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Dislessia nell’insegnamento del greco

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Nel caso dei dislessici, da un punto di vista scientifico si riconosce che si tratta di un disturbo innato, costituente dell’individuo, e che, pertanto, non scompare col tempo. Attraverso, però, lo sviluppo di uno specifico stile di apprendimento l’alunno dislessico può compensare le difficoltà e gradualmente la sua lettura può diventare più fluida e gli errori di decodifica possono diminuire.

L’attività di decodifica, infatti, resta faticosa e lo sforzo compiuto dall’alunno dislessico è considerevolmente maggiore rispetto a quello di un buon lettore, tanto da tradursi, in caso di testi molto complessi, in una difficoltà di comprensione e memorizzazione. In ragione del fatto che il dislessico non riesce a cogliere la corrispondenza biunivoca tra grafemi e fonemi e di passare automaticamente dalle parole scritte a quelle parlate, le difficoltà diventano maggiori e talvolta quasi insormontabili se la rappresentazione grafica è diversa dal sistema alfabetico della lingua madre, come nel caso del greco.

Diventa allora fondamentale adottare misure compensative. Potrebbe essere utile, ad esempio, aiutare lo studente dislessico facendogli comprendere quali organi fonatori sono coinvolti nell’articolazione dei suoni. Nel caso in cui vi sia una difficoltà di ricordare a memoria i dati in serie e, quindi, anche l’alfabeto greco, lo studente potrebbe, come strumento compensativo, utilizzare un alfabeto scritto, magari realizzato anche su un cartellone da affiggere in aula. Un’altra soluzione potrebbe essere l’utilizzo di tecnologie di sintesi vocale, che consentono anche di evidenziare le parole lette.

Nello studio di due materie così ostiche come il greco ed il latino, le difficoltà per studenti con DSA non si limitano alla lettura. Se consideriamo che anche gli studenti senza disturbi si approcciano allo studio delle lingue classiche, subito dopo la scuola secondaria di primo grado, ritrovandosi dinanzi a difficoltà talvolta insormontabili, dovute non solo alla novità delle materie, e provano un senso di smarrimento e, quando lo studio si riduce ad aride nozioni, di profonda frustrazione, il processo di apprendimento per gli studenti con DSA risulta nella maggior parte dei casi ancora più lento e difficile. Se poi si aggiunge che ancora oggi lo studio della morfologia e della sintassi greca e latina è fondato sulla memorizzazione meccanica, gli alunni soggetti al rapido affaticamento della memoria di lavoro e alla difficoltà di astrazione nell’analisi linguistica corrono un altissimo rischio di esclusione e potrebbero rallentare anche i ritmi di apprendimento dell’intera classe. Pertanto si potrebbero adottare azioni didattiche che, seppur pensate per le esigenze del singolo studente con DSA, possano giovare all’intera classe. Senza dubbio lo studio di un argomento di grammatica non può prescindere dalla memorizzazione, ottenuta anche attraverso il ripasso, di alcune nozioni – aspetto che rientra in un paradigma comportamentista -, come la fissazione delle desinenze delle parti nominali o dei verbi. Tuttavia, affinché lo studio non risulti meccanico ed arido, si possono instaurare, ad esempio, collegamenti con argomenti grammaticali affini che facilitino la comprensione degli argomenti. Evitando che, seguendo una logica riconducibile alla prassi comportamentista, gli studenti ripetano – cosa che talvolta ancora oggi si predilige fino all’inverosimile- la coniugazione di un verbo, senza magari conoscerne nemmeno il significato, e in ultima istanza, il senso di ciò che imparano, si potrebbe presentare l’argomento, creando dei collegamenti con argomenti affini e facendo notare agli studenti che talvolta l’argomento implica la conoscenza di argomenti già studiati: questa strategia didattica, riconducibile al cognitivismo, può semplificare l’argomento e rendere consapevoli gli studenti che, sulla base di riflessioni e di collegamenti, il nuovo argomento presentato è in realtà da loro in gran parte già conosciuto. In modo specifico per gli studenti con DSA si potrebbe allora pensare di consentire loro di utilizzare anche tabelle grammaticali per conoscenze in loro possesso che, però, basandosi solo sulla memoria, avrebbero difficoltà a ricordare in tempi brevi. Altre misure dispensative potrebbero essere le risorse digitali, come dizionari che facilitino la ricerca lessicale, l’utilizzo di caratteri in formato ingrandito e di colori per mettere in evidenza fenomeni linguistici.

Veniamo così alle misure dispensative, che richiedono una riflessione preliminare: ridurre eccessivamente la difficoltà di un esercizio o di un compito, se da un lato facilita le operazioni svolte dallo studente, dall’altro potrebbe penalizzare lo sviluppo delle abilità coinvolte in quelle operazioni. Il docente pertanto deve sempre ricordare che la funzione delle risorse dispensative è quella di arginare l’interferenza del disturbo nello svolgimento di alcuni compiti cognitivi, come la lettura, e dispensare l’alunno da prestazioni che per l’eccessiva difficoltà non risultano utili all’apprendimento. Tra le misure dispensative potrebbe essere molto utile, ad esempio, prevedere tempi più lunghi del 25%-30% per i compiti in classe e selezionare testi da tradurre più brevi. Credo che sia fondamentale, di fronte a casi di studenti dislessici che non sono in grado di tradurre interamente una versione nonostante i tempi più lunghi concessi, evitare una progressiva semplificazione dei compiti da parte del docente, fino ad arrivare a una estrema banalizzazione.

In ultima istanza ci si potrebbe chiedere se sia giusto considerare i disturbi di apprendimento e più in generale le disabilità semplicisticamente come un dramma personale, quasi come se i soggetti con disturbi e disabilità siano solo ed esclusivamente pazienti. Credo che più che individui con disturbi e disabilità, spesso sono gli stessi contesti sociali a creare il disagio, per cui sarebbe più corretto parlare di barriere all’apprendimento. In questa visione, secondo cui gli svantaggi derivanti da disturbi evolutivi di apprendimento o disabilità sono riconducibili al contesto sociale, gli studenti con DSA e BES o le persone con disabilità possono essere pensate non come i semplici destinatari di una fornitura di servizi, ma come persone che possano partecipare alla vita didattica in contesti che risulterebbero arricchiti dalla loro presenza.

Carmelo Cutolo

Autore Carmelo Cutolo

Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.