La rottura del rapporto Aureo e Filosofale
Avevamo concluso l’articolo precedente sulla riappacificazione tra il padre, il Re Sergente, e il figlio, l’archetipo del monarca illuminato.
Quella dell’erede è una vicenda sì storica ma, in special modo umana, che va letta con particolare attenzione; per questo, ora, ci interessiamo all’altro Federico, non il conquistatore, non il grande monarca e amministratore.
Ci intriga la sostanza di cui è composta la sua grande figura. Come sia stato in grado di comprimere, dentro di sé, tanta energia, tanto sogno, tanta gioia, ma, soprattutto, tanto dolore, come sia riuscito ad essere freddo, razionale, costruttore del suo presente, con un pensiero parallelo che, puntualmente, lo accompagna altrove. Altrove è la dimensione dell’incontro.
Urtato prima dall’intolleranza paterna e della sua vita tormentata, ad un certo punto è respinto, nel rapporto con il genitore morale, che crede di ravvisare in Voltaire, perché di lui lo affascina la sua enunciazione della Tolleranza.
Il filosofo francese domina tra le figure magistrali che hanno avuto un’influenza decisiva sulla vita e sulle scelte di Federico II di Prussia. Egli ne subisce tutto il fascino. Si abbevera a quella fonte di Alta Sapienza.
Gli amici del Principe sono scelti con cura particolare, dati i trascorsi prima enunciati. È quasi un dorato esilio quello di Rheinsberg, dimora che il re gli assegna, perché ha scoperto in lui le qualità di un insospettabile amministratore.
Sulle rovine di un vecchio maniero, Federico fa ricostruire, dall’amico architetto Venceslao Knobelsdorf, la residenza di Sans-Souci, con il teatro dell’Opera. Un parco tra i boschi e le lande sabbiose. Si allontana solo per le parate militari… e le ricorrenze della corte prussiana, perché il padre, nel frattempo, lo ha promosso Maggiore Generale.
Gli amici più cari formano, intorno a lui, un cenacolo che non assomiglia per niente al “circolo del tabacco” paterno e… lui sta bene attento che non si formi la corruzione che, invece, è presente nella corte di Dresda. È l’immagine del Principe illuminato: vive tra conversazioni brillanti, musica, libri, teatro. Migliorano anche i rapporti con la consorte Elisabetta Cristina.
Può finalmente formarsi una cultura da geniale autodidatta. Si impone un programma di studi di rigore ascetico. Si sveglia ad ore impossibili e legge fino a notte alta. Vasti interessi culturali: Storia, Filosofia, Scienze, Economia, Dottrina dello Stato, Tecnica Amministrativa e Militare e, dulcis in fundo, Esoterismo.
Parla quasi tutte le lingue europee, ma scrive solo in francese, con frequenti intrusioni alloglotte. Corrisponde con diverse personalità, il più delle volte in versi. Nell’agosto del 1736 indirizza la prima lettera a Voltaire.
Nella vita di Federico, che si svolge frenetica – ma come abbiamo già detto non parleremo dell’aspetto cronologico e delle sue fortune militari – la figura dell’intellettuale parigino giganteggia. Il filosofo è un titano del Pensiero, non solo nella mente del Principe; nel suo tempo abbiamo imparato a vederlo carico di Fama e di grosse Fortune.
Le sue opere corrosive stanno seppellendo un’epoca… e lo scambio epistolare tra i due è ricco di reciproche cortesie; il linguaggio che usano è spumeggiante, ricamato, ricco di preziosismi. Sono davvero una coppia singolarissima; un grande filosofo dissacratore e… la giovane speranza del Genere Umano. Una comune matrice culturale e letteraria li unisce, insieme allo scetticismo nei riguardi dei Valori tradizionali e… ne danno dimostrazione.
