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Estetica istituzionale del rigore: forma o sostanza?

Fico mani in tasca


Premessa, banale ma necessaria. Non nutro alcun pregiudizio politico o personale nei confronti dell’On. Fico, e non mi trovo in sintonia con chi dovesse sposare una critica partendo da tifo pregiudiziale, a sua volta dettato dall’appartenenza politica. Detto questo, paiono opportune alcune considerazioni relative a quanto accaduto nella giornata del 23 maggio.

Palermo: la Nave della legalità, salpata dal porto di Civitavecchia con oltre mille ragazzi per commemorare la strage di Capaci, è appena approdata. Parte l’inno di Mameli e il neo-presidente della Camera pensa bene di onorarlo, per buona parte, con le mani in tasca.

La postura dell’On. Fico spicca ancor più in mezzo ad rigore delle altre autorità presenti: gli ufficiali della Marina Militare sull’attenti, il Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero de Raho che canta l’inno, il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando in silenzio, con una mano sul cuore.

L’immagine offre quindi pose diverse tra loro, né il cerimoniale istituzionale prevede alcunché al riguardo. Non impone di cantarlo, l’inno, o di tenere la mano sul cuore. Eppure tra queste pose una appare – citando Orwell al contrario – più diversa delle altre, ossia ‘sostanzialmente’ diversa. Ma allora, se manca un riferimento “normativo” come possiamo affermare che quel’atteggiamento diverso sia anche sbagliato?

Proviamo ad analizzare brevemente la cosa da un punto di vista filosofico. Forma e formalismo ripropongono un dittico concettuale simile a quello tra estetica ed esteriorità.
I primi termini dei rapporti “conoscono” necessariamente il contenuto che li sostanzia, a differenza dei secondi. L’estetica non può non conoscere l’etica che la informa, mentre la mera esteriorità può a buon diritto disinteressarsene.

Torniamo ora a noi. I protocolli istituzionali, in quanto tali, hanno tutti un involucro formale. Tuttavia alcuni rimandano principalmente alle leziosità dell’etichetta, altri a motivi d’ordine pubblico e di sicurezza, altri ancora testimoniano un profondo significato di eventi. Ebbene, l’inno italiano non solo appartiene all’ultima categoria ma, per storia e motivazioni, ne rappresenta uno dei simboli. Sulle note di quest’inno ed in suo nome, seppur nelle più alterne vicende storiche, nell’arco di centocinquant’anni migliaia di persone hanno creato, pianto, combattuto, sacrificato qualcosa.

Seguire l’esecuzione dell’inno del Paese che – in quanto terza carica dello stato – si rappresenta, con rigore, dignità e – possibilmente – sincero trasporto si impone come qualcosa che rimanda al “doveroso”, più che all’appropriato o all’auspicabile, laddove il dovere è in realtà quell’espressione che necessariamente traspare quando interiormente il peso di un evento è fortemente avvertito. E se rigore e trasporto esteriori non ci assicurano un simmetrico coinvolgimento interiore, certamente starsene con le mani in tasca è un segno esteriore evitabile, dacché induce, perlomeno, a ritenere il contrario.

Non è questione di baciamano, o di bon ton, o di atti in cui l’etichetta – che neanche andrebbe, invero, sempre svalutata – la fa da padrona. E non è neanche una scelta discrezionale, come preferire un pullman all’auto blu. Dinanzi a certi eventi – e quello dell’altro ieri, per la drammaticità dell’occasione, vi rientra a pieno titolo – un uomo ha il dovere di incarnare istituzionalmente il popolo che rappresenta e la carica che ha scelto di rivestire, più e prima dell’individuo privato, libero di scegliere cosa fare e come farlo.

Certo esistono negligenze di ben altra portata:

Preferisco una mano in tasca per qualche secondo alla mano sul cuore di chi poi tradisce lo Stato

ha scritto lo stesso Fico l’indomani su Facebook, e siamo d’accordo con lui: tuttavia non si vede perché si debbano legare questi due elementi in maniera escludente.

In conclusione, se è vero che si tratta di disattenzione, magari dettata dall’inesperienza, e che non va ingigantita né strumentalizzata, è altrettanto vero che ci sono disattenzioni di vario genere, e questa va rimarcata, senza esagerazioni, ma neanche silenzio.

Autore Giuseppe Maria Ambrosio

Giuseppe Maria Ambrosio, giornalista pubblicista, assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Ha all'attivo numerose pubblicazioni su riviste italiane e straniere e collabora con diverse riviste di settore. Per ExPartibus cura la rubrica ScomodaMente.

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