Il ruolo del giurista nell’attuale società italiana
Paolo Grossi (2002)
Occorre rimarcare il ruolo incisivo che la prassi ha sul divenire della scienza giuridica, perché quest’ultima è sostenuta da una recondita determinazione ad concretarsi, a diventare esperienza di vita. Il pensiero giuridico palesa la sua natura complessa: la dimensione teoretica si inserisce sempre sulla minuziosa vita quotidiana, che realizza una specie di ineluttabile superficie sommersa. Il pensiero giuridico è il risultato di considerazioni fatte in università, aule giudiziarie, studi legali e notarili. Lo storico del pensiero è il “rivalutatore della prassi” all’interno della stessa riflessione giuridica. “Questo non è tempo di solitudini per il giurista” sentenzia Grossi. È piuttosto tempo di trasformazioni e di indagine, di rotture, cedimenti, ma anche di nuove costruzioni; tempo irto di problematicità ed ostacoli, in cui il giurista deve reperire, quale suo supremo salvataggio, “l’unità della propria scienza”, una totalità troppo spesso trascurata in nome di una specializzazione e di un tecnicismo delle singole competenze che ha segregato l’esperto di un aspetto del diritto positivo da quello di un altro, e peggio ancora, ha diviso lo studioso del diritto vigente dallo storico, dal comparativista, dal puro teorico. È questo il tempo in cui c’è “necessità di incontri e di dialogo fra tutti i giuristi”, non solo perché “la riscoperta dell’unità” è utile, ma soprattutto perché rappresenta un sostegno energico per superare le attuali difficoltà. È in crisi non il diritto, ma il giurista odierno per il mutamento rapidissimo cui viene sottoposto l’odierno ideario giuridico. La crisi è tutta nella smorzata pervasività di antiche certezze, nella loro conseguente fenditura, nell’urgenza di superarle incamminandosi su nuove strade. “La linea corre dal primato della legge al primato della prassi”, continua Grossi. Il periodo odierno segna il “trionfo della prassi”, cioè dell’alacrità di giudici, avvocati, notai, uomini d’affari implicati nella produzione del diritto. Il paesaggio giuridico di due secoli fa, al contrario, era molto diverso da quello di oggi, era ristretto. Lo Stato si presentava come l’essenziale produttore del diritto, l’unico ente capace di attribuire ad una regola sociale la consacrazione della giuridicità. Il diritto si riduceva perciò in leggi, cioè in espressioni della volontà suprema dello Stato, e si immobilizzò il sistema delle fonti in una “rigida piramide gerarchica” che indeboliva le manifestazioni di grado inferiore. Si arrivò a ipotizzare di poter controllare questa riduzione inventando una fonte, il Codice, che racchiudeva in sé la completezza dell’ordine giuridico, con l’ulteriore superbia di aver compiuto un’operazione immutabile e perpetua. In quest’atmosfera giuridico proto-moderno non c’è molto spazio per i giuristi; è il tempo della venerazione legislativa, della legolatria più esasperata, in cui l’unico soggetto riconosciuto ad manifestare una fermezza e ad avere un ruolo attivo ed esclusivo è il legislatore. Al culto della legge si affianca quella dimensione passiva, umile, dimessa che si concentra nell’esegesi, che implica l’imprescindibile “passività dell’interprete” verso il testo considerato ormai sacro. Si trattò di un “imbrigliamento per il diritto” togliendo voce alla pluralità delle fonti sgorganti dall’esperienza quotidiana (per es. la consuetudine) e si costrinse ad un “ruolo decisamente ancillare, anzi ad un non-ruolo”, quel giurista teorico e pratico che era stato il bimillenario eroe dello sviluppo giuridico. Il processo riduttivo, accanto al grave difetto di peccare di ricercatezza, aveva anche i suoi pregi: il diritto era limitato ad un sistema dalle armoniose linee logiche, intimamente coerente, chiaro, certo. La semplicità era il suo tratto distintivo. Il diritto era estremamente semplificato, fissato nei due soggetti dello Stato e dell’individuo e sulle due fonti della legge e del contratto; così semplice da diventare semplicistico man mano che nella civiltà moderna avvenivano importanti mutamenti sociali, economici, tecnici. La semplicità giuridica cominciava a fare i conti con la “complessità delle realtà circostanti”.