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Pistrice immane

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Pistrice e lapide


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Prologo: il reperto e la lapide

Nella Basilica santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore, come diligentemente la definisce Wikipedia, oltre alla celeberrima e venerata icona della Vergine Bruna vi sono il monumento a Corradino, il Crocefisso Miracoloso e altri innumerevoli motivi di attrazione, tra i quali una raccolta di bellissimi ex-voto. Uno di questi, però, non è citato nella voce che Wikipedia dedica alla Basilica della Mamma d’’o Carmene. Non è citato neanche nel sito stesso del santuario. A una prima veloce ricerca non ne ho trovato traccia alcuna.

In verità è diverso da tutti gli altri: si tratta di una sorprendente reliquia che sta appesa a una oscura parete secondaria in fondo a destra, esposta alla contemplazione fedeli in una cornice dorata con sotto affissa, a eterno memento, una lapide assai più grande della reliquia medesima, la quale è costituita nientemeno che da una parte del rostro di un esemplare adulto di Pristis sp., o pesce sega.

Pistrice e lapide
Pistrice e lapide Basilica santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore, Napoli

Due parole sulla Storia Naturale del reperto: apparteneva ad un individuo adulto d’una specie che può raggiungere la lunghezza di quattro metri e mezzo, ma altre specie dello stesso genere, tutte parenti degli squali, raggiungono dimensioni enormi, intorno ai sette metri e mezzo. In più bisogna considerare che un tempo non c’era il cosiddetto sovrasfruttamento del pescato e le taglie erano anche maggiori. Questa lama è il prolungamento del cranio, fatto di cartilagine fortemente ossificata.

Se si osserva attentamente si vedono dei solchi longitudinali percorrerla: essa è infatti costituita da una sorta di tubi strettamente appressati. L’apice, qui assente, è arrotondato e nell’animale vivo il rostro è interamente ricoperto da una pelle punteggiata di pori elettrosensitivi, che consentono all’animale di individuare anche lievi movimenti di possibili prede nascoste nel limo del fondale, dove il gran pesce le cerca attivamente. I denti non sono denti: quelli veri sono piccoli e stanno in bocca; questa spettacolare doppia fila di punte è costituita da strutture modificate a forma di dente, che gli zoologi chiamano appunto “denticoli dermici”; qui hanno funzione difensiva e offensiva.

Veniamo alla lapide:

“DI PISTRICE IMMANE
DEL TRIPLICE MAR SICULO OSPITE IRACONDA
DIVELTO IL ROSTRO DENTATO
NEL MDLXXIII
A TE POTENTE VERGINE DEL CARMELO
SEBEZII NAVIGANTI
DEVOTI SOSPESERO.
TU MADRE, NE MARITTIMI RISCHI A SOLLECITA PRECE NE ATTEGGI.
TU DIVA, IL CELESTE CORAGGIO NELLA FEDE NE ISPIRI.
TU REGINA, IL RITORNO INCOLUME AL PATRIO LIDO NE IMPETRI.
SALVE. SALVE. SALVE”.

Una elegante illustrazione, naturalisticamente assai corretta, raffigura la specie decorando la lastra in basso, alla fine del testo.

Le oscure parole scolpite nel marmo, che fanno riferimento a un fatto del 1573, a “sebezii naviganti” e al temperamento iracondo del pistrice mi incuriosirono moltissimo. Cosa accadde nel Triplice Mar Siculo?
E che è il pistrice?

La seconda domanda trova facile risposta senza manco alzarsi dalla sedia, difatti l’ottimo vocabolario Treccani online subito ci rivela:

pìstrice (anche pistre, priste, pristi) s. f. [dal lat. pistrix -ĭcis e pistris o pristis (gr. πίστρις o πρίστις): cfr. pristidi], letter. – Nome mitico di una specie di cetaceo grandissimo e mostruoso: Pistrici, fisiteri, orche e balene Escon del mar con mostruose schiene (Ariosto); Dal mezzo in su la faccia, il collo, e ‘l petto Ha di donna e di vergine; il restante D’una pistrice immane che simìli A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre (Caro); Pasce Proteo pastor mandra di foche, Orche, pistri, balene (Marino).”

Scoprire cosa accadde invece è stato un poco più laborioso.

La ricerca

Per prima cosa mi chiesi “Ma chi caspita sono i Sebezii? Un antico popolo campano?” Grazie alla Rete Mirabile, prende questo nome una speciale rete di capillari sanguigni, ma io chiamo così anche il World Wide Web, appresi così che un tempo il fiume Sebeto – ecco perché “sebezii naviganti” – scorreva, limpido e verdeggiante, bagnando l’antica Neapolis.

