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Festa della Toscana, Rossi: ‘Battaglia per i diritti non finisce mai’

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Festa della Toscana 2018


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L’intervento del Presidente della Regione Toscana

Riceviamo e pubblichiamo da Agenzia Toscana Notizie.

La battaglia per i diritti non finisce mai, c’è sempre il rischio di tornare indietro. Questo è uno dei motivi per cui oggi siamo qui a celebrare la festa della Toscana.

Nel suo intervento alla seduta solenne del Consiglio regionale al Teatro della Compagnia, il Presidente della Regione Enrico Rossi ha subito voluto legare il senso della rievocazione storica alle urgenze della realtà odierna. E lo ha fatto anche dando risposta alle parole dei rappresentanti dell’associazione di diversamente abili ‘Vita indipendente’, presenti in teatro.

Ha detto:

Sono solidale con la vostra battaglia per il pieno diritto ad organizzare la vostra vita.

C’è un vuoto su questo tema di grande rilevanza sociale, un vuoto a livello nazionale e anche europeo. Ricordo due cifre: la Toscana destina 9 milioni a sostenere i progetti di vita indipendente, il governo 15 per tutta Italia, sono cose che i cittadini devono sapere.

Noi andremo vanti con le nostre scelte e le nostre risorse, ma mi aspetto che qualcuno in Parlamento si alzi per dire che quei 15 milioni devono diventare 150.

Il Presidente ha proseguito il suo intervento rivendicando il valore che questa giornata, istituita dal 2001, che ricorda l’abolizione da parte del granduca Pietro Leopoldo di Asburgo-Lorena della pena di morte in Toscana nel 1786, per la prima volta nel mondo.

È importante leggere l’articolo 51 del codice penale leopoldino e riflettere sulle parole che vi si trovano: si parla di ‘correzione del reo figlio anch’esso della società e dello stato’ e per spiegare la scelta di abolire la pena capitale si invoca la ‘maggiore dolcezza e docilità di costumi, specialmente nel popolo toscano’.

Responsabilità dello Stato, quindi, dolcezza e docilità: non sono un richiamo forte alla politica e ai linguaggi pubblici di oggi?

Siamo orgogliosi di quelle parole, di quell’idea di una giusta proporzionalità della pena, di un’idea di giustizia secondo principi di razionalità e umanità: è lo Stato che deve garantire la sicurezza dei cittadini ed lo Stato che deve avere il monopolio dell’uso legale della forza.

Il ragionamento del Presidente Rossi è proseguito mettendo in luce i tratti dell’azione di governo lorenese che hanno segnato l’immagine e lo spirito pubblico della Toscana, sull’onda lunga che nasce dall’Umanesimo e dal Rinascimento.

L’opera di Pietro Leopoldo fu ispirata a una visione di policentrismo e pluralità, in contrasto con l’asimmetria tra Firenze e le altre città toscane coltivata precedentemente dai Medici. Fu un’azione che si nutrì anche delle riflessioni del Machiavelli sulla necessità di domare la ‘fortuna’.

In questa tradizione, insomma, si ritrova il filo rosso del riformismo toscano, realista ma anche ambizioso. Un riformismo che si avvalse del contributo di tanti intellettuali di respiro europeo, da Giulio Rucellai a Pompeo Neri, da Francesco Maria Gianni ad Angelo Tavanti.

Il riformismo lorenese fu la manifestazione concreta di una politica che sapeva ascoltare, si pensi alle ‘deputazioni’, commissioni speciali di esperti che dovevano preparare e presentare memorie, e poi decidere e realizzare: ricordo le grandi opere pubbliche, le bonifiche, il riassetto idrogeologico, le grandi infrastrutture portuali e ferroviarie, con Leopoldo II, che modernizzarono la Toscana creando lavoro e combattendo la fame.

Nel complesso la Toscana dei Lorena ci consegna un’eredità ricca e importante. È a questo modello che in primo luogo mi piace pensare riflettendo sull’identità della Toscana. Una tradizione di buon governo, che fa proprie le migliori idee proprie della stagione umanistica e di quella illuministica. Il senso profondo di un’identità che convive con la pluralità e la diversità, che si arricchisce degli influssi e degli apporti esterni.

Una radicata e profonda idea di umanità, di giustizia, di razionalità nel governo delle cose umane. Un realismo che, consapevole della debolezza e della fragilità della condizione umana e della mutevolezza della fortuna, non rinuncia a lottare per un mondo più equo e umano. È qui che dobbiamo ritrovare le radici autentiche della nostra storia.