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Femminello o Drag Queen: una tradizione in divenire

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Raven - foto Rosy Guastafierro
Raven - foto Rosy Guastafierro


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Ritualità antiche e ricercate, consolidate attraverso secoli di storia e tradizione, che venivano esplicitate da personaggi la cui personalità destava un timore reverenziale per la fama che li precedeva e che trovavano attuazione nel cerimoniale alchemico – filosofico che prevedeva la nascita del Rebis ovvero della cosa doppia, il maschio e la femmina unificati, che si materializza nell’Athanor.

Affinché si giungesse al risultato sperato, era indispensabile la presenza di un Ermafrodito, ovvero, come definito nell’eredità greca, nato dall’unione della dea della bellezza Afrodite e del dio della Forza e della conoscenza rivelata Ermes.

Venerato e divinizzato per l’intensa carica mistica, l’arte ne comprende una serie infinita, tra i vecchi vicoli di una Napoli pronta ad assorbire qualunque aspetto, connubio perfetto tra saggezza popolare e spiritualità pagana, diviene o femminello.

Viene descritto come un uomo che ha atteggiamenti e movenze femminili, mai additato, anzi, accettato, tanto da far nascere un vocabolo unico nella sua accezione.

Non facilmente traducibile, né spiegabile, perché contiene in sé tutta la forza di un retaggio magico alchemico capace di penetrare il folklore partenopeo, senza degenerare, mantenendo tutta la forza del rito ancestrale che inneggia la fecondità, determinata dall’unione perfetta, che sfocia nel divinatorio.  

Bambini appena nati venivano posti nelle braccia di un femminello come segno di buon auspicio. Gli si attribuivano importanti capacità, come la crescita di un figlio o una fortuna smisurata attuata nella famosa tombola vajassa, che riesce a mescolare al divertimento il vaticinio. Emblematica, in questo senso, la trasposizione teatrale del Maestro Roberto De Simone ne La Gatta Cenerentola.

Raven - foto Rosy Guastafierro
Raven – foto Rosy Guastafierro

Abbandonato il crogiolo, ecco che nei quartieri popolari, non solo della città, ma anche nei paesi limitrofi all’ombra del Vesuvio, in particolare Torre del Greco, prende vita la figliata d’e femminielli.

Per entrare a far parte della loro comunità è importante riuscire a superare questa prova che consente di sancire quanto sia concentrata la carica femminile in quel corpo di uomo mai accettato, ma non rifiutato.

Ecco che nel basso designato viene allestito il letto, generalmente in ferro battuto, dove il neofita, al di sotto dei 20 anni, in camicia da notte femminile, adagiato, inizia a mimare l’insofferenza dovuta alle doglie del parto. Suda, urla quasi cantando, si dibatte dondolando la testa, agita le braccia con dei bicipiti che guizzano.

È contornato dalle donne anziane del quartiere che, seguito con apprensione tutto il travaglio, intonano litanie tipiche, come il taluorno, una sorta di muto lamento che viene ritmato seguendo il suono sordo dei colpi delle mani dati all’unisono sulle guance, trivolo vattuto.

Intorno la gente del rione, attirata dal vociare, accorre con tammorre per ballare le tarantelle complicate che, al ritmo incalzante, risultano da stimolo.

Ecco che la matrona, con fare circospetto, intrufola le mani sotto il lenzuolo, le agita, cerca, tra gli spasmi esagerati del novizio che, invaso dalla magia imitativa, di frazeriana memoria, finalmente partorisce un Priapo di legno dal fallo esagerato! Portato in trionfo, passa da mano in mano: c’è chi lo accarezza, chi lo bacia, ma tutti desiderano e chiedono prosperità.

Una descrizione maggiormente dettagliata la ritroviamo nel romanzo di Curzio Malaparte La pelle, portato magistralmente al cinema da Liliana Cavani nel 1981. Ferzan Özpetek, nel 2017, inizia il suo film Napoli Velata con questa storia senza tempo, che si perpetua da secoli, riuscendo a travalicare tutte le mode, conservando in sé la forza di quei rituali che invocano Cibele, la grande madre, prima, e la Mamma Schiavona, la Madonna di Montevergine, poi, che raccolgono, nel proprio seno, proteggendo, le diversità, accettandole senza riserva.

Questa consapevolezza atavica, attraverso l’evoluzione delle generazioni, consente ai ragazzi napoletani di condividere la propria cultura nelle comunità LGBTQ+.

Oggi sentiamo parlare di Drug Queen, che nel mondo assume un significato molto diverso, mentre, nel ventre della città, mantiene immutata la sua antica forza.

L’origine di questo movimento in Italia lo si deve, agli inizi del secolo scorso, ad un giovane partenopeo, Raoul Pignatelli, in arte Enigma. È stato il primo, con trucco perfetto e in abiti da donna, a cavalcare le scene del Teatro Trianon e, con determinata sicurezza, ad imitare la Bella Otero.

Nel 1916 così scrivevano:

Un simpaticissimo giovane che, per un fenomeno di natura sa adattare facilmente la sua ugola, cantando da eccellente soprano lirico… Nel gesto, nelle movenze, è di una femminilità sbalorditiva, che suggestiona, e, siccome appare sulla scena abbigliato e vestito completamente da donna, raggiungendo un trucco perfetto, egli dà la completa illusione al pubblico di trovarsi innanzi ad una bella e maliziosa divette.

Il 12 aprile scorso, al centro della Galleria Umberto I, mi sono lasciata trascinare con entusiasmo nel flash mob organizzato per il vernissage dedicato al genio della pop art Andy Warhol, al Palazzo delle Arti, visitabile fino al 31 luglio.

La Napoli progressista ha catalizzato ragazzi dai tacchi vertiginosi, con abiti e parrucche appariscenti, che hanno invaso, con suoni e colori, via Toledo fino a piazza del Plebiscito. Dai loro occhi traspare una sensibilità rara, mentre scopri che quel trucco e quei vestiti sono frutto del loro genio, che fa dell’arte dell’arrangiarsi un vanto.

La gente, per nulla infastidita, si è lasciata coinvolgere, dimostrando non solo di accettare e capire la fluidità di genere, ma soprattutto di permettere che ognuno esprima liberamente la propria essenza.

Tra tutti uno attrae la mia attenzione, alto, bello, di un’eleganza statuaria che si consolida nell’espressione della sua anima. Lo raggiungo. Il suo nome è Raven Idoll, ballerino, stilista, costumista, tutto questo a soli 19 anni, poche parole che bastano a farmi capire la sua determinazione a dedicare la vita all’arte in tutte le sue sfumature.

Raven - foto Rosy Guastafierro
Raven – foto Rosy Guastafierro

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.