Il Dialogo Misterico tra de Chirico e Poussin, attraverso le loro opere ed i loro autoritratti… punti di connessione attraverso la “curvatura” del Tempo… laddove il Lemniscus dell’Infinito incrocia con se stesso.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi – L’Infinito
Una statua di cera… sì proprio una statua, riproducente le sue realistiche fattezze da rubicondo signore “barocco”… in cera policroma, atta ad imitarne il colorito, come quelle che sembrano fatte di vera carne del Museo delle Cere di Madame Tussauds, più volte visitate anche da lui, sia a Parigi che a Roma… anche se mi rendo conto che, già l’accennare al termine “realismo” sarebbe stato accolto dallo stesso de Chirico con un certo fastidio ed ancor di più se si fosse usato il termine “iperrealista” oggi molto in voga nel linguaggio delle Arti Visive.
L’uomo del ritorno alla Pictura Optima, infatti, aborriva l’avvento nell’uso comune dei neologismi a prescindere… oh pardon “a prescindere” è un’altra parola vista con gran sospetto dal Grande Ermeneuta, Ermenauta e Grande Metafisico.
Dunque penso… ad una statua di cera, che lo ritragga, mentre tranquillamente assorto nei suoi pensieri, fuma la sua pipa, intento ad osservare uno dei meravigliosi tramonti romani, gli stessi riprodotti tante volte nei suoi dipinti e da lui stesso intitolati “paesaggi romantici” con tanto di cavalieri in groppa a destrieri rampanti… opere contestatissime da una “critica velenosa” che li considerava come un tradimento, un’abiura della Pittura Metafisica da lui stesso prodotta.
Affacciato, dunque, sulla terrazza della sua grande casa romana di Piazza di Spagna. Ma, forse… ora che ci penso e ci rifletto meglio… il Sole ma, non quello “elettrico” messo nella sua stanza – studio o il suo “atelier” se si preferisce, a ricaricarsi sul cavalletto, come nelle sue opere metafisiche, bensì… quello vero, reale che, si infiamma in un crescendo di calore nelle mattinate fino ai “meriggi” estivi, potrebbe certamente sciogliere, liquefare la morbida cera, così come fece già con le ali di Icaro… in uno di quei miti dell’Alma Greca da lui stesso tanto amata…
Allora? Meglio realizzarla in bronzo, come si addice ad un’Erma… e, de Chirico, ermetico lo era davvero. E non solo! Perché uno degli aspetti più trascurati proprio da quel tipo di “critica” prima citata… ideologica e militante è proprio la grande capacità di de Chirico di essere il più grande “Disambientatore” della Pittura di tutti i tempi.
Egli porta nelle sue “stanze” ciò che fuori vive compreso la Storia e la Memoria, rinchiudendo il tutto come in una scatola, tra le quattro pareti, il soffitto ed il pavimento dall’assito prospettico… tutto è ermetizzato come in una sorta di “souvenir alieno” e sposta, invece, in una sua “Valle della Memoria” persino i mobili, gli arredi “borghesi” dei salotti romani, frequentati insieme ad Isabella Far, moglie, ispiratrice inseparabile, compagna ideale, nella sua esistenza proiettata al “filosofale”.
Egli fa spazio al Sole, alle lune nere che, rappresentano il “non visto”… il non visibile astronomico, ai gladiatori che combattono non nell’arena ma nel suo studio, agli ingegneri e geometri silenziosi, agli archeologi, alle estranianti “muse”… inquietanti sui palchi lignei dimenticati o ancora da smontare dopo le feste o le parate chiassose di “regime” nelle Piazze d’Italia e di Ferrara in particolare… mentre i morbidi ed accoglienti “sofà” lo attendono nelle ampie distese assolate per accoglierlo nelle sue riflessioni introspettive.
Ha saputo resistere come un “bastione” di roccia al “direzionismo” culturale dell’Intellighenzia paludata del “Novecento”, preservando la sua originaria ironia monellesca da fanciullo greco, la sua creatività idealista, rimescolata alla cultura filosofica mitteleuropea, la sua “atarassia” il suo distacco dalle “beghe” del mondo e dalla vuota mondanità.
Nel suo “non partecipare” all’andamento ideologico della Cultura e della Società… è stato il più attento difensore di quel “Buono” che pur non essendo “Nuovo” è invece perenne nella sua valida e comprovata certezza… che, da conquistare ogni volta, è quindi un’avanguardia sempre da raggiungere, per svelare gli enigmi dell’esistenza.