Hanno il disprezzo per la Religione e per gli intrighi “preteschi” del mondo clericale. Fino a quando saranno questi gli elementi, il loro rapporto si manterrà in perfetto equilibrio, perché, in realtà, i due hanno ben poco da spartire.
Tutto va bene tra di loro, in linea di massima, perché raramente usciranno dal gioco settecentesco delle belle frasi e ritmi poetici… ma, quando dovranno affrontare problemi più impegnativi, su ruoli specifici e governabilità, arriveranno a sfiorare la rottura.
Ci saranno l’esercizio e l’imposizione del potere da parte di Federico, che passerà, dal ruolo di amico fraterno a quello di Monarca, non più luminoso e illuminato e che, in una brusca impennata, diventerà umbratile e despota. Alla fine, a salvare lo strano sodalizio, sarà soltanto il calcolo inconfessato di due celebrità che hanno un’esigenza d’immagine da mantenere… ed anche in questo, rispetto ad oggi, precorrono i tempi.
Il loro rapporto, che è stato evidenziato già dai loro contemporanei come un autentico “Oro Filosofale”, fa sentire ad entrambi, tutta la responsabilità del loro ruolo. L’Oro non può tornare ad essere vile piombo… e al termine del loro consumato rapporto, saranno ambedue disperati e… finiranno per sorreggersi a vicenda, freddamente… congelati nel ruolo conveniente della loro stessa immagine.
Saranno esposti, più avanti in codesta disanima, i motivi e in maniera più dettagliata, le attenuanti di Federico, e non solo nei confronti di Voltaire, ma anche di quell’avanzante cultura illuminista e di un’innumerevole serie di situazioni politiche, economiche, territoriali e militari ed altre che si riferiscono alla sua Atlantica Responsabilità… perché la sua è una corona molto pesante da portare.
Quando Federico Guglielmo I soccombe al male che lo ha minato negli ultimi anni, muore esprimendo finalmente fiducia nel “Caro Erede” che, oramai, possiede tutte le qualità per ben governare. E… fin qui tutto torna ma… Federico eredita un regno diverso dagli altri dell’epoca, multiforme e… multicolore.
120.000 kmq, 2.240.000 abitanti (solo pochi dati, giusto per capire la situazione) 8.000.000 di talleri il tesoro, un esercito di 80.000 uomini. Egli è Re, Margravio e Principe Elettore del Sacro Romano Impero, Signore di sei Ducati, cinque Principati, dieci Contee e di un numero imprecisato di Baronie.
A titoli così numerosi, corrispondono altrettante terre, spesso prive di contiguità tra di loro; alcuni trasferimenti da una all’altra comportano due o tre pernottamenti fuori dal confine.
Eredità o conquista, ogni dominio ha una sua figura giuridica, un costume politico o un’amministrazione particolare. I confini non sono segnati da sbarre, ma da diritti che, quasi mai, sono accettati pacificamente dalle parti; da un territorio all’altro cambiano le divise, le monete, gli usi, le leggi e le autorità che comandano.
La Prussia non è, a prima vista, uno Stato ideale da governare, è una sorta di agglomerato umano forzato e, al tempo stesso, disarticolato… a volerne disegnare la bandiera… l’immaginazione corre al costume d’Arlecchino; di qui la necessità di usare la mano di ferro. Inoltre, il nuovo regnante è osservato con interesse morboso dai suoi contemporanei. Figlio ribelle, marito per forza, discepolo del filosofo dell’Illuminismo, letterato, flautista, raffinato rubacuori; c’è n’è anche troppo per alimentare i pettegolezzi delle corti limitrofe.
Dai ritratti e dalle descrizioni non è difficile dedurre che fisicamente non è quello che si possa definire “un fusto”. Alto 1,70 cm. Per un tedesco non è molto. Scuro di capelli e, nonostante i ritratti del tempo gli facciano grazia, lo dicono le descrizioni degli storici e critici dell’epoca, pesante di corporatura e nei lineamenti. Occhi azzurri e incantatori che, però, atterriscono quando si fa prendere dalla collera.
