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Fenesta vascia



Autore: Anonimo
Titolo: Fenesta vascia
Anno di pubblicazione: 1500, trascrizione di Giulio Genoino – Guglielmo Cottreau 1828

È la storia di un amore senza speranza di un giovane per una ragazza che abita dietro la finestra vascia, misera, solo perché resta chiusa, un classico “ammore e vìco” d’altri tempi.

La canzone originale non ci è pervenuta, abbiamo la trascrizione di Guglielmo Cottrau, autore ed editore, che si può considerare il padre della Canzone napoletana moderna, avendo curato per primo, dal 1820, la trascrizione musicale delle canzoni dei secoli precedenti, affidandone i testi a poeti locali, tra cui Paolella e Biscardi, confinati nell’oblio per le note vicende storiche del 1860.

Consegnò questo testo aulico a Giulio Genoino, valente poeta letterato di Frattamaggiore (NA), dimenticato dalla storiografia letteraria italiana e spesso confuso con un omonimo salernitano del Seicento, il Consigliere di Masaniello.

Il Genoino riporta fedelmente il testo del 1500, adattandolo alla lingua parlata nel 1800, anche nei termini in allora disuso o perfino dimenticati, con un ottimo risultato.

Il testo è composto di due “ottave siciliane” di endecasillabi, in rima alternata AB, molto usate da poeti popolari ed aulici, tra cui Boccaccio. Ogni ottava svolge un tema diverso, ogni distico forma una frase compiuta ed indipendente, ma collegata logicamente alle altre.

La rima, imperfetta nel testo scritto, è perfetta nella dizione corretta osco – napoletana, dove il finale di parola, pronunciato sempre “sfumato”, non ne definisce il genere, affidato all’articolo o aggettivo che la precede.

Nella prima strofa, le parole crudele, cannela e neve, sono in rima se pronunciate con la “e” finale in francese, sfumandola. Analogamente nella seconda, per picciuotto, palazzuotte e accorte, per “‘ncoppa” vedi le Considerazioni.

La musica, scritta per il Calascione, tipo di liuto in disuso con il mandolino, esprime meglio quel timbro partenopeo di sottile ed indefinibile malinconia.

Il testo non è facile da tradurre, per la ricercatezza delle parole, parole accorte, e del fraseggio, tecnica di un poeta colto, anonimo per convenienza o scelta personale, non di cantastorie, scritto nel 1500 sotto il Vicereame spagnolo, che causò il degrado del tessuto umano di Napoli, ancora oggi evidente.

All’epoca e fino al Regno di Ferdinando I “o Rre Nasone”, un testo per canzone era ritenuto “roba da giullare”, non da poeta aulico, per cui si può affermare che il “signor Anonimo” è l’autore più prolifico e longevo della letteratura napoletana e non, avendo firmato quasi tutte le poesie per canzoni per oltre tre secoli.

Ecco questa bella Poesia con la traduzione quasi letterale.

Fenesta vascia Finestra bassa o misera
Fenesta vascia ‘e padrona crudele,
quanta suspire mm’haje fatto jettare!…
Mm’arde stu core, comm’a na cannela,
bella, quanno te sento annommenare!
Finestra bassa di una padrona crudele,
quanti sospiri mi hai fatto sprecare!…..
Questo mio cuore arde come una candela,
bella, se sento il tuo nome pronunciare!
Oje piglia la ‘sperienza de la neve!
La neve è fredda e se fa maniare…
e tu comme si’ tanta aspra e crudele?!
Muorto mme vide e nun mme vuó’ ajutare!?…
Orsù prendi esempio dalla neve!
La neve è fredda ma si fa accarezzare….
Ma tu sei così aspra e crudele?!
Mi vedi morire e non mi vuoi aiutare!?….
Vorría addeventare no picciuotto,
co na langella a ghire vennenn’acqua,
Pe’ mme ne jí da’ chisti palazzuotte:
Belli ffemmene meje, ah! Chi vó’ acqua…
Vorrei diventare un bel garzone,
che con la brocca va vendendo l’acqua,
e poter gridar tra questi caseggiati
“Mie belle donne, ah! chi vuole l’acqua…”
Se vota na nennella da llá ‘ncoppa:
Chi è ‘sto ninno ca va vennenn’acqua?
E io responno, co parole accorte:
Só’ lacreme d’ammore e non è acqua!…
Si volge una ragazza in su dall’alto:
“Chi è il bel garzone che vende l’acqua?
Le risponderei con parole dosate:
Sono lacrime d’amore, non è acqua!….

