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Disuguaglianza paritaria

Disuguaglianza paritaria


In ogni caso la causa della rivolta è l’ineguaglianza.
Aristotele

Sembra assodato dalla maggioranza degli storici che le ideologie siano state tra le questioni sociali e culturali che più hanno influenzato la storia del Novecento e sino alla caduta del muro di Berlino.

Tuttavia, dopo il 1989 i fenomeni ideologici sono stati come accantonati, sulla scia dell’affermazione dell’idea della “fine delle ideologie”. Da non confondere con la fine della storia, vedi anche articolo https://www.expartibus.it/la-mano-del-gigante.

Ci viene facile oggi considerare le ideologie come intrinsecamente politiche, poiché il loro uso culturale o sociologico, anche se rimosso dalla sfera politica, individua nei rapporti di potere un elemento centrale del concetto.

Inoltre, il potere è un fattore chiave della nostra epoca e della nostra società e per connotare la politica ed indica la capacità da parte di un individuo o di un gruppo di far valere i propri desideri ed interessi anche di fronte alla resistenza altrui.

Il suo esercizio comporta spesso l’utilizzo della forza e della violenza, ma è anche accompagnato dallo sviluppo di idee che giustificano l’azione di chi lo detiene.

Esso diventa legittimo quando è capace di far accettare le proprie decisioni come ben fondate e ciò non sempre avviene, perché possono sorgere azioni di resistenza da parte dei dominanti.

L’ideologia è un tipo possibile di giustificazione del potere, su cui chi lo detiene può cercare di fondare la propria liceità. I rapporti di potere che l’ideologia può giustificare non sono solo legati alle classi sociali, ma alle differenze di potere tra uomini e donne, tra diversi gruppi etnici e diversi stati – nazione.

Aneliti di libertà, aspettative di esiti auspicati, soddisfazione di esigenze materiali e morali, volontà di ideare e progettare o semplice desiderio di quieto vivere si scontrano sempre e inevitabilmente con svariati condizionamenti sociali, che coartano il pensiero e l’azione.

Ma, per di più, altri vincoli interiori incombono e, a loro volta, determinano, anche inconsciamente, le idee, le aspirazioni e le scelte del nostro pensare e del nostro agire. Ciò accade tanto per i singoli individui quanto per i gruppi sociali e per le intere comunità.

Misurarsi con il tema dell’ideologia significa prendere piena consapevolezza di questa realtà, coglierla alla radice e, allo stesso tempo, acquisire la capacità di dominarne le manifestazioni e le dinamiche più evidenti.

Legata all’ideologia, in un abbraccio forte e decoroso ma, anche, morboso ed infimo, c’è la disuguaglianza, tra le cause principali dell’infelicità collettiva. Semina sfiducia, indebolisce la coesione sociale e mette a rischio la democrazia. Il genere umano vive oggi in condizioni di salute mai godute prima nella sua storia: lo stesso vale per l’accesso all’istruzione e alla cultura.

Il reddito, nei limiti della possibilità di misurarlo, è passato da un potere d’acquisto medio – espresso in euro – di 80 euro al mese per abitante del pianeta nel 1700, a circa 1.000 euro al mese nel 2020.

Questi importanti incrementi quantitativi, che, è bene ricordarlo, corrispondono a ritmi di crescita annuale media di appena lo 0,8%, accumulati in più di tre secoli, rappresentano comunque dei ‘progressi’ incontestabili del medesimo ordine di grandezza di quelli che si sono verificati per la salute e per l’istruzione e provano che, forse, per garantire il benessere sul pianeta non è indispensabile una crescita del 5% annuo.

Dobbiamo ricordare che tra il 1700 e il 2020 la popolazione mondiale è passata da circa 600 milioni di persone a più di 7 miliardi, dobbiamo però anche stare attenti a non lasciarci ingannare da una cosiddetta media del pollo.

Il progresso esiste, ma è fragile e iniquo e, in ogni momento, può essere cancellato dalle derive identitarie e dalla rinnovata crescita delle disuguaglianze, che si sono enormemente accentuate a partire dagli anni Ottanta.

Proprio da quest’ultimo decennio, la speranza in un mondo più giusto e i progetti di trasformazione anche radicale, di fatto, si sono dovuti scontrare con il triste bilancio del comunismo sovietico e le sue disparità fondate non sul patrimonio, ma su status e conseguenti privilegi e con il disincanto.

A partire dagli anni Novanta, un mondo iperconnesso e legato da un’infinità di relazioni fa da riscontro ad una società ipercapitalista. Le discrepanze assumono forme anche nuove: per esempio, quella nelle emissioni di anidride carbonica.

Gli stati competono anche in termini di concorrenza fiscale. I patrimoni non sono solo più concentrati, sono anche più opachi. Le strutture sociali continuano ad avere una forte impostazione patriarcale e le differenze di genere non si sono certo risolte.

È ovvio che vi siano contraddizioni e divari. In effetti, ogni società umana deve giustificare i suoi dislivelli: è necessario trovarne le ragioni, perché, in caso contrario, è tutto l’edificio politico e sociale che rischia di crollare. Ogni epoca produce, quindi, un insieme di narrative e di ideologie contraddittorie finalizzate a legittimare la disuguaglianza, quale è o quale dovrebbe essere.

Nelle società contemporanee si tratta, in particolare, della narrativa proprietarista, imprenditoriale e meritocratica: la disuguaglianza moderna è giusta perché è la conseguenza di un processo liberamente scelto nel quale ognuno ha le stesse opportunità di accesso al mercato e alla proprietà e nel quale ciascuno gode naturalmente del vantaggio derivante dal patrimonio dei più ricchi, che sono anche i più intraprendenti, i più meritevoli e i più utili.

I limiti di corrispondenza con i fatti e di intima coerenza di queste narrative non hanno impedito che esse svolgessero la funzione di giustificare i divari facendoli apparire, soprattutto, come inevitabili per «stare tutti meglio».

Appare utile tracciare una distinzione tra le idee che servono a creare consenso attorno a determinate politiche e ai loro esiti «disegualitari e quelle che, invece, ispirano le politiche e, quindi, contribuiscono a generare le disuguaglianze. A mio avviso, la verità è che la disuguaglianza è un dato di fatto, mentre l’uguaglianza un dover essere, un’utopia.

Si sono create «favole belle» per giustificarla e la si misura per evitare che l’eccessivo squilibrio fra chi ha e chi non ha possa portare a sconvolgimenti rovinosi. Lo scopo del «patto democratico», come qualcuno lo definisce, attualmente reso problematico dall’imperante mito della meritocrazia, sarebbe, invece, pragmaticamente, quello di dar vita ad un accomodamento delle disuguaglianze al fine di stabilizzare la società e costituire un benessere diffuso e generale.

È l’agire sociale e istituzionale, il costrutto di dinamiche economiche, politiche e culturali a rendere gli uomini diseguali. Il carattere costante che il mutamento assume nelle società moderne e gli aneliti di progresso sociale offrono la percezione della possibile riduzione, se non addirittura rimozione, delle disuguaglianze.

Ma per quanto ricca sia la società capitalista, pare che non lo sia mai abbastanza da riuscirci. E siamo punto e a capo.

La libertà è innanzitutto il diritto alla disuguaglianza.
Nikolaj Berdjaev

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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