Non c’è dubbio che il cambiamento climatico stia avvenendo; l’unico punto discutibile è quale parte in gioco vi abbiano gli esseri umani.
David Attenborough
Una delle principali e più urgenti crisi che ci sta investendo e che ci potrebbe colpire in maniera definitiva nei prossimi anni è proprio il cambiamento climatico.
Esso raffigura una sfida centrale per lo sviluppo umano ed è un problema globale che non riguarda solo il futuro, ma anche il presente: già ora stiamo testando le sue conseguenze, fra cui incremento del livello del mare, aumento in frequenza ed intensità dei fenomeni meteorologici estremi come siccità, ondate di calore, precipitazioni estreme, acidificazione delle acque, maggiore probabilità di pandemie, riduzione della resa agricola, migrazioni climatiche e, purtroppo, tanto altro.
I cambiamenti climatici già esaminati negli ultimi decenni potranno essere ulteriormente inaspriti dalle variazioni attese del clima, comportando rischi di diversa entità a seconda di quanto si riuscirà a fare per limitare il riscaldamento globale.
Oltre all’urgenza di agire con decisione per osteggiare i cambiamenti climatici in atto e diminuire i rischi attesi, molto lavoro deve essere fatto anche sul fonte dell’adeguamento, in maniera capillare sul territorio italiano affinché esso sia reso resiliente e pronto a rispondere alle sfide in atto.
Soluzioni di mitigazione e di adattamento devono essere realizzate con urgenza e in sinergia al fine di ottimizzare i risultati e coadiuvare a quella trasformazione non più rinviabile verso uno sviluppo sostenibile e resiliente del nostro territorio.
Se pensiamo che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i tre mesi estivi da giugno ad agosto sono stati i più caldi in Europa da quando si monitora il dato climatico, la situazione è drammatica. Le temperature eccezionali hanno portato alla peggiore siccità che il continente abbia registrato dal Medioevo.
Ha affermato il Direttore dell’OMS per l’Europa, Hans Kluge:
Sulla base dei dati nazionali presentati finora, si stima che almeno 15.000 persone siano morte specificamente a causa del caldo nel 2022
Parliamo di quasi 4 mila decessi in Spagna, più di mille in Portogallo, più di 3.200 nel Regno Unito e circa 4.500 secondo i dati preliminari fino a ottobre; finora quest’anno la colonnina di mercurio globale è stata 1,15°C sopra la media del periodo pre-industriale, cioè la temperatura della seconda metà del 19° secolo. Il dato è in linea, anzi appena sopra, la media degli ultimi 10 anni.
Dal 2013 a oggi la temperatura globale è cresciuta di 1,14 gradi. Ma se si prende il decennio 2011-2020, la media dell’anomalia termica è 1,09°C. E bisogna considerare che il 2022 è stato all’insegna de La Niña, un fenomeno atmosferico che ha un effetto raffrescante sul clima globale. Lo possiamo affermare: caldissimi. Anzi: i più caldi mai registrati fino ad oggi.
È la funesta etichetta che, come possiamo dedurre, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale sta appiccicando sugli ultimi otto anni che abbiamo appena vissuto. Anni in cui la temperatura media ha continuato a salire, arrivando nel 2022 addirittura a +1,15°C sopra i livelli pre-industriali, quell’arco temporale che va dal 1850 al 1900.
Un decennio scarso che ha innescato un domino climatico devastante su tutti i componenti del nostro Pianeta: il mare, i ghiacci, le foreste, i fiumi, gli animali, l’uomo. Secondo il rapporto sullo Stato del clima globale nel 2022 della Wmo, presentato durante l’apertura della Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, dall’anidride carbonica al metano fino al diossido di azoto, hanno raggiunto livelli record nel 2021 e sono sulla buona strada per superarli già entro la fine di quest’anno.
Quello che potrà avvenire è purtroppo facile da immaginare. Il caldo aumenta e fa sciogliere ghiacciai e calotte polari che si rovescia nei mari e negli oceani ne eleva il livello delle acque fino a mettere sotto scacco stati insulari e coste.