Per apprezzare la musicalità del testo occorre la pronuncia esatta, difficile nella lingua osca – napoletana o campana – priva di chiave di lettura nella grafia italiana, infatti, l’interpretazione di canzoni partenopee dei grandi tenori, così divina per la melodia, è fiaccata dalla dizione.

Da notare la punteggiatura ricercata, o riportata dal testo originale, o opera di Giulio Genoino, una figura di grande poeta da rivalutare, come tutti quelli dell’epoca del “Re Nasone”, il primo Ottocento.

La cultura del Regno d’Italia ha spinto nell’oblio le intelligenze non allineate al nuovo corso, anche con disprezzo, come Mariano Paolella, bistrattato da Salvatore Di Giacomo nel saggio su ‘Fenesta ca lucive’, e in senso lato tutto il Sapere del Regno di Napoli.

Commento

La canzone esprime il tormento del protagonista per l’amore non corrisposto, la finestra chiusa, l’autore non ne indica il motivo, delega il lettore a trovarlo in base alle esperienze della sua vita.

La prima strofa grida lo sdegno per il comportamento della ragazza, la seconda esprime un’idea per fare affacciare la ragazza e poterle mostrare le lacrime sprecate e raccolte nella langella.

Fenesta vascia ‘e padrona crudele

rinfaccia alla finestra squallida, perché la padrona è crudele di avergli fatto versare, e sprecare, infiniti sospiri o lacrime

quanta suspire mm’haje fatto jettare!

In questi due versi è espressa tutta la poesia, il tormento, la rabbia ed una lontana speranza.

Il ragazzo chiama la finestra misera o squallida, la padrona è crudele perché lo ignora, mentre il suo cuore s’infiamma, come una candela, solo ascoltando il suo nome, anche se chiamano un’omonima

Mm’arde stu core, comm’a na cannela,
bella, quanno te sento annommenare!

L’immagine esprime bene l’effetto; la candela scotta immediatamente la mano che la sfiora, fa trasalire, come sentire il nome della donna desiderata. La vera poesia nasce per un amore non corrisposto, un amore realizzato produce la prosa.

Le consiglia di imitare la neve, che è fredda come lei, ma si fa plasmare con le mani

Oje piglia la ‘sperienza de la neve!

La neve è fredda e se fa maniare.

Maniare, letteralmente maneggiare, si deve tradurre “modellare, plasmare, accarezzare”, vero significato in napoletano, è quel che vuole il ragazzo, poterla accarezzare, plasmarla o crescerla, espressione usata dai ragazzi napoletani per la fidanzata bambina, da sposare dopo i 20 anni, per tenerla legata a se ed al suo mondo.

Il suggerimento risulta inutile, segue un’amara considerazione, la ragazza è definita scostante ed insensibile

tu comme si’ tanta aspra e crudele?!

tanto da non addolcirsi nemmeno vedendolo spegnersi giorno dopo giorno

Muorto mme vide e nun mme vuó’ ajutare!?

Muorto me vide (o vire) letteralmente “mi vedi morto”, tradotto “mi vedrai morire” rende il vero significato della frase.

