Forse non dicono molto, anche a numerosi addetti ai lavori, i nomi di Danah Boyd, Shery Turkle, Nathan Rheingold e Nathan Jurgeson, ma leggere i risultati delle loro ricerche, specialmente per chi ha figli cosiddetti nativi digitali, sarebbe quanto mai opportuno.
Si tratta di ricercatrici e professori di sociologia presso università americane che trattano temi come il cyberbullismo, l’identità online e le dinamiche delle comunità virtuali, nonché relazioni umane, inclusi i fenomeni legati ai social media, giungendo a conclusioni talvolta inquietanti sull’impatto della tecnologia sulla società e, in particolare, sui giovani.
Il risultato finale dei loro studi ben può essere definito dramma sui social, un concetto poco conosciuto su controversie, conflitti o tensioni che si manifestano e si diffondono attraverso le piattaforme di social media, coinvolgendo individui, gruppi o comunità e spesso caratterizzati da discussioni accese, polemiche o comportamenti negativi come il trolling o il cyberbullismo.
Soprattutto per i nativi digitali, cresciuti con l’uso dei social media come parte integrante della quotidianità, il coinvolgimento in drammi sui social può rivelarsi una parte significativa dell’esperienza online, tale da avere un impatto emotivo e psicologico sugli individui coinvolti ed influenzare la percezione della sicurezza e del benessere.
Inoltre, tale nozione può essere amplificata dalla velocità di diffusione delle informazioni sui social media e dalla loro portata, addirittura globale.
Ciò significa che anche le controversie locali possono rapidamente diventare virali e coinvolgere un vasto pubblico, portando ad una maggiore intensità e visibilità dei conflitti online, con potenziali ripercussioni per coloro che ne sono coinvolti.
Le conclusioni degli autori menzionati, oltre a quelle e di altri studiosi che hanno esaminato tale fenomeno, possono ovviamente variare a seconda dei contesti specifici e delle prospettive teoriche adottate. Tuttavia, alla base e nelle risultanze di tutti, sono state individuate alcune tendenze e si è giunti a considerazioni comuni.
Tra queste è stato evidenziato che il coinvolgimento in drammi sui social può avere un impatto negativo sulla salute mentale, aumentando lo stress, l’ansia e la depressione, specialmente tra gli adolescenti e i giovani adulti.
Inoltre, situazioni incresciose sul web possono contribuire alla polarizzazione delle opinioni e alla formazione di fazioni o comunità online, con conseguenze potenzialmente negative per il dialogo civile e la coesione.
Non è infrequente, tra l’altro, che i drammi sui social possano sfociare in comportamenti dannosi come i menzionati cyberbullismo e trolling a cui si aggiunge l’hate speech, che possono avere risonanze devastanti per le vittime e per il clima generale non solo della comunità online ma anche in ambito familiare.
Alcuni studiosi vedono i drammi sui social come parte di una cultura digitale più ampia in cui l’attivismo, la visibilità e la partecipazione pubblica sono incoraggiate, ma riconoscono anche i rischi associati ad un’attenzione eccessiva al sensazionalismo e alla controversia, che possono degenerare in ansia e fobie di non essere accettati.
Tra i possibili effetti è emerso come essi possano influenzare le relazioni e le dinamiche sociali offline, creando tensioni o conflitti che si manifestano anche nella vita reale.
In generale, vi è consenso sul fatto che rappresentino un fenomeno complesso, che richiede una comprensione approfondita delle dinamiche sociali, culturali e psicologiche delle piattaforme di social media ma, ancora di più, su chi le frequenta.
Le soluzioni proposte spaziano dalla promozione della media literacy e della consapevolezza digitale alla progettazione di politiche e strumenti tecnologici per mitigare gli effetti negativi dei drammi sui social e promuovere comportamenti più positivi e costruttivi online.
Sembra che, anche qui, scuola e famiglia, questa per prima, siano chiamate ad un non semplice lavoro considerata la pervasività degli strumenti social e tecnologici.
Autore Gianni Dell'Aiuto
Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.