Chi ha creduto di essergli avanti non si è reso conto che egli sembra essere alle spalle…ma, in realtà, è soltanto per la semplice ragione che ha completato il “giro” prima degli altri, così velocemente da “curvare” Tempo e Spazio… de Chirico arriva nelle sue piazze deserte, non perché tutti sono andati via ma, solamente perché non sono ancora arrivati. Lui è arrivato per primo e… tutti sono da un’altra parte… è L’Enigma dell’ora… del Tempo segnato da un orologio senza lancette nel quadrante.
Come nasce l’idea della statua per eternare nella sua terrazza il “Pictor Optimus”… forse per esaudire in continuità con il suo pensiero, con un ultima effige tridimensionale stavolta, la presenza di un Erma, atta a contrassegnare nel tempo la presenza nell’Arte di una Dimensione Metafisica e del suo più grande “officiante”?
O sarà per la quantità enorme degli autoritratti eseguiti dallo stesso, superando di gran lunga nel numero, circa 130, il “record” fino ad allora imbattuto di Rembrandt che se ne dipinse, se ne disegnò e se ne incise ad acquaforte “appena” 82 o giù di lì?
Narcisismo? Voglia di primeggiare? Una profonda ed insistente analisi introspettiva, attraverso i segni del tempo inesorabile sui propri lineamenti? L’indagine nel proprio sguardo, nella propria anima alla ricerca di una fermezza o viceversa di una mutevolezza?
Un gioco, quindi un esercizio “ludico” praticato indossando costumi variopinti…impersonificazioni atte a percepire Sentimento e Cultura… come un cibo o una “panacea” della propria mente?
È una particolare “tela” in realtà, il motivo che ci ha incuriositi ed è il perché del nostro tornare ancora una volta a parlare di lui… che poi, certamente non sarà l’ultima… quindi non è solo lo strumento pittorico dell’autoritratto che a volte sembra pur essere un soggetto dominante… “in sé” come altre tematiche… pilastri portanti della sua produzione artistica… ma sono da considerare con estrema attenzione anche codesti piccoli “vezzi”…contrappunti… “coriandoli” di una “giocosa” e particolare creatività che, si trova nella composizione di singole opere di media dimensione, considerate troppo spesso “minori”…sempre da quei soliti biografi “astiosi”, i quali, affermando di ignorare e… detestare de Chirico, in realtà non gli hanno mai tolto gli occhi di dosso, interessati a vedere appunto dove volesse andare a parare… e quindi ammettendo e riconoscendogli, a denti stretti, la sua grande capacità intuitiva e la visione profonda, magistrale da vero Genio dell’Arte.
Se parliamo degli autoritratti, infatti, egli riesce a fare di questo “genere” un caposaldo della sua “rentrée” nella Tradizione, nella quale egli stesso si colloca, autonomamente, tra i Grandi. Non attende il riconoscimento dei “saccenti” ma si “incorona” da solo come un “Napoleone dell’Arte”.
Tradizione dalla quale egli ritiene di non esserne mai uscito se non per particolari “sortite” e dalle quali semmai, porta in dono la sua “Avanguardia Metafisica”.
Cosa ha a che fare tutto questo con gli argomenti annunciati nel prologo?
Forse perché, particolari figure e concetti eterni, sembrano rimbalzare ed incontrarsi come su di un “piano livellato”, in quei frangenti favorevoli della Storia e della Cultura, in quelle “numinose” aperture che, permettono l’ingresso nella Dimensione Arcana che, si muove parallelamente alla nostra realtà… ed appunto può essere percepita dagli animi particolarmente “illuminati” e sensibili… ed in teoria tutti potrebbero esserlo… nella pratica, invece, alcuni, solo alcuni di quelli che scelgono tra le tante strade, quella che porta fuori dalla cronaca dei giorni e si stanzia nel tempo non misurabile… quindi eterno, riescono. Poch,i dunque, che, come de Chirico, hanno saputo abbandonare l’Ombra degli stereotipi per ricongiungersi alla Luce degli Archetipi.
Il senso del nostro indagare non è tutto in quella ancora aperta parentesi, bensì si concentra in quell’incipit che apre, ricco di promesse, tutto il nostro discorso… “Ego quoque in Arcadia vixi”!
A chi, infine, si sta rivolgendo de Chirico mentre dipinge quest’opera?
Ne parliamo al presente perché a tener vivo e presente ogni fenomeno nella Memoria è sempre il Mistero che li circonda… e nell’opera di ri-velazione egli è il nostro più esperto “Jerofante”.
