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Gianfranco Caliendo: ‘Musica nell’anima e ricomincio dalla mia storia’

Gianfranco Caliendo


Intervista all’ex frontman de ‘Il Giardino dei Semplici’ che si racconta attraverso la sua autobiografia ‘Memorie di un Capellone’

Lo capisci dopo poche parole che la musica è la sua vera anima. Ne è rapito, innamorato. La avverti nella sua voce mai doma, in quel sussurrare e, di colpo, elevarsi al cielo e poi, come un improvviso fulmine, ricaderti addosso.

Avverti i brividi di un passato intenso, di un uomo che è appartenuto a tante generazioni, di un artista che ha vissuto sul palco, che ha incontrato tanti sguardi e ha abbracciato tante persone con la sua voce autentica.

Un artista che non ha mai smesso di sognare e che continua a farlo inventando nuovi giorni, sfidando ancora il palco e quel mestiere che è più di una maschera da indossare quando imbracci la chitarra.

Gianfranco Caliendo è stato il frontman, la voce principale, chitarrista e autore de Il Giardino dei Semplici dal 1974 al 2012. Con Il Giardino: 38 anni di carriera; 4 milioni di copie vendute; 2000 concerti; 14 album pubblicati; 1 Festival di Sanremo e 3 Festivalbar; senza contare le partecipazioni a trasmissioni televisive in Rai e in Mediaset.

Solo dopo è divenuto solista, pubblicando nuovi dischi e facendo tour prima che la pandemia bloccasse il grande circo degli eventi. Un musicista che ha collaborato con autori come Totò Savio, Claudio Cavallaro, Paolo Limiti, Luigi Albertelli fino ad arrivare a Gigi D’Alessio. Uno che ha conosciuto la bellezza dell’arte musicale e la passione travolgente di questo mestiere che può anche dannarti per davvero.

Lo incontriamo per una intervista che vuole essere una testimonianza che non ha nulla a che vedere con la nostalgia di chi non ha mai smesso di guardare il mondo come se fosse rimasto tutto intatto da un giorno indefinito del passato. Nulla di tutto ciò. La sua voglia di raccontarsi e di testimoniare, per l’appunto, è un ponte verso il futuro, verso ciò che si attende per un uomo che ha imparato tanto dalla vita e che vuole lasciare anche agli altri un po’ di sé e della sua esperienza. Magari cantando ancora, magari facendo sognare ancora.

L’occasione ci è data per il lancio sul mercato della sua autobiografia, ‘Memorie di un capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70’, edita da Francesco Coniglio per la Iacobelli Editore, con la prefazione di Giorgio Verdelli, nata grazie anche a Tiziano il figlio che ha supervisionato tutto il materiale, a cui seguiranno un nuovo singolo, un nuovo videoclip e un nuovo album stavolta in compagnia di un altro gruppo, la Miele Band, dal titolo della storica canzone che fu presentata al Festival di Sanremo nel 1977.

Ciao Gianfranco, di solito si comincia dal passato, ma con te vorrei fare al contrario, partendo da quelli che sono i prossimi progetti. Cosa ci dobbiamo aspettare oggi e domani dal maestro Caliendo? Stai per lanciare sul mercato un’autobiografia, ‘Memorie di un capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70’. Cosa hai voluto raccontare e cosa hanno rappresentato per te e per la musica quegli anni?

Ho in cantiere almeno due cose importanti. Un’autobiografia e un album che, speriamo a breve, verrà lanciato da un singolo, che è già pronto, stiamo aspettando il momento più propizio per presentarlo senza subire grandi limitazioni. Così come il libro, ma visto il momento non mi andava l’idea di bruciare questi progetti che sono nati con grande amore. Il disco è importante per me, perché, per la prima volta, dopo tanti anni torno ad esibirmi con una band che non si limiterà a suonare ma canterà anche con me.

Il libro si chiama ‘Memorie di un capellone’. Del resto, io capellone lo sono ancora anche se ho una chioma meno folta rispetto al passato. Il titolo è un omaggio simbolico agli anni Settanta, che hanno visto una rinascita culturale che è stata successiva a quella economica degli anni Sessanta. Una corrente naturale che non era pilotata da nessun partito ma era assolutamente spontanea. Erano tempi di importante ricerca anche interiore, da lì sono nati grandi autori in Italia e non solo.

A proposito del passato, è recentissima la triste notizia della scomparsa della straordinaria Raffaella Carrà. Un pensiero per lei.

Sì, purtroppo. Con la grande Raffaella ho condiviso un Festival di Sanremo nel quale cantava mia figlia Giada. È stata gentile e prodiga di consigli con lei che, all’epoca, aveva solo quindici anni. Ebbe un atteggiamento materno.

Quel festival per noi fu fortunatissimo, fu visto molto nei Paesi dell’America Latina, in quelle terre era un’icona. Il pezzo ‘Turuturu’ fu seguito ed ebbe un forte successo soprattutto in Brasile a tal punto che divenne una hit incisa anche da star locali. Vendette quasi un milione di copie. Con la scomparsa di Raffaella il mondo dello spettacolo perde moltissimo.

