Testo a cura di Gionata Barbieri, Presidente dell’Accademia di Arnau Roger
Nel 2019, l’UNESCO ha inserito la Transumanza nella lista del Patrimonio Culturale immateriale dell’Umanità, candidatura avanzata congiuntamente da Italia, Austria e Grecia.
Il menzionato dato rende facilmente l’idea della grande importanza che rivestì – e in alcuni luoghi riveste ancora seppur con forme diverse – questo importante fenomeno economico e sociale, che è stato uno dei motori di sviluppo e di contatto, per millenni, di una estesa parte dell’Italia centro-meridionale.
Infatti, la portata transregionale di questi percorsi di remota origine si evince, come spesso accade, dalle connessioni e dai collegamenti ad altre strade di origine preistorica come la Via Salaria, la Via Valeria, la Via Latina e la Via Appia, incrociando sentieri con santuari, risorse naturali, mercati e le principali rotte commerciali.
Il tratturo era il percorso che attraversavano i pastori con le mandrie e soprattutto con le greggi nella loro attività stagionale della transumanza che li vedeva spostarsi dalle zone montuose e alto-collinari durante l’inverno, alle zone pianeggianti dove il clima era meno rigido e il pascolo garantito, per poi far ritorno, durante la stagione calda, verso le montagne e le colline.
La transumanza è una pratica conosciuta in tutto il mondo e numerose ricerche archeologiche attestano la sua esistenza anche in epoche assai antiche o arcaiche. In Europa fu attuata quasi ovunque, e raggiunse delle dimensioni significative in Spagna, nei Carpazi, nei Balcani e, ovviamente, in Italia.
Nel Centro-Sud della Penisola, in particolare, «divenne una delle principali e maggiormente regolamentate attività economiche durante tutta l’età moderna e, proprio per questo, grande attenzione e grande cura vennero riposte sul mantenimento e l’efficienza dei tratturi e sulla tutela dell’attività pastorizia e transumante, sulla quale lo Stato si assicurava cospicui cespiti».
Il percorso tipico partiva dall’Abruzzo, attraversava il Molise, e giungeva in Puglia nell’area della Capitanata e del Tavoliere. Altre vie invece provenivano dalla Campania interna, sempre verso la Puglia, e sono poi noti diversi altri sentieri più brevi in altre località.
L’etimologia di Transumanza è da ricercare nel verbo transumare, “transitare attraverso la terra” (a sua volta derivato dal latino trans – “attraverso” e humus – “terra, suolo”), e coinvolse non solo animali, primariamente ovini, ma anche bovini ed equini, ma financo le comunità umane dedite ad allevarli, e secondo alcuni studiosi potrebbe essere considerata come una vera e propria modalità “scientifica” di utilizzo del territorio, mentre per altri una forma di nomadismo stagionale.
Già durante il regno di Ruggiero II d’Altavilla la voce corrispondente al gettito fiscale garantito dalla “fida”, ossia il prezzo o tassa per ‘uso coercitivo degli erbaggi del Tavoliere, era di notevole entità.
Con il Re ed Imperatore Federico II Hohenstaufen si assiste ad una evoluzione del fenomeno, soprattutto in termini di organizzazione giuridica, attraverso alcuni articoli concernenti la transumanza verso le Puglie contenuti nelle “Constitutiones”.
Nel 1254, tra Corrado I e Corrado II di Svevia, un ulteriore balzo si ebbe dal punto di vista del gettito dato dalla fida alle casse del regno siciliano.
Le guerre che contrapposero gli Svevi agli Angioini causarono una riduzione delle attività legate alla pastorizia transumante e, una volta impadronitasi del reame, la Casa d’Angiò decise di puntare fortemente a incentivare la coltivazione diretta delle terre demaniali del Tavoliere mediante la costruzione di numerose masserie fortificate sul territorio, affidate ad alti funzionari regi, direttamente dipendenti dal potere centrale, definiti “Maestri Massari”, che avevano anche competenze contabili oltre che gestionali.