La salute è precaria, da giovane ha sofferto di attacchi di paresi. La sua voce è chiara, suadente, gentile. Parla volentieri di se stesso, arguto, ironico, non sa trattenersi dalla battuta scherzosa e spesso anche maligna. Ma, con il tempo, diventerà pessimista e scontroso.
La componente umanistica forse dai suoi esegeti e biografi… è stata esagerata, in realtà questi interessi sono l’hobby del gran signore ai quali non sacrifica mai quelli dello Stato. A ben valutare la sua complessa personalità ne dovremmo assegnare la gran parte al modo d’essere della vecchia Prussia e una parte minima all’elegante nonchalance francese. Ma comunque egli sa fare bene il suo “Mestiere di Re” e… lo fa a tempo pieno.
Imprime una svolta dinamica al suo Paese. Abolisce la tortura, proclama la tolleranza religiosa, non crede, ma stabilisce che ognuno possa andare in cielo come gli pare. Richiama il filosofo Wolf, che suo padre ha cacciato dall’Università di Halle, ma dopo un po’ se ne pente, perché Voltaire non lo stima. Getta le basi dell’Accademia di Prussia. Riabilita il tenente Keith, altro complice della fuga giovanile, e lo promuove Tenente Colonnello. Il padre di Katte diventa Feld Maresciallo. La giovane Ritter riceve una pensione.
Per calmierare il prezzo del grano, apre i magazzini dello Stato. Mitiga le punizioni corporali nell’esercito. Fa un viaggio in Francia e ne torna deluso. Scrivendo a Voltaire definisce quello francese un popolo leggero, galante, superbo nella Fortuna, servile nella Disgrazia. Riceve l’omaggio del grande amico e porta con sé il naturalista Moreau de Maupertuis, che nomina presidente dell’Accademia. Come campione del dispotismo illuminato è difficile stabilire se sia più illuminato o più despota.
Federico è anche un poligrafo, per alcuni, addirittura, un grafomane; le sue opere abbracciano uno specchio culturale vastissimo. Interessano il Costume, la Storia, la Politica. Un po’ meno l’Arte e la Letteratura, nonostante le sue evidenti ambizioni. Non si staccherà mai, neanche in età matura, dal manierismo e dalla retorica.
Negli ultimi anni, il suo carattere, diventato ombroso e schivo, lo terrà isolato ed incapace di comprendere il profondo rinnovamento culturale della Germania di Goethe.
Dopo le disperate esperienze dell’infanzia e le meditazioni che lo stavano portando al suicidio per le disfatte militari, riscattate poi con altrettanti trionfi, non crede più in Dio, né nella Missione Divina dei Re. Ricerca una giustificazione alternativa, diversificata dell’autorità sovrana della quale è pienamente convinto e, per un certo periodo, si prende una pausa, senza particolari riferimenti di studio, informandosi ma, a livello di mera lettura, sulla “dottrina del contratto”, dalla quale si trae parimenti la concezione dello Stato assoluto e dello Stato democratico.
Poi, con la collaborazione dello stesso Voltaire, pubblica ‘L’esame del Principe’ di Machiavelli, con abbondanti note storiche e politiche, in cui confuta il pensiero del grande fiorentino. È una requisitoria contro le metodiche usate dai Principi italiani del Rinascimento, fondati sull’astuzia, l’inganno, la violenza, il delitto.
Con una forma di ottimismo degna, peraltro, del secolo dei Lumi, finge di credere in quell’identità che interagisce tra Morale pubblica e privata, tra le ragioni dello Stato e la ragione morale. Nonostante condivida molte delle idee dei circoli progressisti, è oltremodo curioso che in quest’opera piena di buoni sentimenti… tanto da sfiorare l’ipocrisia in modo manifesto, trovi la maniera di offrire giustificazioni alla guerra, il fenomeno umano più delittuoso ed aberrante.