Oggi per te la musica cosa rappresenta?

Ci sono grandi differenze rispetto al passato. Noi, all’epoca, facevamo musica con passione e con amore. Non si pensava ad altro. Per la musica ho lasciato un impiego al Banco di Napoli. Avevo diciotto anni e nessuna garanzia che sarebbe andata bene. Anzi. Sono stato favorito dalla sorte, ma ci ho creduto sempre.

Nel libro lo scrivo: ci sono state cose andate bene ma anche alcune ombre e difficoltà che non sono state facili da affrontare. Sono stato sempre diretto nella mia vita. Nel volume non c’è nulla di fantasioso ma è tutto reale. Spero sia utile soprattutto per i giovani, che li possa spronare a migliorarsi e ad essere molto professionali.

A proposito di giovani, che ne pensi di tutti questi talent-show?

Io sono sincero: i talent-show hanno abbassato il livello culturale della musica in Italia. Dare il potere di decidere se un artista vale o non vale, senza metterlo alla prova nel tempo è un danno. Oramai le major si riferiscono solo ai talent per lanciare questo o quel cantante.

Se oggi nascesse un nuovo Pino Daniele, un nuovo Lucio Dalla o Battisti dovrebbero fare questa trafila. Ce lo vedi? Sarebbe impossibile. I talent vogliono solo fare spettacolo, favorendo il ragazzino carino, col ciuffetto, con la storia triste alle spalle. Così vanno avanti solo certi personaggi.

Qualche anno fa scrissi una canzone che cantai con la mia compagna, Flora Contento, che si chiamava ‘Non si fa’, nella quale, spudoratamente, attaccavo i talent e chi stava dietro a questo meccanismo. Non si tagliano le ali, non si brucia un giovane per un poco di visibilità. Si genera un musicista ma anche tanti depressi che, rifiutati, si sentono messi all’angolo per sempre da quest’arte. Spesso, sono talenti effimeri, che durano una stagione e sono privi di genuinità. Per dirla in maniera semplice, sono come dei prodotti preconfezionati.

Hai in serbo il lancio di un nuovo album. Raccontaci come è nata l’idea, quali sono state le tue ispirazioni e quali saranno i tuoi prossimi impegni in vista, finalmente, di un’apertura totale.

Lo prendo come un augurio, essere ottimisti è importante. Lo spero anche io che finalmente si apra di nuovo tutto. Anche se ci sono ancora grandi limiti. Oggi, anche le feste di piazza, quelle patronali per intenderci, sono bloccate. Un tempo agosto era riempito di concerti, oggi è difficilissimo.

Noi, comunque, ci crediamo e abbiamo preparato questo nuovo album e ripercorreremo anche la mia storia musicale con la mio nuovo gruppo. Faremo nuovi medley riscoprendo vecchie canzoni che avevo messo da parte. Ma la cosa importante è che la mia band suonerà e canterà pure, come ti ho detto; ognuno di loro avrà la sua parte solista. Un po’ come in passato, quando mi alternavo con Luciano nel Giardino. Oramai da solo non so più cantare, sono abituato a cantare insieme agli altri.

Sei stato frontman, voce principale, chitarrista e autore de Il Giardino dei Semplici dal 1974 al 2012. La magia e la fine. Raccontaci l’una e l’altra.

Guarda, la parte magica sono stati soprattutto i primi cinque anni. Se fossimo stati gestiti meglio a livello manageriale oggi avremmo ottenuto qualcosa di diverso. A livello artistico eravamo seguiti da Totò Savio e Giancarlo Bigazzi, non potevamo chiedere di meglio. Ma abbiamo avuto delle difficoltà a livello organizzativo, tanto vero qualcuno se ne è approfittato, lo racconto anche nel libro.

Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo avuto un crollo della cultura musicale italiana, bastava vedere le classifiche dell’epoca. Noi siamo riusciti a resistere perché facevamo ancora nuova musica e ottimi concerti. Abbiamo mantenuto alta e costante la nostra produzione e lo si vedeva anche dal vivo. Eravamo attenti ai particolari, per esempio alle scenografie e alla strumentazione.

Il momento della pandemia cosa ha insegnato e sta insegnando ad un uomo vissuto come te?

Dico che è stato un disastro mondiale ma non mi sono depresso. È stato difficile per ogni artista che non poteva fare nulla. Ho trovato il pretesto per riflettere e per completare alcune cose, oltre che lavorare ad inediti e ad un musical contro la camorra che si chiama ‘Tarantella’ e che a settembre vedrà anche l’apertura del suo casting.

Insomma, ho scritto molto, vedi il libro. La pandemia mi ha insegnato a rallentare. Andiamo troppo di corsa e ci piace fare meglio degli altri. Dico che è importante anche frenare e imparare a vivere con maggiore serenità, senza volere tutto e subito.

Sei nato a Firenze ma la tua famiglia è partenopea. Sei fondatore di un’Accademia musicale omonima di un certo rilievo. Quanto è importante Napoli per te e come ti rapporti con gli altri artisti della città?

