Napoli è una città strana, come stravagante è il suo popolo.
Ancora oggi si respira l’essenza proveniente dal mondo classico, in cui il mito era parte integrante della vita quotidiana, una continua mescolanza di realtà e leggenda dove quest’ultima trova terreno fertile nella fantasia della sua gente, che predilige l’immaginazione alla ragione.
Ecco, quindi, la dedizione viscerale verso le anime pezzentelle, i teschi senza nome né famiglia, “adottati”, la venerazione di un corpo, ritenuto inizialmente di donna, senza testa fino all’innamoramento nei confronti del capo di donna senza tronco.
Tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII venne rinvenuto un reperto di sicura provenienza ellenistica raffigurante una testa di donna con la tipica pettinatura greca, capelli legati, sguardo sereno e persuasivo, le cui proporzioni non rispettavano i soliti canoni.
Non sappiamo con sicurezza dove fu trovata, c’è chi afferma nella zona dell’Anticaglia, il vecchio cuore pulsante, l’agorà, la plateia superiore, chi invece giurerebbe che il suo posto è stato sempre vicino al mare, nella piazza del mercato.
In realtà, A capa ‘e Napule fa il suo ingresso in società nel 1594 quando un nobile napoletano, la fa posizionare su un basamento di piperno in un angolo tra via Duca di San Donato e via Sant’Eligio.
Di questo capo ritrovato ci parlano verso la fine del XVII secolo due illustri concittadini, Carlo Celano, canonico, autore teatrale e satirico, oltre a storico dell’arte, nelle ‘Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli’ e Giovanni Antonio Summonte, mercante di seta, nonché ricercatore, storico e politico in ‘Dell’historia della città e regno di Napoli’. Entrambi affermano che sicuramente incarnava la Sirena Partenope, viste le proporzioni non poteva che rappresentare il nume tutelare della città.
Studi successivi hanno invece attribuito questa scultura ad un’antichissima statua appartenuta ad un tempio greco, dividendo l’attribuzione tra Cibele, la Magna Mater, e Afrodite dea della bellezza e dell’amore. In riferimento alla bellezza, però, l’ironia napoletana non ha eguali e per indicare una persona particolarmente brutta con una testa sproporzionata si coniò il detto pare ‘a capa ‘e Napule.
L’amore, invece, ha incardinato questa testa al popolo partenopeo, capace di trasformarla, negli anni, in un vero e proprio simbolo a cui riferirsi, confidare l’irraccontabile, da adornare di ghirlande e nastri nei giorni di festa, catalizzatore indiscusso degli avvenimenti sia lieti sia nefasti, quasi un oracolo a cui rivolgere i propri affanni e le proprie aspettative.
Oltre che nel privato, era la protagonista della vita pubblica, tanto è vero che durante la rivolta di Masaniello, avvenuta nel luglio del 1647 contro una spropositata pressione fiscale del governo spagnolo, la gendarmeria le distrusse il naso. La gente comune, soprattutto marinai del porto, si adoperò, con la solita arte di arrangiarsi, a ripararla alla bell’e meglio.
Marianna, questo è il nome che le fu dato, assurse a simbolo della speranza e della rivoluzione, consolidando il suo status di fedele e silenziosa entità protettrice, che, immota, dovette assistere prima alla rivoluzione del 1799 e poi all’atroce repressione di gran parte dell’Intellighenzia napoletana ad opera di Maria Carolina, proprio in piazza Mercato.
Non si sa esattamente perché si iniziò a chiamarla affettuosamente in questo modo, qualcuno la paragona alla famosa Marianne, rappresentazione allegorica della repubblica francese, altri, invece, lo collegano al fatto che, per un breve periodo, fu spostata di fronte alla chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, nei pressi di Piazza Dante, dove era conservato un busto di Sant’Anna, per cui vi fu l’abbinamento di Maria e Anna.
Solo nel 1879, grazie ad un benestante cittadino, forse Alessandro di Miele, fu totalmente restaurata, prendendo l’attuale fisionomia e riportandola definitivamente accanto alla chiesa di San Giovanni a Mare.
Le sue peripezie non hanno fine, ancora una volta deturpata nella seconda guerra mondiale a causa dei bombardamenti americani, si decise di strapparla dal luogo che l’aveva vista protagonista indiscussa trasferendola, nel 1961, in via Duomo in modo che diventasse parte della collezione del Museo Filangieri.
Pochi anni più tardi, e dopo l’ennesimo restauro, si decise di trasferirla, in maniera definitiva, sul pianerottolo dello scalone centrale di Palazzo San Giacomo, attuale sede del Comune di Napoli, affinché possa continuare ancora a proteggerne le sorti.
Nel 1975, per la mostra del francobollo svoltasi nel Palazzo Reale a Napoli, la Repubblica di san Marino le ha dedicato un’emissione filatelica.
Piazza Mercato e la chiesa di San Giovanni a Mare non potevano resistere alla mancanza della sua Dea e Regina, per cui, nel 2003, fu scolpita, ad opera delle Belle Arti, una copia che continua la sua incessante opera di archetipo di un’antica città. È ritorna lì, dove aveva vegliato per secoli, all’aria aperta, desiderosa ancora di sole, del profumo del mare e, soprattutto, delle chiacchiere della gente.
Foto Rosy Guastafierro
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.