Ma il ragazzo vuole che conosca il suo tormento, la seconda strofa è un’idea per poter mostrare alla ragazza le lacrime versate, fingersi venditore di acqua. Su questo personaggio torneremo più in là.

Vorría addeventare no picciuotto,
co na langella a ghire vennenn’acqua,

Vorrei trasformarmi in un garzone del venditore d’acqua, munito di anfora o “Mummara”, per andare tra i caseggiati e gridare “Mie belle signore, chi vuole l’acqua fresca e bella”

Pe’ mme ne jí da chisti palazzuotte:
Belli ffemmene meje, ah! Chi vó’ acqua.

Le grida dei venditori ambulanti echeggiavano nelle città fino agli anni sessanta del 900, vedi le canzoni ‘A testa aruta’, versione di Berri, e la genovese ‘Ciassa Pontexello’.

Lo scopo è di far aprire la “fenesta vascia” ed affacciare la ragazza, che chiederà dell’acqua,

Se vota na nennella da llá ‘ncoppa:
Chi è ‘sto ninno ca va vennenn’acqua?

La ragazza del suo sogno chiederà chi sia il nuovo venditore d’acqua.

“Se vota” (o “S’avota”), letteralmente “si volta”, va tradotto “interviene nel discorso”. Vedi il commento nelle considerazioni.

Il ragazzo, mostrando l’anfora, le dirà, con parole ben studiate: “non c’è acqua, ma lacrime versate per la tua indifferenza”

E io responno, co parole accorte:
Só’ lacreme d’ammore, non è acqua!

Questo distico ha un’intensità particolare, parla delle parole accorte, cioè ben pesate e calcolate dall’autore nel comporre il testo, che esprime al meglio il motivo dell’intera canzone.

Nell’anfora, a langella, non c’è acqua, bensì tutti i sospiri e lacrime del secondo verso, le lacrime versate e anche sprecate, il verbo jettare.
Il finale riprende l’inizio della poesia, il tormento di un amore…

Considerazioni

La trascrizione il Genoino, da grande letterato, non ha fiaccato l’intensità dell’intera poesia, che ha due toni diversi, rabbioso nella prima strofa, dove la ragazza è definita “Padrona aspra e crudele”, perché esprime una realtà di vita, dolce nella seconda, dove la ragazza è chiamata “Nennella”, perché esprime un sogno. L’amore non corrisposto genera la poesia, l’amore realizzato la prosa.

Per meglio capire il testo, l’originale è del ‘500, analizziamo alcuni termini usati nella poesia.

Fenesta vascia ‘e padrona crudele

la ‘e si traduce di o di una, l’apostrofo sostituisce la d o r, non è e congiunzione, che si scrive senza apostrofo. Vascia, letteralmente bassa, in realtà è usata per “misera, squallida o brutta”, il suo vero significato.

Popolo vascio, usato nella Carmagnola, si traduce “popolo basso” ma effettivamente significa “proletariato” o anche “sottoproletariato”.
Purtroppo è difficile usare la lingua osca, nelle molte varianti in Campania e nella stessa città di Napoli, mancando la grafia, la chiave di lettura ed anche una scuola di grammatica, com’è invece avvenuto per il ligure, a Genova, e per altre lingue locali in varie città o regioni del Nord Italia.

L’acquaiuolo, cioè il venditore d’acqua, è una figura popolare distrutta dalla modernità.

Napoli è stata servita da un ottimo acquedotto già dal II secolo a.C., inizialmente alimentato da sorgenti del nolano e del Vesuvio, attraversando la pianura su archi presenti nei toponimi di Pomigliano d’Arco ed altri Casali scomparsi. In seguito, fu alimentato dalla sorgente della Bolla, o Volla, nome con cui è conosciuto.

Riforniva di acqua potabile e corrente tutte le cisterne dei palazzi, in percorso sotterraneo, con i pozzi d’ispezione, di cui alcuni hanno permesso la conquista di Napoli, aggirandone le difese, da parte di Belisario ed Alfonso d’Aragona, mentre i tentativi di Annibale e Lautrec fallirono per cause contingenti, come ordini superiori ed epidemie.