Non si riferisce a Rembrandt, di cui ha superato il numero degli autoritratti, artista comunque da lui ammirato, insieme a Rubens ed altri importanti seicentisti e che penetra al pari di un più “carnale” Caravaggio “nordico” la cruda realtà… bensì, a chi, rivolto all’ideale del Mondo Classico, come lui ne indica i dettami… Nicolas Poussin.
de Chirico gli risponde, connettendosi in una sorta di “Dialogo Misterico” con l’Arcadia ed il pensiero del Maestro bretone, inserendosi come in una “full immersion” nelle atmosfere assolate di quella Dimensione mitica… affermando nel dipinto che prendiamo in esame:
Tutto ciò che si presenta alla nostra vista non è affatto una banale “natura morta”… bensì… “silente” e … posso dirlo perché… anch’io ho vissuto in Arcadia!
Autoritratti che si parlano tra loro… attraverso il Mito e… soprattutto attraverso il Tempo. Ambedue si ritraggono guardando lo spettatore e tenendo un libro “chiuso” tra le mani con sullo sfondo, testimonianze e ricordi del Mondo Classico… con scritte, motti estratti dalla Saggezza Antica, trasportate nei loro giorni.
È chiaro l’invito che però sembra un monito, dei due “accigliati Artisti”; dai loro volti appunto traspare la “Melancolia” che ogni Età Dorata consegna alla “crudezza” di ogni contemporaneità ancora in corso o al di là da venire… un “dono” amaro per gli uomini che, vivono disperatamente cercando di… esistere!
Artisti pensosi… filosoficamente… antroposofica-mente pensosi… si presentano con i loro precisi connotati e dialogano attraverso il Tempo, in quella “camera di compensazione” chiamata Arcadia… e de Chirico risponde ai ‘Pastori’ di Poussin con una delle sue “nature silenti” dichiarando in calce, anche la sua presenza mentale, animica, spirituale in quel mondo mitico, fatto di “Essenze” che possono essere percepite solo con le “Assenze” dal mondo materialistico, traumatico e traumatizzato, sia ai tempi di Poussin dalle tragedie e dagli intrighi politici e dinastici e per Giorgio de Chirico da ben due catastrofiche Guerre Mondiali.
Nato il 10 Luglio del 1888… e questa sfilza di 8 sembrerebbe già consegnarlo come in un segno “cabalistico” del Destino ad una successione di simboli dell’Infinito, come quelli che si dipartono appunto nella visione e nella lettura delle sue opere così ricche di significati reconditi… soluzioni simboliche “Arcane”… oseremmo dire metafisiche?
de Chirico vive, quindi, attraversando due guerre tremende mentre altre ancora, localizzate ma non meno efferate, ne scoppieranno nel mondo durante il resto della sua esistenza, vissuta prima ramingo per l’Europa e poi in gran parte nel suo studio… esistenza solo all’apparenza tranquilla ma in realtà vissuta “covando” per reazione un senso d’alienazione così “sublimata” da elevare ad Arte ogni segno calligrafico pittorico o letterario… in ogni immagine che realizza nel suo “immaginario quotidiano”.
Lo “scorcio” dipinto, che si apre in un golfo dal cielo azzurro dell’Arcadia, attraversato soltanto da un accenno di nuvole, dal titolo appunto ‘Ego quoque in Arcadia vixi’ è un’opera semplicissima all’apparenza, eseguita ad olio su tavola di cm. 46×31,1 forse del 1923.
Parliamone… dunque… di questo “scorcio” all’apparenza così “silente” ma, che in realtà, ad un’analisi più attenta, sembra voler comunicare tante altre “cose” a chi lo ha preceduto nel tempo ed a noi posteri… ma così ancora vicini al suo tempo, e che dovremmo testimoniarne il valore per arricchire il nostro futuro.
