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Eco, il web e la post-verità

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Umberto Eco


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Breve analisi della comunicazione ai tempi dei social del popolo che non sceglie

Il termine post-verità compare per la prima volta nel 1992, lo utilizza lo scrittore Steve Tesich in un articolo sulla guerra nel Golfo, pubblicato per la rivista The Nation.

We, as a free people, have freely decided that we want to live in some post-truth world.

Noi, come popolo libero, abbiamo liberamente deciso che vogliamo vivere in una sorta di mondo post-verità.

Da allora questo concetto si è molto diffuso, tanto da essere entrato nel linguaggio comune.

Ma cosa si intende per post-verità?

Il neologismo è usato per indicare le false notizie pubblicate a scopo propagandistico, vuoi per gettare discredito su un avversario politico, vuoi per distrarre l’attenzione pubblica da altri fatti di cronaca, e accettate come vere dalla popolazione.

Sebbene non ancora etichettate in questo modo, esempi di queste tecniche sono riscontrabili sin dall’antichità, anche se la loro efficacia cresce in modo esponenziale con la nascita dei mezzi di comunicazione di massa. Questo per due motivi fondamentali; la diffusione ampia e rapida delle notizie e l’aura di magia che assumono gli stessi media.
Il riferimento alle teorie del proiettile magico o dell’ago ipodermico è obbligatorio, anche se approfondirle non ci interessa in questo contesto. Preferiamo citare ad un episodio che esemplifica nel migliore dei modi questa tendenza.

Corre l’anno 1988, su RAI 2 va in onda Indietro tutta, trasmissione visionaria e meta-televisiva condotta da Renzo Arbore e Nino Frassica. Ospite della serata dell’8 gennaio è Massimo Troisi, protagonista del quiz L’identichiè. Troisi è il personaggio misterioso da identificare, cosa che sembrerebbe particolarmente semplice, sia per la grande notorietà di cui già allora godeva il compianto attore, sia per una serie di indizi lampanti forniti dal “bravo presentatore”. Tra lo stupore di tutti, però, la risposta che sembrerebbe corretta si rivela sbagliata. Le buste in possesso di Frassica e del notaio riportano un altro nome, quello di Rossano Brazzi. Il tentativo di convincere Troisi ad accettare la “post-verità” della sua falsa identità è surreale, oltre che emblematico di una realtà artefatta che si sovrappone a quella autentica, la prevarica, fino a cancellarla.

Per chi non avesse visto quella puntata, il video è disponibile sul sito di RAI storia, oltre ad offrire una serie di spunti di riflessione lo troviamo esilarante.

Siamo alla soglia di quella che sarà la grande rivoluzione dei media, dovuta all’avvento di Internet, da cui sono superati, inglobati, ma soprattutto orizzontalizzati. Nel web chiunque abbia la possibilità di essere ricevente ha a sua disposizione tutti gli strumenti e le competenze per essere allo stesso tempo “protagonista” della comunicazione, facendo sentire la sua voce. I costi, le competenze tecniche indispensabili per i media classici e che facevano da barriera alla possibilità di diventare emittenti, sono azzerati. Con delle conseguenze fondamentali nel nostro discorso.

L’immediatezza, la compiutezza del tempo reale, portano ad una propagazione sempre più vasta e rapida dell’informazione, che nelle sue estremizzazioni assume i connotati della viralità. Di contro assistiamo a risvolti negativi, legati non tanto allo strumento in sé, quanto all’uso che se ne fa.

Uno degli effetti collaterali dovuto alla enorme quantità di informazioni che sono divulgate in rete, è quello della disinformazione per ridondanza. Se gli stimoli comunicativi sono numericamente eccessivi, la nostra attenzione selettiva va in corto circuito e non è più capace di discriminare quelli utili, quelli di “qualità”, per cui tutto diventa “rumore”, quindi non-informazione.

Ma sono troppi anche gli utenti, proprio in virtù di quella orizzontalizzazione dei media di cui parlavamo, anche questo va a scapito della qualità.

Come non ricordare Umberto Eco:

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.

Se il termine imbecille può sembrare forte, e lo lasciamo al genio che è stato Eco, noi preferiamo far riferimento ad altre statistiche che parlano, invece, di analfabetismo funzionale, ovvero l’incapacità di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. In sostanza, un analfabeta funzionale è incapace di comprendere quello che legge, soprattutto se si tratta di un testo lungo e complesso, e, soprattutto, di elaborare un pensiero critico.

Secondo un recente studio dell’OECD, Organisation for Economic Co-operation and Development, circa il 70% degli italiani, ovvero quasi 3 su 4, rientra in questa casistica.

Ovviamente i due fenomeni sono strettamente connessi. Molte informazioni, di scarsa qualità, unite ad una sempre più bassa capacità di distinguere la veridicità delle stesse, di stabilire l’attendibilità della fonte.

Un’altra ricerca molto recente, realizzata dall’Università Suor Orsola Benincasa, giunge ad un’altra allarmante conclusione, l’82% degli italiani non è in grado di riconoscere una fake news, ovvero una notizia falsa.

Il cerchio si chiude, almeno per il momento, torniamo al discorso iniziale: la post-realtà.

La popolazione, in particolare quella dei social, è sempre meno in grado di capire se si trova di fronte ad una “bufala”, per usare la terminologia dell’ateneo napoletano, soprattutto se questa fa rifermento alla sfera emotiva, irrazionale. La dialettica politica, dunque, si sposta su questo terreno; utenti o testate, apparentemente scollegati da organizzazioni e partiti politici, puntano sulla leva emozionale, sull’indignazione, su foto che colpiscono allo stomaco.

Inevitabilmente, il livello del dibattito scade, nel turpiloquio, nell’offesa diretta e personale, rivolta ad altri utenti, al personaggio pubblico o alla fazione politica bersagliata dalla falsa notizia.

Di conseguenza dilagano gli “hater”, i “portatori di odio”, fenomeno prima circoscritto al contesto statunitense, ma, di giorno in giorno, più diffuso anche in Italia.

I social sembrano essere diventati una zona franca, un territorio senza regole dove protetti da un anonimato fittizio ci si sente liberi di insultare, di minacciare, di chiedere l’esilio o di augurare la morte a chiunque.

Un precipitare senza freni, in cui il delirio di intoccabilità si estende al punto che per odiare non ci si serve più di profili falsi, come inizialmente accadeva, ma non si esita a farlo con il proprio nome e cognome reale, con tanto di foto in evidenza nella propria bacheca.

In questo clima le post-verità diventano sempre più efficaci come mezzo per spostare un’opinione pubblica sempre più in balia dei falsari dell’informazione, abili nel manipolare frustrazioni e risentimenti, nel rimestare torbide emozioni e furori da tastiera.

Questo ci porta, in qualche modo, a rivedere l’affermazione iniziale di Tesich, che parlava di scelta deliberata, di volontà di vivere in un some post-truth world.

Quanta libertà può esserci in un popolo che sarebbe composto in larga parte di analfabeti funzionali, incapace di distinguere tra vero, plausibile e falso, ma soprattutto incapace di comprendere appieno quanto legge?

Ci viene di parafrasarlo, di creare una strana fusione tra le sue parole e quelle di Eco:

Noi, come popolo di imbecilli, siamo confinati in una sorta di mondo post-verità dal nostro analfabetismo funzionale.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.