L’accessibilità alle cisterne poteva inquinare l’acqua – rifiuti, suicidi, ecc. – per cui in città era diffusa la vendita di acqua potabile o in chioschi, attivi fino al 1960, o da ambulanti con orci di creta in varie forme, langelle o mummare.

L’acqua era attinta da varie sorgenti, la più famosa era quella del Chiatamone, chiusa durante l’epidemia di colera degli anni 70 del XX secolo, e mi chiedo se forse solo per interesse privato…

Chi ha molte primavere sul groppone ricorda ‘a mummarella ‘e acqua ferrata del Chiatamone e le fontanelle, da cui si attingeva l’acqua, che si vedevano dai finestrini dei Tram nn. 3, 20 e 28.

Picciuotto ossia il giovane garzone è una storpiatura di piccione, nome che indica il giovane del colombo, esteso anche ai garzoni di bottega. Il termine nella cultura attuale, purtroppo, indica solo il garzone di mafia ed è anche pericoloso usarlo, come i nomi ed i simboli usati dal nazifascismo, la svastica ed il fascio littorio, rispettivamente il simbolo del Sole, il Dio di tutti noi indoeuropei, e della giustizia romana, quando romano era ogni abitante dell’Impero, dai britannici ai persiani.

Se vota na nennella da llá ‘ncoppa,

salta la rima, ma c’è un motivo.

Se vota (o s’avota) è usato per “intervento nel discorso”, la frase completa è

S’avota ‘a ncopp’a mano

derivata dal gioco delle carte, per l’intervento attinente all’argomento, quindi al giro di carte o mano.

Secondo me, l’intero verso poteva essere

se vota a ‘ncoppa a mano ‘na picciotta

quindi in rima, nella trascrizione il Genoino ha dovuto “riscriverlo” scindendo “se vota” da “ncoppa” che, isolato, significa “da sopra”, e modificando picciotta in Nennella, andando così fuori rima.

Il motivo della scelta è il significato dispregiativo dato al termine Picciotta nell’Ottocento, mentre nel 1500 era usato per “signorina” o ragazza, il femminile di Picciuotto. Il Genoino era un profondo conoscitore della lingua, ha sacrificato la rima per mantenere il significato del vocabolo originario.

Jí da’ significa “dare il grido”, da’, verbo dare tronco, usata per grì, gridare tronco.

I termini Nennella e Ninno, vezzeggiativi di Figliola, ragazza, e Guaglione, ragazzo o garzone, erano usati tra innamorati o persone legate da affetti familiari.

Oggi Ninno è ormai in disuso nel linguaggio comune, il femminile Nennella, Nenna, o anche Ciarella e Cicellina, sono usate solo da chi ricorda l’acqua ferrata del Chiatamone.

Oggi sembra più in uso Ciuciù, pronuncia come in francese chouchoux, che significa “sussurro del bosco” o zuccherino o il piccolo bignè rotondo, prelibatezza napoletana simile al beignet francese dei profiterole o Saint Honoré. Il raddoppio del termine Chou enfatizza la prelibatezza e la dolcezza unica del dolcetto a forma di cavolino.

Il termine Nennella è usato anche in ‘Te voglie bene assaie’ e ‘Fenesta ca lucive’ del 1825.

Questi termini affettuosi sono usati anche dai genitori versi i figli. Una figlia, anche maggiorenne, è sempre chiamata Nennella dai genitori, che la considerano sempre una ragazzina.

Credo che per la nuova generazione la locuzione sia obsoleta o in totale disuso, per la globalizzazione delle culture e l’esterofilia, già endemica nel napoletano medio, ora favorita viepiù dai mezzi di comunicazione.

