gol di svantaggio? Dov’è finito quell’Hamšík che a Fuorigrotta dribblò mezzo Milan, aprendo le marcature in Napoli-Milan dell’11 maggio 2008 finita 3-1,  in cui Lavezzi e Hamšík umiliarono lo spavaldo Milan di Kakà, Seedorf e Inzagli, negandogli l’accesso alla Champions League?

Certamente non si può vivere di soli ricordi. Fatta eccezione per qualche match, tra cui quelli sopra citati, lo slovacco non è mai stato decisivo nelle partite che contano, né in Europa né in Italia.

Tanto si è parlato dei motivi della crisi, dall’infortunio alle conseguenze psicologiche per la mancata qualificazione ai Mondiali della Slovacchia, di cui Hamšík è capitano, fino ad arrivare al cambio di modulo di Benitez. È evidente che nel nuovo Napoli targato Benitez gli attaccanti che si muovono sulla trequarti tolgono spazio allo slovacco, che è abituato a giocare in una posizione molto offensiva.

Qui non si discute la classe dello slovacco, più volte ribadita anche dal tecnico spagnolo che ultimamente ha allontanato le numerose voci di mercato, che ora lo vorrebbero a Milano ora a Manchester. Un campione, però, per essere tale, deve dimostrare continuità e rispondere alle critiche con grandi prestazioni, soprattutto nei big match. Questo è il salto di qualità che la calorosa ed esigente piazza partenopea chiede a Marechiaro.

La società sembra ormai arrivata a un bivio:  o si continua a credere in un calciatore, finora rimasto solo un potenziale campione, o si tesaurizza –gli estimatori dello slovacco, soprattutto in terra britannica, non mancano!– la cessione per rinforzare la mediana e la carente difesa.

Trecento match disputati in maglia azzurra fanno senza dubbio di Hamšík una bandiera partenopea, ma quanto tempo ancora la società e, soprattutto, la tifoseria saranno disposte ad attendere il campione?

Intanto lo slovacco per la finale di Coppa Italia contro la Fiorentina ha promesso che nel caso realizzi un gol taglierà la cresta. Napoli incrocia le dita, sperando che il suo campione mantenga la promessa.

 

Carmelo Cutolo

Autore Carmelo Cutolo

Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.

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