Ma già alla fine del Medioevo il suo corso era seriamente ridimensionato a causa dello sviluppo urbanistico. Oggi se ne vede un tratto nel territorio del comune di Casoria, in via Lufrano: Google Maps lo classifica pomposamente “Fiume Sebeto”, ma l’antica verde corrente è ridotta a un malinconico canalicolo.

Eppure all’epoca vi erano perfino i naviganti, nel Sebeto; fu dunque un gruppo di costoro, devoti, che recò appunto il “divelto rostro dentato”, offrendolo in voto alla “potente Vergine del Carmelo”.

Poi la svolta: grazie alla benemerita Bayerische Staatsbibliothek Digital – sempre per intercessione della Rete Mirabile – con viva emozione rinvenni l’accurata scansione integrale di un’opera interamente dedicata allo zoologico reperto: si tratta de

Del Rostro di Sega Marina (Pristis Antiquorum) che conservasi nella reale chiesa del Carmine Maggiore di questa Città di Napoli in memorie di portento operato da Maria SSa. del Carmine. Illustrazione umiliata a Sua Maestà Massimiliano Giuseppe II Re di Baviera dai Rr. Pp. Carmelitani L’anno 1853.

Sono gratissimo, oltre che ai lungimiranti e disinteressati bibliotecari germanici, all’autore Giuseppe de Robertis per aver steso la provvidenziale memoria, che soddisfa così la mia curiosità e soddisfa anche quella dei Padri Carmelitani della Basilica, che per quasi tre secoli si interrogarono sulla natura della spina da loro custodita.

Oronzio Gabriele Costa, “noto professore di Zoologia, socio ordinario della Reale Accademia delle Scienze” viene incaricato dal De Robertis di disvelare finalmente il mistero per quanto riguarda le sue naturalistiche competenze. Così egli, con accurata disamina e spiegazione, con precise misure – essendo il piede parigino di 32 cm. e il pollice parigino un dodicesimo del medesimo, ottiene che il rostro misura circa 82 centimetri – e due bellissime illustrazioni, chissà se le ha fatte lui o un ignoto disegnatore, una delle quali è proprio quella riprodotta fedelmente anche sulla lastra, produce la illuminante perizia che ora tutti possono leggere.

Ma ci sono da chiarire anche le avventurose circostanze che hanno portato la spina nella basilica. La vicenda è straordinaria e la conosciamo, secondo il de Robertis, per voce di un ignoto padre carmelitano che tramandò gli inauditi avvenimenti che risalirebbero al 1573; essi si collegano ai trascorsi che videro le gesta dello sventurato Corradino di Svevia le cui spoglie mortali, guarda un po’, la Basilica Santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore accoglie e protegge, come i napoletani ben sanno.

Ma qual è la storia? Bisogna osservare che, nel prezioso documento, l’Egregio Giuseppe de Robertis riferisce che la vicenda incredibile medesima lì esposta trovasi originariamente in

Giunta, ovvero terza parte del compendio dell’istoria del Regno di Napoli, scritto da Tommaso Costo cittadino napoletano, pubblicato in Venezia nel 1591, pag. 34.

E va bene, il racconto c’è già lì, nel “de Robertis”, ma dato che mi piace assai risalire alle fonti anche per controllare le successive versioni, subito posi me stesso sulle tracce di Tomaso Costo nella Rete Mirabile e non ne fui deluso.

Intanto, Wikipedia ci dice che “Tommaso Costo (Napoli, 1545 circa – Napoli, 1613 circa) è stato uno scrittore e agiografo italiano.”

Trovai anche la conferma su documento storico precedente al “de Robertis” della miracolosa avventura: si trova effettivamente nella Giunta di tre libri di Tomaso Costo cittadino napoletano in Venezia: io ho scovato una edizione del 1588 (grazie, Google Books).
In quella edizione il racconto è a pagg. 70-71 del libro secondo. Non ho però trovato accenni all’anonimo padre carmelitano: questa della “Giunta” è la citazione più antica che ho trovato.

Dunque, verrebbe confermato quanto riferisce la lapide, e il Tomaso ce lo racconta per esteso, con parole assai simili a quelle attribuite all’ormai famoso padre carmelitano nel “de Robertis”:

Non è da tacere in questo luogo, che fra
l’altre navi, che partiron da Napoli per Mes-
sina, ve ne furon cinque di conserva con un
galeone, il quale (perché corsono fortuna) co-
m’hebbe fatto un pezzo di camino si cominciò
a sdrucire, talmente che s’empieva d’acqua
àfuria, e per quanto i marinai s’affaticassono
con ogni sorte d’artificio a votarlo, non pote-
ron mai far sì, che l’acqua tuttavia non cresces-
se, ond’era arrivata a ventisette palmi. Dispe-
rati quindi di potersi più salvare, si racco-
mandarono caldamente à Santa Maria del
Carmino,

