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Giustizia per Spike



La manifestazione di protesta del M.E.T.A.

Spike era “solo” un cane. Il 6 luglio 2014 è stato torturato e bruciato vivo al rione Toiano di Pozzuoli. Secondo il volantino distribuito dai manifestanti la sua colpa è stata solamente quella di essersi accoppiato con la cagnetta del suo presunto “assassino”. La famiglia di Spike, due pensionati di Arco Felice, si è costituita parte civile.

Oggi presso il Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale di Napoli inizia il processo a colui che è stato individuato dai Carabinieri di Pozzuoli come presunto autore dei fatti, quello che il M.E.T.A., Movimento Etico Tutela Animali e Ambiente, definisce come “mostro” nello stesso volantino.

Gli attivisti si sono mobilitati, in modo semplice, composto, pacato. Uno striscione all’ingresso del Tribunale, una serie di foglietti in cui si ribadisce, con toni forti, la richiesta di giustizia.

Anche se in un contesto storico e sociale difficile come quello attuale può sembrare “esagerata” un’iniziativa del genere, la troviamo importante.

Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono tante persone che attendono giustizia, tante vittime “umane” di violenze inaudite.

Vero.

Nessuno si sognerebbe mai di negarlo o di sostenere che sia più importante la storia di quello che in fondo era “solo” un cane.

Ma la civiltà passa anche attraverso la ribellione ad atti di violenza come quelli subiti da Spike. Le dinamiche di assuefazione alla barbarie sono subdole ed inesorabili; la soglia di sopportazione è destinata ad alzarsi poco alla volta, fino a rendere tollerabili atti sempre più estremi.

Per cui, giusto indignarsi anche per un cane.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.

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