Giustifica l’azione sovrana affermando che ad un Re è consentito scendere in campo per difendere se stesso e per i propri diritti contestati e, quindi, anche per prevenire ogni offesa, usando perfino eserciti di mercenari. Forse, anche in questo, potrebbe essere considerato un precursore, visto che, anche al giorno d’oggi, pare che nessun cambiamento abbia alterato codesta sua convinzione.
Ciò ci fa riflettere. Evidentemente, dopo essersi ispirato a Tommaso Moro, Fénelon, Voltaire, il suo sangue prussiano ritorna ad irrorare le sue idee, riportandole a considerare le “radici” del suo essere originario. Tra i vari modelli della Storia ai quali vorrebbe ispirarsi, tra Cesare conquistatore e Marco Aurelio filosofo, sembrerebbe… o vorrebbe propendere per il secondo… invece la sua scelta di Monarca lo riporta verso il primo. Sua scelta libera oppure condizionata dalla “Ragion di Stato”?
La rottura con Voltaire
Nel 1750, dopo la scomparsa della Marchesa di Chatelet, Federico, con abili manovre, riesce ad attirare Voltaire a Berlino. Lo colma di doni e privilegi e gli assegna un vitalizio di 20.000 franchi. Il poeta filosofo è avido di denaro e si lascia coinvolgere in una serie di speculazioni scandalose. Pettegolo, geloso come una prima donna, alla fine, nonostante il suo freddo e calcolato autocontrollo, arriva ad irritarlo.
Bisogna certo parlare di questo rapporto a due; scorrendo l’abbondante iconografia dell’epoca, si vedono raffigurati Federico e Voltaire sotto un colonnato del castello di Sanssouci a Postdam. Oppure le scene delle visite del primo nella sontuosa residenza che egli stesso ha donato al secondo. Tutto è idillico in queste rappresentazioni, gli sguardi sono dolci; Voltaire è tenero, Federico affascinato, se parla il sovrano, il filosofo è bonario.
Sono immagini ufficiali, divulgate con il sistema delle incisioni ad acquaforte oppure con ceramiche, raffinate porcellane, servizi da the o da caffè, decorazioni di piatti e vasellame vario.
Voltaire, mentre è ospite in maniera dorata di Federico, completa lo studio storico dedicato al secolo di Luigi XIV. Federico nella sua prima lettera, gli scrive in un francese antiquato e scorretto. Voltaire diventa il suo Maestro: gli lima i versi, li sfronda, corregge le improprietà. Nasce così questo legame tra il Re e il Borghese, caustico demolitore dei privilegi, della superstizione e del fanatismo.
I due hanno orizzonti lontanissimi, ma molte idee in comune. Non sono credenti, anche se il loro laicismo non sempre coincide, sono anticlericali, ma il sovrano respinge le esasperazioni e le volgarità. L’enciclopedista si accanisce contro la piaga del gesuitismo, il regnante, invece, invita nei suoi domini quali ottimi maestri, i colti gesuiti. Il Re miscredente non può ignorare la realtà della Chiesa, ma non accetta il Culto della Ragione.
Questo deve farci pensare. Dal suo maestro, il prussiano recepisce l’ammirazione per il Re Sole, ma ne avverte i limiti e si appresta a realizzare egli stesso un modello di Stato moderno.
Sul piano letterario le affinità sono evidenti; ambedue si ispirano alla magnificenza classica, ma, per il loro scetticismo connaturato, la rendono con freddezza superficiale e formale. Analogamente al francese, le opere storiche del nobile rappresentano la parte più valida della sua produzione letteraria. Eppure, tra i due, esiste un’incompatibilità di carattere. Voltaire è egoista, maldicente, cupido di denaro ed onori, mentre Federico conduce una vita spartana. Nel contatto diretto il rapporto tra il Filosofo e il Principe diventa impossibile; l’intrigo, l’invidia, l’avidità del primo indispongono il secondo, che, esasperato, lo congeda.