Giunta-Tomaso-Costo_pag.70
Giunta di tre libri di Tomaso Costo cittadino napoletano, pag. 70

il che fatto cominciarono à conosce-
re, ch’el votar dell’acqua giovana, segno, che
non ven’entrava più, senon pochissima. E co-
sì ne scemaron tanta, che alla fine s’accorsero
e della sdrucitura, ch’essi dicon falla, e della
ricevuta grazia della Madonna Santissima,
imperoche trovarono un pesce, che fittosi
miracolosamente nella falla, ne potendo en-
trar dentro ne uscirsene fuora, impediva l’en
trata all’acqua. Il che diede tant’agio a’ma
rinai, che con pezzi di vele, ed altre co-
se turarono di modo la sdrucitura, che se
ne poteron tornare col galeone à salvamen-
to, e giunsero nel porto di Napoli à quat-
tro di Settembre, dove per memoria di-
tal miracolo portarono al Carmino il mo-
dello del galeone, il quale oggidì tra gli al
tri voti si vede appeso alle mura di quella venerabil chiesa...

Giunta-Tomaso-Costo_pag.71
Giunta di tre libri di Tomaso Costo cittadino napoletano, pag. 71

Il galeone non l’ho visto, ma il rostro del gran pesce sì. Se qualcuno mi darà notizia pure del galeone ne sarò contento.

Epilogo: il conte di Buffon

Avendo letto il resoconto dei fatti che stanno all’origine del singolare ex-voto si potrà apprezzare anche quanto scrisse Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, nella sua celeberrima Histoire Naturelle, il quale, per combinazione, sembra voler avanzare anche una spiegazione alternativa a quella miracolosa per il fatto in esame:

“Lo Squalo sega osa anche pugnare con la Balena franca, o Grande balena; e, ciò che prova qual potere gli dà la lunga e dura sua arma, l’audacia sua giunge fino a una specie di odio implacabile. Tutti i pescatori i quali frequentano i mari del settentrione assicurano che qualunque volta questo squalo incontra una balena, attacca ostinatamente pugna.
La balena procura indarno di cogliere il suo nemico con la sua coda, di cui un solo colpo basterebbe per farlo morire: lo squalo, accoppiando l’agilità alla forza, guizza, si slancia al di sopra dell’acqua, cansa il colpo e, ricadendo sul ceto, gl’immerge nel dorso la dentellata sua lama; la balena irritata per la ferita raddoppia gli sforzi, ma sovente i denti della lamina dello squalo accarniscono tant’oltre, ch’ella perde la vita col proprio sangue, prima d’aver potuto riuscire a colpire mortalmente un nemico che troppo rapido s’invola alla formidabile sua coda. Martens fu testimonio di un combattimento di tale natura fra un’altra specie di balena ed un grande Pesce sega. Il cattivo tempo gl’impedì di conoscere quale parte riuscisse vittoriosa. I marinai che erano con lui gli riferirono come avevano sovente avuto sott’occhio tali imponenti spettacoli; che si tenevano lontani fino al momento in cui la balena era vinta dallo squalo sega il quale si contentava di divorarle la lingua, ed abbandonava in certo modo ai marinai il resto del cadavere dell’immenso ceto.
Talvolta, questo squalo, gettato con violenza dalla tempesta contro la carena d’un vascello o precipitato dalla sua rabbia contro il corpo d’una balena, vi caccia dentro la sua sega che si rompe; ed una porzione di tale grande lama dentellata rimane confitta nella carena del bastimento o nel corpo del ceto, mentre l’animale s’allontana con muso tronco ed arme raccorciata”.
Riportato in Giuseppe Scortecci, Animali, vol.V, pag. 896-897, Edizioni Labor 1953.

Che Giuseppe Scortecci conoscesse l’opera del de Robertis e Oronzio Gabriele Costa?

Fonti:
Del Rostro di Sega Marina:
http://reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10005525_00001.html

Compendio dell’historia del Regno di Napoli:
http://reader.digitale-sammlungen.de/resolve/display/bsb10162018.html

Giunta di tre libri di Tomaso Costo:
http://books.google.it/books?id=u_c5AAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false

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Autore Giuseppe Starita

Giuseppe Starita nacque a Napoli e la cosa lo colpì moltissimo: ancora oggi e ogni volta, la parmigiana di melenzane lo commuove. Ottenne la maturità scientifica per il rotto della cuffia, frequentò per un po’ l’università, poi diventò lavoratore autonomo e il suo lavoro gli piace. Tiene diverse fissazioni tra cui: le Isole Ebridi, gli artropodi, Johann Sebastian Bach, l’Odissea, le lampade frontali: queste le usa prevalentemente per pulire la cassetta dei gatti e per fare le iniezioni. È piuttosto magro e pesa 70 chilogrammi.