La parola come Nennella, invece, denota l’appartenenza ad una cultura millenaria, ancestrale di un antico popolo italico, da preservare gelosamente, pur nel rispetto delle altre culture.

Ora analizziamo i personaggi.

Il ragazzo è un giovane popolano invaghito di una ragazza, che la cultura del vicolo non permette di avvicinare, o solo la paura del diniego della famiglia.

In questi casi interviene la comare, figura importante nel vicolo, in grado di combinare, più spesso scombinare, i matrimoni con le ragazze del quartiere, anche se vi è stato qualche tentativo di approccio, di nascosto.

Nelle famiglie denarose, la ragazza non ha voce in capitolo, sarà un mediatore, il sensale, a procurarle un marito, in genere un militare, meglio un finanziere per motivi “fiscali”, un impiegato a reddito fisso, un monsieur Travet, o un pari grado “sociale”, piccola borghesia mercantile.

La ragazza non è presente, interviene solo nella seconda strofa, nel contesto di un sogno di un innamorato. Ricordo molti ragazzi come quello della canzone negli anni… bah! qualche anno fa… e le canzoni ‘Voce ‘e notte’ di Nicolardi e ‘Oilì Oilà’ di Salvatore Di Giacomo.

La finestra simboleggia gli occhi della casa, se chiusa è un segno d’isolamento o di negatività. È presente in ‘Fenesta ca lucive’, ‘Marechiaro’, ”O sole mio’, o ‘Chiudi la tua finestra’ del 1968, un invito alla ragazza di troncare ogni rapporto con l’amante deluso.

La scena della Poesia è un posto qualsiasi nei quartieri storici di Napoli, dove Giulio Genoino ha operato prima di tornare a Frattamaggiore, dove riposa nella chiesa dell’Ingenito.

È un mondo a sé, unità base della struttura sociale della città, dopo la famiglia, con leggi non scritte ma seguite, antiche come le città osche. Da quel mondo si fugge per cercar fortuna altrove, ma resta sempre nei sentimenti, anche se la distanza è nell’ordine dei tre zeri ed il viaggio sarà senza ritorno.

Questa canzone mi ha sempre affascinato, ricordo l’interpretazione di Massimo Ranieri, ragazzo del Chiatamone. Ho fatto questo lavoro, la traduzione è mia personale, per far comprendere bene il testo e ricordare l’autore della versione del 1825, Giulio Genoino, eccellente poeta letterato, se lo merita!

Spero di esserci riuscito almeno in parte, lo dedico a Concetta Spena, la cognata mancata anni fa, che gradiva molto questa canzone, in particolare l’ultimo verso

Só’ lacreme d’ammore e non è acqua.

I motivi non me li ha mai rivelati, restano nei suoi ricordi.

La canzone è citata nel romanzo ‘Senza famiglia’ di Hector Malot, dove era cantata dal girovago Vitali, cognome diffuso nel napoletano, nei momenti particolari del racconto.

Curiosità

L’immagine di sopra è un esempio di Fenesta vascia, brutta a vedersi. Questa, tappata alla meglio con legno ormai fradicio, è quanto rimane della biglietteria della prima stazione, della prima ferrovia in assoluto in Italia, la Napoli – Portici del 1838.

Fenesta vascia indica anche “la finestra di un basso”, alloggio livello stradale, con accesso dall’interno di un palazzo. Questo tipo di basso è più raro, normalmente il “basso” è di un solo vano, anche con soppalco, con accesso diretto dalla via.

Tutta la zona antica ne è costellata, li ricordo molto bene nei vicoli del Pendino, San Lorenzo e Porto, anche quello con la finestra bassa di una padrona crudele, con malinconia, sperando che questo piccolo mondo “umano” non sia andato perso.

 

Autore Salvatore Bafurno

Salvatore Bafurno, napoletano ma vive a Piacenza, ex dirigente delle ferrovie italiane, ama la lettura e la scrittura.

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