Signore di due castelli, ricco e corteggiato, Voltaire finisce la sua vita a Ginevra. Federico, superiore alla calunnia dell’amico ingrato, che, in fondo disprezza, conserverà fino alla di lui morte, una corrispondenza epistolare, distaccata e formale.
Questo è l’aspetto generale, mentre il particolare della rottura è il seguente.
Ci domandiamo: Perché Voltaire assaggia la prigione per ordine di Federico? …la Critica in Prussia è un reato!
Quando il Monarca dirime gli affari di Stato, i suoi amici sono tagliati fuori in maniera decisa. L’uguaglianza, nel suo Stato, non esiste. La Libertà è tutelata dalla legge nel privato e… si arresta di fronte alla Politica. Federico non ritiene di dover giustificare il suo operato davanti ai sudditi.
Nel 1753 avviene la spaccatura definitiva, quando il matematico Pierre Luis Moreau de Maupertuis ottenne la direzione dell’Accademia di Prussia. Ecco, per capire meglio, qualche cenno identificativo.
Il fisico francese, anni prima, era stato incaricato dall’Accademia delle Scienze di dirigere una spedizione in Lapponia, per misurare la lunghezza dell’Arco Meridiano di un grado, allo scopo di verificare le teorie sulla forma e lo schiacciamento della Terra e, nel 1744, aveva enunciato il suo famoso ‘Principio della Minima Azione’.
Nel 1746 accettò l’invito del Re di Prussia che, su consiglio di Voltaire, gli affidò la direzione dell’Accademia Reale, che conobbe un periodo di grande prosperità, mentre l’influenza francese raggiungeva nel regno il suo apogeo.
A Berlino lo scienziato si fece molti nemici. Dapprima Johann Samuel König, che fece espellere dall’Accademia per aver detto che il ‘Principio’ era inesatto ed in ogni caso già esposto da Leibnitz. Voltaire prese le parti del tedesco, sostenendo, appunto, la paternità di Leibnitz sul ‘Principio della Minima Azione’ (Lex Parsimoniae) secondo la quale, la Natura realizza i suoi movimenti applicando la minima forza necessaria.
Alla violenta polemica partecipò anche Federico di Prussia che appoggiava, invece, Maupertuis. Voltaire pubblicò allora la feroce ‘Diatriba del dottor Akakia medico del Papa’, ma il termine ‘diatriba’, usato per definire una critica mordace e violenta, non piacque al sovrano che tolse a König il suo favore ed ordinò che il libello fosse dato alle fiamme, comminando all’autore l’assaggio di un po’ di prigione.
Voltaire capì che il vento in Prussia era cambiato e… prese successivamente commiato dal Re.
Oggi ci interroghiamo sulla figura di Federico e del suo Mentore alla fine rifiutato. La Storia e i comportamenti umani si ripropongono al nostro esame. Il Progresso non ha cambiato i principii, gli ideali che, ai loro tempi ed anche ai nostri, si ispirano al rinnovamento dell’Etica Umana, sia nel particolare che nell’aspetto più generalizzato.
C’è da credere che, anche trecento anni fa, gli uomini di allora, in particolare quelli di libero pensiero, si siano interrogati sui comportamenti di queste illustri figure, soprattutto sul Monarca, verso il quale tanti videro speranzosi una luce.
Grande fu certamente, ma il Principe illuminato fu parco nel dispensare luce protettiva proprio agli Uomini di libero pensiero, mentre fu prodigo nel contribuire a tracciare le ordinate strade e le strategie della politica di Stato. Coloro che auspicavano qualcosa d’altro, forse non si accorsero che a sperare c’era anche lo stesso Federico.