I colori son quelli… le tonalità dei ‘Pastori‘ di Poussin sembrano ispirare anche de Chirico nel riprodurre un angolo d’Arcadia che potrebbe inserirsi tranquillamente nell’opera seicentesca. Un angolo di “cose” dimenticate o messe lì momentaneamente da quei personaggi tutti intenti a fare altro, invece che svolgere il loro lavoro con le greggi o armenti.
de Chirico sembra dire:
Anch’io sono qui e ne colgo la “natura silente”… e l’uomo poi, come spesso accade nella mia opera si intuisce da un’ombra o da una statua solitaria o da un oggetto dimenticato o riposto… non ha bisogno come in questo caso di esibire la sua presenza, perché sono presenti i suoi sensi, attraverso il cibo che lo alimenta, i rigogliosi frutti della natura che esprimono sia la dolcezza che l’asprezza… ed appesa ai rami frondosi, la zucca vuota… la “borraccia” usata dai pastori o dai pellegrini, con l’acqua pronta a dissetare, a lenir l’arsura… a spegnere quella sete che non è soltanto fisica ma sintomo del desiderio di Conoscenza… nel rinfrancarsi per poter andare ancora avanti.
E… quel volo libero di uccelli? Che altro può essere, oltre a quello che potrebbero pensare i “critici malevoli” pronti sempre a denunciare un aspetto o un effetto “lezioso”, se non l’espressione di un senso di libertà assoluta, una liberazione dalla condizione umana, finalmente premiata con la concessione di un angolo di paradisiaca tranquillità.
Sì… dice de Chirico a Poussin… ci sono anch’io… ho attraversato anch’io il “portale” che dà l’accesso ad un’altra Dimensione… a quell’Universo parallelo che esiste nei recessi profondi dell’animo umano e che solo attraverso la giusta e perfetta combinazione dei dati che l’Arte ci offre può essere non solo percepito ma, addirittura vissuto attraverso la “sublimazione” dei Sensi.
Chi, come questi Artisti arrivi a codesto grado di Conoscenza dei Fenomeni può fluttuare cullandosi nell’Eidesi e fare di ogni idea, “platonianamente”, un modello delle “cose” e… certo non può essere in linea con le espressioni di un’Arte di chi rinuncia persino alla definizione di Artista ritenendola superata dalla Storia… ritagliandosi addosso il titolo di “operatore” e accontentandosi di “scaricare” nel mondo le proprie “macerie” con atto autonomo in un malinteso senso di Libertà… una presunzione questa che, pone l’incompletezza umana al di sopra dei Valori che necessitano al mondo, invece di tentare di completarsi nella “Missione”… del “servizio” per lo stesso… cercando un’Armonia Totale con l’Essenza.
Questi Artisti “costruiscono” l’Opera attraverso metodologie “Auree”… geometrie sublimi che calcolano ogni passo necessario all’umano per ascendere al Sublime e non per rigettarlo in terra per un’ennesima espiazione. Quest’Arte così vera… sembrerebbe “atarassica” ma, invece, essa cerca di emendare il Dolore del Mondo, offrendogli un’altra visione; quella che, spogliata dalla materia, si fa eterea, impalpabile, arcadica… cioè da vivere nell’Arca di Luce.
Gli Artisti si parlano, lo fanno sempre, attraverso le loro opere… dialoghi misterici e spesso misteriosi, scambiandosi lezioni di Arte e di Vita, confronti ideali, scontri ideologici, spesso anche attraverso “piccolezze” umane… ma gli Artisti Grandi, portano la loro comunicazione… la loro “Koìne” ad un livello così alto da risultare incomprensibile ai più, come la lingua degli Angeli… soprattutto a chi è occupato perennemente ad organizzarsi eccessivi tornaconti, dimenandosi nella materia a discapito della spiritualità.
Certo… un Francesco d’Assisi, esperto nel linguaggio degli uccelli, non avrebbe avuto nessuna difficoltà a percepire il significato di quel volo cinguettante in un’opera dichiarante… ‘Ego quoque in Arcadia vixi’… ed avrebbe accolto in un abbraccio da “Perfetto” sia Nicolas Poussin che Giorgio de Chirico… come fratelli.
Beh… lo vedo fumare tranquillo… ma non la statua… proprio lui, imperturbabile ed etereo, mentre si affaccia al tramonto dalla sua terrazza di Piazza di Spagna…
Autore Vincenzo Cacace
Vincenzo Cacace, diplomato all'Istituto d'Arte di Torre del Greco (NA) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato allievo di Bresciani, Brancaccio, Barisani, ricevendo giudizi positivi ed apprezzamenti anche dal Maestro Aligi Sassu. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1964, esponendo in innumerevoli mostre e collettive in Italia e all'estero, insieme a Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ugo Attardi, e vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali. Da segnalare esposizioni di libellule LTD San Matteo - California (USA), cinquanta artisti Surrealisti e Visionari, Anges Exquis - Etre Ange Etrange - Surrealism magic realist in Francia, Germania e Italia.
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