Comunque, Carlo I d’Angiò provò a risollevare ugualmente l’economia della transumanza attraverso due provvedimenti principali, anzitutto fece importare dal nord Africa esemplari di razza ovina barbaresca per migliorare quella locale e poi consentì alle greggi provenienti dal Patrimonio di San Pietro di usufruire dei pascoli abruzzesi a fronte di un pagamento che prevedeva una parte come canone dello Stato e un’altra a favore del proprietario del fondo rustico. Con Giovanna II d’Angiò-Durazzo furono costituiti i “Capitoli” che regolavano e strutturavano ulteriormente la transumanza.
Ma la vera e propria strutturazione del fenomeno, a cui corrispose un grande sviluppo economico, almeno per le finanze dello Stato, avvenne con la dinastia Trastamara di Aragona.
In particolare è con gli Aragonesi che si verifica una capillare organizzazione centralizzata del comparto, con l’identificazione dei Regi Tratturi (Fig. 1 – i primari erano cinque), le vie della transumanza, di cui venne delimitato il tracciato con lapidi inamovibili e dei quali il più importante era il cosiddetto Tratturo Magno che univa L’Aquila a Foggia.
Il tutto fu istituzionalizzato attraverso la fondazione nel 1447 della “Dohana menae peducum Apuliae” detta anche “Regia Dogana della mena delle pecore di Puglia” dapprima nella città di Lucera, l’originaria sede della Regia dogana fu in piazza Santa Caterina, e poi trasferita nel 1468 in Foggia, dove la sede originaria era in piazza Federico II, angolo via Arpi, trasferitasi poi, dopo il terremoto del 1731, nella nuova sede in piazza XX settembre, così che fu anche chiamata genericamente come “Dogana di Foggia”.
Questa dogana assicurò, quindi, uno dei principali cespiti dell’erario del regno napoletano. L’annesso tribunale era competente a giudicare tutte le cause in cui erano coinvolti i pastori. Contro le sentenze di questo tribunale si poteva fare ricorso alla Regia Camera della Sommaria di Napoli, suprema magistratura tributaria del Regno.
Alfonso il Magnanimo, partendo dai Capitoli di Giovanna II, strutturò il fenomeno della transumanza ispirandosi profondamente al funzionamento del “Honrado Concejo de la Mesta” in Castiglia o “Real sociedad de ganaderos de la Mesta” (Fig. 2), ma anche parzialmente al “Camín Real del Puertu de la Mesa” spesso abbreviato in “Camín Real de la Mesa” e ad alcuni principi vigenti per la “Casa de Ganaderos de Zaragoza” o “Cofradía de San Simón y San Judas”.
Inoltre, importò un grande numero di pecore “gentili”, razze merine provenienti dalla penisola iberica, in realtà antico incrocio tra ovini ispanici e altri ancora di provenienza africana, per migliorare la produzione della lana. Il primo Regio Doganiere fu il catalano Francesc de Montluber che ebbe l’onere di porre in atto le innovazioni.
Questo prestito organizzativo spagnolo fu ricambiato tempo dopo dal Regno di Napoli. Infatti la visione centralizzante che si rispecchiò nel 1489 con lo “Ordenamiento del Concejo de la Mesta” dei Re Cattolici e con il Re Enrico IV di Castiglia nel 1462, sembravano richiamare in alcuni aspetti quanto stabilito con i principi vigenti nella Regia Dogana della mena delle pecore di Puglia.
Ritornando all’Italia, l’infrastruttura alfonsina fu la base essenziale su cui si innestarono le successive modifiche avvenute col tempo nel Regno di Napoli per regolamentare greggi ed armenti. La Regia dogana della mena delle pecore di Puglia dal 1532 estese la sua competenza anche all’Abruzzo attraverso una specifica unità luogotenentizia.
Allora avvenne che la cosiddetta “Doganella d’Abruzzo”, nata per controllare e tassare le greggi che non svernavano in Puglia, divenne autonoma dalla “Dogana Grande” di Foggia nel 1590.
Dopo ulteriori riforme borboniche, essa fu però soppressa durante l’occupazione francese del Regno di Napoli con una legge promulgata da Giuseppe Bonaparte il 21 maggio 1806, da cui derivò il passaggio dell’utile dominio delle terre del Tavoliere ai locatari, “locati”, in proporzione alle greggi da loro possedute.