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Empatheia

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Se vuoi conoscere te stesso, cerca di comprendere gli altri.
Confucio

Dove sono finite oggi le nostre emozioni?

Chiederselo non è un esercizio retorico, ma un interrogativo necessario. Viviamo in un mondo nel quale guerre, migrazioni epocali e nuove emergenze contribuiscono ad un senso di precarietà, spingendoci a credere che le uniche modalità plausibili per sopravvivere siano la negazione e la paura.

Solo che la prima ci condanna all’indifferenza, la seconda ci paralizza. In entrambi i casi, finiamo per relegarci in una solitudine che accomuna giovani e adulti, vecchi e bambini.

Siamo all’età dell’atarassia, dell’insensibilità? Il rischio c’è ed è sempre più concreto. Ai nostri giovani insegniamo a rimandare il momento di fare i conti con la vita vera. Li condanniamo a crescere fragili e spaesati.

Rivendichiamo una scuola senza voti, riscriviamo per loro fiabe in nome del «politicamente corretto», privandoli della possibilità di far maturare le loro emozioni. Perché le nostre emozioni vanno allenate, ogni giorno, ma, per crescerle ed allevarle, occorre saperle sfidare, non negarle né rinunciarci.

Preferiamo invece colmare quel vuoto emotivo con il cinismo ed affidarci ciecamente ai nuovi prodotti dell’Intelligenza artificiale, che minacciano di depotenziare le nostre capacità fisiche, cognitive ed emotive, la nostra meravigliosa imprevedibilità.

La maggior parte di noi non è consapevole di questa diffusa anestesia dell’anima, ciascuno si limita a godere dei privilegi e del benessere materiale rinchiuso nel proprio bozzolo. Ignorando che, in questo modo, l’umanità intera rischia di imbarbarire.

Ma, per chi lo volesse cercare, l’antidoto c’è. È l’empatia. Ognuno di noi nella propria vita ha conosciuto almeno una persona particolarmente empatica, che ci è rimasta impressa nella mente per la sua capacità di percepire le emozioni altrui e, dunque, di aiutare gli altri.

Noi diamo per assodata questa definizione di empatia, ma la storia del termine è lunga, oltre che complessa. Il greco antico ci viene subito in aiuto, perché lo stesso termine empatia deriva dal greco ev pathos, letteralmente dentro il sentimento.

La parola greca empatheia era usata per indicare il rapporto di partecipazione che legava lo spettatore di uno spettacolo teatrale all’attore o cantore. Prima con Sigmund Freud che la utilizzò in Psicologia delle Masse e analisi dell’Io, per riferirsi ad un meccanismo che ci fa assumere un determinato atteggiamento nei confronti di un’altra vita psichica estranea al nostro io.

Poi, in seguito, un altro passo decisivo, per definirla come la conosciamo oggi, l’ha fatto lo psicanalista austriaco Heinz Kohut, che ha diffuso il concetto di comprensione empatica.

In filosofia, l’espressione è stata introdotta a fine Ottocento con la riflessione di Robert Vischer, che usava il lemma tedesco Einfühlung per indicare la proiezione che l’uomo fa delle sue emozioni sulle forme artistiche.

Oggi il vocabolo indica la capacità di una persona di entrare facilmente dentro il sentimento altrui, sentirlo su di sé e parteciparvi, mettendosi nei panni dell’altro. La sua connotazione, dunque, non è più legata soltanto alla sfera teatrale o artistica, ma è stata ampliata.

La filosofia distingue tra empatia, unipatia e co-sentire, dunque tra sentire la verità dell’altro e forme di semplice entusiasmo collettivo.

Partendo dall’unipatia, essa si verifica quando Io e l’Altro proviamo contemporaneamente le stesse emozioni, per cui i nostri stati d’animo mi sembrano coincidere.

Il co-sentire si verifica, invece, quando sono felice per una gioia altrui, perché quella porta beneficio anche a me.

L’empatia è, invece, ciò che ci permette di conoscere l’Io e l’Altro.

Una persona empatica è molto sensibile alle emozioni delle persone che ha accanto e alla loro energia. Questa sensibilità si verifica sia verso coloro che sono vicini all’empatico tutti i giorni sia verso i perfetti estranei.

Gli empatici percepiscono il mondo che li circonda e ciò che gli altri sperimentano attraverso i loro sensi altamente sviluppati e la loro intuizione. Capiscono come si sentono le persone e sono in grado di captare cosa stanno passando.

Cosa differenzia, quindi, una persona empatica da una che può entrare in empatia?

L’empatico ha un livello di connessione più elevato rispetto alla media. Non prova semplice empatia, parliamo di qualcosa di più: non ha bisogno dei sensi fisici – vista, udito, olfatto, ecc. – per assorbire emozioni ed energie altrui, è invece capace di sentire e interiorizzare le emozioni altrui.

Tenderà, dunque, ad assorbire le emozioni intorno a lui ovunque vada. Anche le emozioni spiacevoli possono invaderlo, come se fossero le sue. Luoghi come case di cura o nosocomi possono arrivare a provocare sentimenti stanchezza in questo tipo di individui.

È importante non fare confusione dando questo nome a emozioni diverse. L’empatia non è la compassione: quest’ultima è una forma di empatia unita al desiderio attivo di aiutare il prossimo; non è l’imitazione: essere empatici non significa imitare i sentimenti dell’altra persona e il suo comportamento; non è la pietà: questa è infatti la preoccupazione per lo stato di un altro soggetto percepito come inferiore.

Se vogliamo crescere, è un’abilità cruciale per noi e le nostre relazioni: ci permette, infatti, di ampliare la nostra percezione, sfruttando esperienze diverse dalla nostra. Essa porta con sé un enorme vantaggio sociale.

L’uomo è un animale che ha sempre fatto di socialità e cooperazione i suoi punti di forza, grazie a cui è riuscito a stabilirsi in cima alla piramide alimentare e ad inventare la propria tecnologia.

Quando si parla di empatia, non si può di certo trascurare l’intelligenza emotiva.

Questa espressione, infatti, è definita come

la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni.
Salovey e Mayer, 1990

Possedere tra le proprie qualità l’intelligenza emotiva significa, perciò, avere le capacità di consapevolezza, motivazione, padronanza di sé, empatia e abilità nella gestione delle risorse umane, che sono alla base di una buona relazione tra individui.

Se guardiamo all’aspetto scientifico, possiamo scrivere che secondo uno studio del Max Planck Institute in Germania, l’area del nostro cervello che si attiva nelle reazioni empatiche, e che resta spenta in abitudini egocentriche, è la circonvoluzione sopra marginale destra, una regione del lobo parietale. Quest’area è centrale nella distinzione delle nostre emozioni rispetto a quelle degli altri.

Inoltre, si attiva per darci l’abilità di osservare e valutare le emozioni che gli altri stanno provando in tempo reale. La ricerca ha dimostrato che un funzionamento subottimale di quell’area ci porta a proiettare le nostre emozioni sugli altri, facendoci diventare egocentrici, dimenticando, appunto, cosa sia l’empatia.

In definitiva, l’enorme e multidisciplinare interesse nei confronti dell’empatia non può che essere dovuto alla consapevolezza che nell’uomo, tale aspetto, sia fondamentale. Nei più diversi modi, essa è co-responsabile della crescita e formazione di una persona, del suo ruolo nel mondo, della comprensione delle dinamiche sociali, dello sviluppo sano di un individuo.

Come scrisse l’economista Jeremy Rifkin, l’uomo moderno è naturalmente portato a provare empatia verso qualcuno:

… sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi

[…]

Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività.

Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-ego, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc.

[…]

Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.