Tutte le volte che abbiamo sentito frasi come “la democrazia è in pericolo” o “rischiamo la dittatura”, questa forma di governo, paradossalmente, si è rafforzata coinvolgendo tutte le forze istituzionali, le comunità politiche ed economiche internazionali e le lobby interessate in un volontario muro di difesa atto a respingere, con veemenza, ogni eventuale attacco alla sua sovranità popolare.
La domanda che ci dobbiamo porre è se questo concetto potrà dimostrarsi ancora valido in futuro qualora le società democratiche dovessero affrontare il protrarsi di una pandemia.
Ricordiamoci che con il termine “democrazia” si designa il dominio, il primato, del popolo, ma in senso più ampio viene intesa come autogoverno o autodeterminazione di una collettività, storicamente individuata nella sua tradizione culturale, nella sua lingua, nella sua adesione al territorio, di ciò che riguarda il raggiungimento del bene comune, un bene pubblico adatto ad una certa collettività.
L’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure.
Norberto Bobbio – Il futuro della democrazia
Nella sua originaria concezione individualistica della società, nata come un artificio dell’individuo, vi è l’idea di una società pluralistica dove il policentrismo e la poliarchia sono protagonisti.
Possiamo affermare che la democrazia moderna, intesa come rappresentativa, sarebbe dovuta essere contraddistinta dalla delegazione politica, secondo la quale il proprio esponente, elevato a raffigurare gli interessi della nazione, non è soggetto a mandato vincolato.
Nella democrazia reale, divenuta democrazia di gruppi politici e non solo, invece, i membri sono espressione di interessi particolari, anche perché il flusso di partecipazione, nelle democrazie contemporanee, si concretizza tramite le organizzazioni di partito: esse riproducono la mediazione della partecipazione popolare al potere e sono volti a provvedere alla volontà del popolo.
La libertà come autonomia è il principio ispiratore del pensiero democratico, inteso come la capacità di dar leggi a se stessi, senza distinzione tra chi governa e chi è governato.
Il primo rischio che si corre quando parliamo di democrazia rappresentativa è la creazione di un’élite che si muova in virtù del suo zelo e dei suoi eccessi e che smembri scientificamente la partecipazione del popolo assecondandolo in un’apatia decadente.
Il secondo pericolo a cui ci si espone, a mio avviso, soprattutto in questa fase è la degenerazione proprio dell’assetto partecipativo che, se portato ad un estremismo incontrollato, potrebbe produrre una caotica e manomessa contemplazione dell’urgenza dell’elettorato.
Anche nell’ottica che la democrazia di oggi ha il dovere di abbattere i poteri invisibili affinché ogni suo apparato sia totalmente trasparente.
In questo essa ha l’obbligo di mettere a conoscenza il cittadino, sempre e in ogni dove, del suo operato con ogni mezzo di comunicazione. Si chiama potere di controllo.
E riferendoci ancora alla democrazia “virtuale o digitale” va messo in bilancio che se, da una parte, è il cittadino ad avere la pretesa di sapere come governa la macchina politica ed amministrativa il suo rappresentante, è anche vero che, con l’avvento dell’homo digitalis, è cresciuta a dismisura la capacità dei governanti di conoscere perfettamente le azioni dei cittadini.
Si pone allora un problema fondamentale:
Quis custodiet ipsos custodes?
La democrazia odierna deve quindi essere analizzata attraverso la conoscenza sistematica dei movimenti, dei partiti e dei gruppi associativi che possono essere fautori delle modifiche più significative della governabilità e, dunque, della forma che lo Stato deve avere, trasformando ogni regime in vigore.
Non so se siamo di fronte ad una svolta epocale ma è indubbio che il tornante che stiamo prendendo è di quelli che lascia inesorabilmente il segno anche nel futuro delle generazioni che verranno.
Il pericolo di confrontarci con dinamiche che stanno accelerando una mutazione della nostra società, e mi riferisco all’effetto pandemia, in uno stato di democrazia incertamente elettorale e più ricettiva al virtuale, è evidentemente concreto.
Abbiamo la stagnante staticità dei partiti che al partecipazionismo popolare preferiscono la deriva populista, che all’interesse del collettivo persiste a seguire quello particolaristico. Per definizione, tutto ciò viene a provocare inevitabilmente delle gravi contraddizioni ai principi democratici. Il passo da partito a vertice oligarchico è breve quanto lacerante.
