Home Territorio ‘El ingenioso Don Quijote’ a Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani

‘El ingenioso Don Quijote’ a Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani

679
'El ingenioso Don Quijote'


Download PDF

Le opere di Ciro Palumbo in mostra a Venezia dal 3 al 30 settembre

Riceviamo e pubblichiamo.

Negli spazi espositivi della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani, a Venezia, si terrà, dal 3 al 30 settembre 2023, inserita nel circuito della Biennale di Venezia 2023, la mostra di Ciro Palumbo, ‘El ingenioso Don Quijote’, a cura di Anna Caterina Bellati.

Dipinti, sculture e disegni ispirati al capolavoro di Miguel Cervantes e alla reinterpretazione del cavaliere errante più celebre della Storia.

La mostra, organizzata dalla Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani, Bellati Editore, Dadart e Archeion – Archivio Ciro Palumbo e con il patrocinio del Comune di Venezia – Le città in Festa, Venezia Città Metropolitana, non consta solo del percorso espositivo, ma anche del catalogo ‘El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha’ nella lettura poetica di un artista in bilico tra terra e infinito di Anna Caterina Bellati e dello spettacolo teatrale, ispirato al ciclo pittorico, ‘Io, Don Chisciotte (storia quasi eterna di un cavaliere errante)’, scritto da Anna Marchitelli, interpretato da Ettore Nigro, con la regia di Mario Autore che firma anche le musiche.

Lo spettacolo andrà in scena il 2 settembre, durante l’inaugurazione.

La mostra

‘Don Chisciotte della Mancia’ è un’opera monumentale che attraversa la Storia, ed è per questo esposta a un numero imprecisabile di interpretazioni che investono, necessariamente, anche chi sceglie di rileggerlo nuovamente.

Il Cavaliere dalla triste figura, com’è stato appellato dal filosofo Miguel de Unamuno, in costante conflitto eroicomico con la realtà e il suo tempo, sfugge al suo stesso autore, diventando così autonomo, universale, mitologico.

A questa sfera di senso si è ispirato Palumbo quando ha scelto di penetrare le profondità di Don Chisciotte e del Mondo che intorno costruisce, di cui fanno parte il fedele servitore Sancho Panza, l’amata Dulcinea e il cavallo Ronzinante.

L’artista ha così mescolato gli archetipi che costellano la sua poetica con quelli del Don Chisciotte, in un percorso di narrazione visiva e di significati richiamando, su tutti, una visione cristica del cavaliere che, consapevole di sé, fa i conti con la follia, l’utopia, la vita e la morte.

Dichiara Palumbo:

Don Chisciotte, così come gli altri personaggi che hanno abitato i precedenti cicli pittorici, da Dante ad Ulisse all’Homo Viator, sono dei messaggeri in quanto portatori di temi importanti, mettono puntualmente in discussione la mia arte e le mie visioni.

Con Don Chisciotte, poi, che ho dipinto in mondo non stereotipato, piuttosto ne ho rappresentato tutte le fasi esistenziali, ho in comune la propensione alla visionarietà, all’onirico.

Il corpus di opere – 46 lavori tra dipinti e carte e 4 sculture – mostra la volontà di confrontarsi con l’altro, capirne a fondo l’anima per diventare in certa misura ‘quel’ cavaliere.

Il modo di esprimersi di Don Chisciotte dice di un personaggio colto e articolato che vive, spera, duella e sogna dentro una sintassi precisa e pulitissima, riuscendo a mantenersi elegante in qualunque situazione; Palumbo, a sua volta, piega i propri codici espressivi a quella figura malinconica e preromantica regalandole persino soddisfazioni inattese.

Come il fidato Ronzinante che addirittura acquisisce l’aspetto di un animale superbo in grado persino di volare.

Lo spettacolo

Lo spettacolo nasce dal confronto serrato e intenso tra Marchitelli e Palumbo, mettendo in pratica un dialogo germinativo tra le arti. L’artista firma anche la scena composta da quattro tele, 160 cm x 200 cm, e oggetti di scena, creando un proseguimento, ideale e reale, con il percorso espositivo, mentre i costumi sono di Anna Zuccarini.

È la paura di morire che, in origine, spinge don Chisciotte ad abbandonare la vita sicura che conduce nel suo paese e a lanciarsi nell’avventura di diventare ‘cavaliere errante’.

Ad animarlo il desiderio di fama eterna, ma anche la volontà di andare incontro all’uomo, e all’umano, per difenderlo dalle ingiustizie e dalle ingiurie.

Il sogno donchisciottesco, stavolta, perde i contorni romanzeschi: è lo stesso personaggio, sulla soglia tra il vivere e il morire, a far cadere l’illusione e a svelare, in primis a Sancho Panza, che le etichette che gli ha affibbiato il ‘popolo dei savi e sani di mente’, ovvero ‘il folle’, ‘lo scemo che si è scimunito a causa dei libri e della donna amata’, o ancora ‘lo stolto che combatte contro i mulini a vento’, sono frutto di una secolare e consapevole messinscena da parte del protagonista.

Mostrandosi, dunque, come un moderno cristo processato e crocifisso per il suo amore verso l’umanità tutta, più realista e vitale di quanto si sia sempre pensato, si apre il varco per una riscrittura dello spirito donchisciottesco.

Spirito che, oggi più che mai, invita uomini singoli e soli ad unirsi sulla scia da lui lasciata: perché un esercito di don Chisciotte fa più paura di un cavaliere solitario.