Forse si augurava che dal suo riformismo di costruttore, potessero uscire formati alla sua maniera… come un novello “Artù”… quei cavalieri capaci di sostenere il suo “Tempio di Salomone” e difenderlo, ma in particolar modo la Nazione Prussiana ed i suoi governanti.
Tenta la stessa operazione che è riuscita ai suoi lungimiranti “Parenti Inglesi”. Si pone al vertice, efficiente guardiano e censore, pronto a stemperare o addirittura bloccare il vento ribelle che incomincia a spirare nei popoli d’Europa ed anche nel suo. Egli si “affratella” ma… non troppo con coloro che non cercano esclusivamente la Conoscenza.
E controlla, con molta attenzione, i quadri della sua stessa società, cercando di tenere stretta a sé quell’intelligenza viva che si interroga e che va anche oltre le frontiere, grazie all’universalità dei principii coltivati nell’Élite Culturale di circoli filosofici ed aggregazioni libertarie allora definite “libertine”… cioè con un termine che, con il tempo, si sarebbe svilito, perdendo e cambiando il suo reale significato.
Voltaire, gli Enciclopedisti, Franklin, il nostro Filangieri, i suoi corrispondenti epistolari, Raimondo di Sangro, Ramsay, Grasse de Tilly, Federico stesso… tutti si interrogano sulla Nuova Luce da portare nel Mondo per rinnovarlo. Ma, il sangue del “Re Sergente”, la sua personalità spiccatamente prussiana, gli impediranno di vedere oltre.
Ci sono stravolgimenti epocali che si avvicenderanno dopo di lui. Ed oltre ci siamo noi stessi, che sentiamo la responsabilità, giorno per giorno, di essere illuminati e illuminanti. Il buio è sempre davanti, mentre avanza, inesorabile, la frontiera di un Domani che, invece di esprimere certezze, nonostante le grandi conquiste che si susseguono, ci impensierisce.
Guardiamo i nostri arnesi, i nostri strumenti di pensiero e li vediamo logori e inadeguati… ed il clamore dell’insoddisfazione del Mondo si fa sempre più tonante. Le voci dei grandi che volevano “innovare” passano… le colonne dei loro Templi crollano… lasciando a noi la cura archeologica… un vero “pianto del coccodrillo” dell’Umanità, che assiste, nostalgica, ai propri resti.
Federico è, al tempo stesso, lontano e vicino… ma, tra lui e noi ci sono dei colpi di cannone, come quelli di cui egli stesso sentiva il tuono, ai suoi tempi… quello di Lutero, che culminava con la ribellione dell’intelligenza; tra noi e lui ci sono la Rivoluzione Americana e la Costituzione degli Stati Uniti d’America, la Rivoluzione Francese, con l’affermazione dei Principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, le guerre risorgimentali, quelle Mondiali e… c’è l’Era Atomica.
Ma forse qualcosa è riuscita a traghettarsi penetrando le nebbie del Tempo… la nostra Speranza… attendiamo dunque un colpo, o meglio, una “salva” di cannone silenzioso, tenendoci pronti a riprendere il lavoro in cerca della Ragione, della Giustizia e della Verità.
Un progetto che, analizzato e sfrondato dagli errori commessi nella Storia, continua a dimostrarsi degno d’essere considerato e… attivato!
Autore Vincenzo Cacace
Vincenzo Cacace, diplomato all'Istituto d'Arte di Torre del Greco (NA) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato allievo di Bresciani, Brancaccio, Barisani, ricevendo giudizi positivi ed apprezzamenti anche dal Maestro Aligi Sassu. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1964, esponendo in innumerevoli mostre e collettive in Italia e all'estero, insieme a Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ugo Attardi, e vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali. Da segnalare esposizioni di libellule LTD San Matteo - California (USA), cinquanta artisti Surrealisti e Visionari, Anges Exquis - Etre Ange Etrange - Surrealism magic realist in Francia, Germania e Italia.
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