La crisi che stiamo vivendo sta mettendo in discussione ogni certezza e fare previsioni è giocare a dadi col destino. Vivremo una probabile recessione che non può essere affrontata con riflessioni storicizzate o con contorti ragionamenti che gestiscono il provvisorio, se ne hanno le forze, altrimenti restano ipotetiche identificazioni del divenire.
Il Coronavirus ha destabilizzato gli organismi che già avevano in seno una certa fragilità. Colpendo quegli apparati in cui la democrazia vige su un narcisismo poco lucido e il cittadino, assuefatto dal logorio della burocrazia, è iperindividualista; convinto sostenitore del diritto, ma certamente poco attaccato ai doveri.
La loro pressione in tema sociale e politico è tale da creare solo confusione e non fornire mai un riscontro tangibile ed attuabile a quelle che sono le criticità in corso.
Hanno un’idea approssimativa della politica liberale e sono, spesso, artisti da palcoscenico, divulgatori cenali delle idee che si sono divorati un minuto prima da una stampa a cavallo della tigre del momento.
Il popolo, la democrazia […] sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo all’altra e tutte le parole nel culo dell’umanità.
Leonardo Sciascia
Il virus, ineluttabilmente, ha messo in discussione la dimensione sovrannazionale della democrazia: basti pensare agli attacchi sferrati all’Unione Europea.
L’integrazione è sempre un fattore a rischio quando subentrano dinamiche sovversive o non calcolate. Quando si trasferisce il potere di rappresentanza o, comunque, il governo delle azioni ad un organo sovranazionale è chiaro che si fanno i conti, anche letteralmente, con lo sviluppo liberale della democrazia di casa.
Bisogna comprendere il processo storico e civile della costruzione e il suo scontrarsi con una globalizzazione feroce ma anche alchemica.
Quando di fronte a noi si paventa una democrazia collassata, frantumata, individualista diviene, giocoforza, un dato di fatto che nella società che vive quella forma di governo si insinua un altro virus letale: il rigetto.
Qui che i poteri invisibili diventano oscuri manovratori e abili strateghi.
Qui che il populismo regna nella sua incontrastata nevrastenia, fomentando una reazione che è più vera al pensiero che soffochiamo che all’idea che valorizziamo.
La pandemia ha costretto alcuni governi a rivedere le urgenze sociali e politiche, priorizzando l’aspetto economico, snaturandosi e mostrando i fianchi ad una politica aggressivamente incerta, fatta di non programmazione ma di interventismo.
Si è prodotta, a mio avviso, un’ulteriore frammentazione tra la base e il vertice: la comunità politica, seppure senza subire notevoli destabilizzazioni, non è stata compatta, unita e stabile nella sua rappresentanza, facendo risucchiare l’istituzione in un complicato meccanismo di giravolte, spinte, accuse e bugie. Rafforzando il dubbio di molti sull’utilità dei propri rappresentanti.
Bisogna prestare attenzione all’effetto pandemia sulle strutture democratiche per i prossimi anni. Stiamo dando per scontato che non ci possa essere una svolta importante nelle relazioni tra Stato e cittadino.
Abbiamo visto come alcuni processi decisionali siano stati letti e vissuti come un attacco alla libertà. Le polemiche sul lockdown sono state accese e, spesso, costruite a regola d’arte. L’accelerazione di questi processi può determinare scenari imprevedibili sul piano dei riconosciuti diritti fondamentali. Su queste reazioni i nemici della democrazia sono seduti a gustarsi il suo indebolimento interno.
Il tema si sposa in un completamento diabolico con quello dei migranti, dell’accettazione dell’altro, del tutto è concesso a chi professa un diverso credo.
Sono mine, nemmeno tanto vaganti.
Situazioni che sono state gestite nella confusione della dialettica e del compromesso, scongiurando prese di posizioni autentiche e autoritarie ma aprendo enormi varchi al qualunquismo e all’effetto lassativo del confronto infinito.
Non ce ne stiamo accorgendo, ma anche la nostra democrazia sta cominciando a vacillare e non perché di fronte vi sono personalità di un certo spessore o poteri occulti pronti a prenderne il comando.
Si sta sfibrando dal di dentro, dove la gente sta cominciando a non credere più nel suo sistema, dove il rischio di assecondare le pulsioni può solo generare un’entropia complessa e ingestibile tra la comunità e i suoi rappresentanti.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.