Napoli non mi ha dato i natali per caso, siamo napoletani da sette generazioni. Ho un rapporto particolare con la città. Mio zio Eduardo era una valente chitarrista della tradizione napoletana, ha lavorato con Roberto Murolo ed era insegnante al Conservatorio, mio nonno era mandolinista. Sono nato con Napoli addosso.

Devo dire, però, che, come tutti i giovani, quando studiavo trovavo sempre l’occasione per emulare i Led Zeppelin e i Deep Purple mettendo un po’ da parte la chitarra classica. Diciamo che avevo questa doppia matrice musicale ma Napoli restava sempre dentro di me. Tanto è vero che l’unico disco d’oro che abbiamo ricevuto è stato quando abbiamo inciso ‘Tu ca nun chiagne’; il primo album interamente in napoletano, ‘B/N’ è stato quello che ha venduto di più.

Poi se penso ad artisti come Pino Daniele devo riconoscere che grazie alla sua musica, la nostra città è tornata ad essere orgogliosa. A lui ho dedicato la struggente ‘Cia’ guagliò’, cantata insieme a Flora. Oggi, però, è difficile trovare i suoi eredi. Pino, invece, metteva d’accordo tutti come musicista totale e come precursore. La sua scomparsa l’ho subita parecchio: pensa che io sono stato anche produttore del fratello Nello. Guardando in giro, ci sono comunque artisti stimabili ancora, come Enzo Gragnaniello ed Enzo Avitabile. Poi c’è Gigi D’Alessio con il quale ho composto ‘T’innamorerai’ dedicato a mia figlia: è un artista completo e preparato.

La musica per Caliendo. Cos’è?

Nella mia vita ho avuto due donne importanti, a parte mia figlia, che è stata la più importante. Sia la mia ex moglie, sia la mia attuale compagna sono sempre state gelose della musica che, per loro, è stata ed è il mio vero amore, la mia vera donna, a tal punto da farmi trascurare certi affetti importanti, creando, non ti nascondo, dei casini dentro di me. Essere innamorato della musica ti fa vivere in un mondo parallelo dove le cose reali ti sfuggono e rischi di trascurare le persone che ti vogliono bene.

Cosa non sei riuscito a portare a termine, cosa ti è mancato e cosa, invece, punti ancora a realizzare?

Ho un sogno nel cassetto, lavorare alla colonna sonora di un film. Il cinema mi piacerebbe farlo. Ho scritto e musicato per il teatro con musical come ‘Fatti santo’, dedicato alla beatificazione di don Giustino Russolillo, oltre a quello che verrà e che ho scritto durante l’emergenza sanitaria. Però, sopra ogni cosa, mi manca fare la musica dal vivo, esibirmi nei concerti, portandola ovunque. La verità è che mi manca il palcoscenico. Oggi tutto si sta frazionando, la gente si muove poco e ci sono troppi falsi miti per cui è difficile portare in giro la nostra musica, ma noi ci proviamo.

Torniamo alla tua Accademia musicale, qual è il tuo rapporto con i giovani e quali insegnamenti ti poni di dare a loro in maniera prioritaria?

Ho cominciato negli anni Novanta con l’Accademia ‘La Ribalta’ di Castellammare che, ancora oggi, fa casting a livello nazionale soprattutto recitativo. Lì pensai che una cosa simile, specialmente per la musica, a Napoli non c’era. Io stesso, quando ebbi dei problemi alle corde vocali, mi resi conto che non c’era nessun centro di formazione che insegnasse canto moderno ma solo lirico. La mia prima scuola l’ho aperta a Fuorigrotta, poi dal 2006 sono nella sede attuale di Pianura, dove ho il mio quartiere generale, con lo studio di registrazione e la mia etichetta discografica.

L’Accademia ha fatto dei salti da gigante. Per frequentarla arrivano da diverse zone della nostra Italia: per esempio dalla Calabria, dal Molise, oltre che da tutta la Campania. Per i giovani, inoltre, ho scritto un testo che si usa ancora nelle scuole, ‘Voci di dentro’ utile per chi vuole studiare la musica veramente.

Hai una sliding doors. Cosa faresti e chi incontreresti se avessi ancora una sola opportunità?

Ce ne sono tante di cose che vorrei avessero avuto un finale diverso. Ho commesso errori: uno di questi è stato dare importanza a persone che non meritavano. Anche nel rapporto con la band ho dato troppo. Mi sono dedicato al gruppo in maniera intensa, rifiutando anche di passare alcune canzoni ad altri artisti. Oggi, utilizzando una porta scorrevole, farei altro, magari. Con affetto mi sono dato a tanti e, alle volte, non ho ricevuto quello che immaginavo. Quello che resta, però, è l’amore per la musica che ho dentro. Oggi ricomincio dalla mia storia.

E non può fare di meglio, a mio avviso, il nostro Gianfranco. Un artista che sa essere prima ancora un uomo generoso e amante della genuinità della vita. Uno che ha conosciuto il bello e il brutto di un mestiere che ti esalta ma che sa anche farti sentire terribilmente solo. Oggi come ieri la sua musica è nell’anima di chi ha amato ed ama una voce inconfondibile.

 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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