Le temperature roventi scaldano i mari, minacciano pesci e la biodiversità marina, provocano la desertificazione, intimorendo la biodiversità terrestre. A ciò, vanno aggiunti gli eventi meteorologici estremi come la siccità o il suo opposto, imputabili di conseguenze gravi per migliaia di persone sparse nel mondo che, colpite da fame, miseria e malattie, riempiono di anno in anno il registro delle vittime del cambiamento climatico.
Ognuno di noi, che lo sappia o no, è abituato a vivere ogni giorno con il rischio, a valutarlo e, in qualche modo, a gestirlo. Il rischio fa parte delle nostre vite forse più di quanto non siamo abituati a riconoscere: le polizze assicurative, gli investimenti finanziari, la scelta di una terapia per curare una malattia, perfino la decisione se prendere o no l’ombrello quando si esce di casa.
Tanto va che la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici ha molto a che fare con i rischi, con la complessità con cui siamo soliti descrivere le società contemporanee e con i processi decisionali che si sviluppano a tutti i livelli, da quello individuale, al governo locale, regionale, nazionale e oltre.
Quanto più i molteplici aspetti delle società contemporanee si collegano, diventano interdipendenti, tanto più la ricerca scientifica gioca un ruolo risolutivo nel cercare di illuminare tale complessità e di farla emergere di fronte alla conoscenza di chi è chiamato a prendere decisioni collettive.
Dobbiamo darci degli obiettivi concreti: un nuovo modello energetico, l’uscita dalle fonti fossili, una strategia di adattamento e rigenerazione che parte dalle città e coinvolge le aree interne, la tutela delle foreste e del suolo, la riduzione del rischio idrogeologico per rispondere all’emergenza siccità, interventi di riqualificazione in chiave energetica e sismica per l’edilizia, una nuova agricoltura sostenibile, una mobilità sostenibile a zero emissioni, senza dimenticare una concreta riconversione industriale ed economica a favore del paradigma cosiddetto circolare.
Come prevede l’Accordo di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici del 2015, è cruciale che i Paesi che hanno più gravi responsabilità storiche e maggiori capacità economiche siano in prima linea. L’Europa è senza dubbio tra questi.
Il Vecchio Continente possiede tutte le risorse per introdurre un’azione climatica ambiziosa mirata alla creazione di un’Europa libera dalle fonti fossili ed economicamente efficiente e tradurre così in realtà il Green Deal Europeo. Ma deve farlo rapidamente, riducendo entro il 2030 le sue emissioni del 65% rispetto ai livelli del 1990 così da poter raggiungere la neutralità climatica, ossia zero emissioni nette, già entro il 2040.
Sembra un’impresa impossibile: garantire un futuro sicuro alla vita sulla Terra, su una scala e a una velocità mai viste al mondo, al cospetto di forze enormi e potenti: non solo i magnati del petrolio e i governi, ma il sistema climatico stesso che cambia.
Le probabilità giocano a nostro sfavore e non abbiamo più tempo. Ma non deve andare per forza così. Il cambiamento climatico è uno dei nostri più grandi problemi, ma anche la nostra più grande fonte di speranza. Una volta che avremo il quadro completo, saremo in grado di agire; e se lo sciopero di una studentessa è stato capace di accendere una protesta globale, cosa potremmo fare collettivamente, se solo ci provassimo?
Tutti noi abbiamo la responsabilità di vivere nel periodo più decisivo della storia dell’umanità e che, insieme, possiamo fare ciò che all’apparenza è impossibile. Ma dobbiamo farlo noi e dobbiamo farlo ora.
L’uomo è dotato d’intelligenza e di forza creativa per moltiplicare ciò che gli è dato, sinora però egli non ha creato, ma distrutto.
Le foreste si fanno sempre più rade, i fiumi si seccano, la selvaggina si è estinta, il clima si è guastato, e di giorno in giorno la terra diventa sempre più povera e più brutta.
Anton Čechov
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.