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Habemus Papam, di Nanni Moretti



Il Cinema in molti casi racconta la realtà, tante volte la trasfigura, ma spesso arriva a prevedere, magari involontariamente, ciò che davvero in futuro capiterà. Nessuno quando arrivò in sala ‘Habemus Papam’ avrebbe minimamente potuto immaginare che un giorno un Pontefice sarebbe arrivato a “dimettersi” dal suo incarico, eppure ogni spettatore si trovò costretto, guardando il film di Moretti, a riflettere su un’eventualità simile.

Tanto che quando nel febbraio del 2013 Joseph Ratzinger, divenuto Papa come Benedetto XVI , ha annunciato che avrebbe lasciato la guida della Chiesa Cattolica il pensiero di molte persone è andato alla vicenda raccontata nell’opera morettiana presentata al Festival di Cannes nel 2011.

Si è sempre detto che Nanni Moretti o lo si ama o lo si odia, ma questa regola cinematografica già dai tempi de ‘La Stanza del Figlio’ è vacillata per poi avere uno scossone deciso con ‘Il Caimano’.

L’uscita di ‘Habemus Papam’ confermò la tendenza dei due film precedenti, perché l’ego del regista romano non era più il punto cardine dei suoi racconti; la figura interpretata da Moretti diventa il contorno apparentemente dispersivo della storia del protagonista, un cardinale che eletto Papa in conclave non si immagina capace a ricoprire l’incarico di “guida della Chiesa” e sopratutto non riesce a vedere la sua esistenza “ingabbiata” in una funzione che lui reputa più grande di ciò che meriti.

Il palleggio narrativo tra le scene in Vaticano con lo psicanalista Moretti in convivenza forzata con i cardinali e le immagini del neo-Papa in giro per Roma destabilizzato mentalmente ed emotivamente dalla fresca elezione, ma momentaneamente sollevato e libero per la fuga improvvisa, delineano, con scrupolosità, la divisione intenzionale che il regista traccia per mescolare commedia e dramma senza che la leggerezza e il divertimento intacchino la riflessione e la compartecipazione nello stato d’animo del protagonista.

Una delle scelte più pregevoli e ovviamente rischiose in ‘Habemus Papam’ è l’umanizzazione della figura del Pontefice, il considerare e mostrare un evento come la sua elezione dalla parte di colui che, prima di tutto, è un uomo come tutti gli altri con paure, dubbi, acciacchi, desideri, ricordi, non dando per scontato che il trovarsi in una data posizione debba necessariamente significare accettarne le conseguenze a prescindere. E così come il Papa anche i cardinali, nonostante in una situazione di clausura forzata, vengono disegnati con profonda umanità, lontani da quel piedistallo che nella realtà purtroppo li fa essere così distanti dalla gente comune.

Scene memorabili che fanno Cinema sono quella in cui in Conclave, durante l’elezione, il regista dà voce ai pensieri di ognuno dei cardinali che prega di non essere il prescelto, in una citazione chissà quanto casuale di Wim Wenders che, ne ‘Il cielo sopra Berlino’ e ‘Così lontano così vicino’, mostrava i suoi angeli ascoltare i pensieri dei loro protetti sulla Terra; quella in cui il neo-Papa urla disperato dopo che al balcone di Piazza San Pietro è stata annunciata la sua elezione; la scena in cui lo stesso protagonista recita Cechov in un albergo scambiandosi le battute de ‘Il Gabbiano’ con un attore teatrale uscito di senno; e poi quando i cardinali giocano a pallavolo in un cortile vaticano, prima accanendosi perché non vogliono assolutamente perdere, poi muovendosi con grazia, così come quando spontaneamente iniziano a danzare sulle note di Todo Cambia di Mercedes Sousa.

Il film non è una presa di posizione contro il Vaticano o le gerarchie ecclesiastiche, né tantomeno contro la religione cattolica; è la storia di una persona che, improvvisamente, si sente turbata dal cambiamento di vita che l’attende.

Ad interpretare il protagonista in modo magistrale è quel mostro di bravura di Michel Piccoli, circondato da numerosi ed eccellenti caratteristi del Cinema italiano, Renato Scarpa, Dario Cantarelli, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile e con il valore aggiunto del ruolo simbolico che Nanni Moretti ritaglia per se stesso come coscienza analitica e razionale da contrapporre alla fede, ma non certo per deriderla o banalizzarla.

Luis Bunuel diceva “grazie a Dio ci sono gli atei e nessuno spiega le Scritture meglio di loro”, Moretti, da ateo, ha provato con originalità e rispetto a raccontare la vicenda emotiva di un uomo di fede anticipando, con ironica preveggenza, ciò che due anni dopo è successo, seppure in condizioni differenti, a Benedetto XVI.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.

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