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Dell’Inferno Cristo vi discese colla sola anima o anche col corpo?

Pulcinella


Dialogo tra Pulcinella, Giustiniano Lebano e Fabio Da’ath

Nun songo nu grand’ommo, nun song nu scienziato e me so vestuto ‘a Pulcinella. ‘A scola nun sò gghiuto, nisciuno m’ha mannato, però ve pozzo dicere ‘na cosa: senza sapé né leggere e né scrivere, pecchè song anarfabbeta, sunnanne ‘e penzanne notte ‘e ghiuorno pur’ je me so ‘mparato quaccosa. Me so ‘mparato ‘na cosa ca se chiamma umanità. Me so ‘mparato chi è ll’ommo, chi è sta perzona ‘e carne e sang, cull’anema cusuta dinto ‘a ‘na vurzella.

Un amico mio nobile, non di rado, mentre recita dice che l’ignorante parla a vanvera, ‘o fesso parla sempre e l’intelligente parla poco. Spesso, anziché sbagliare, mi rifugio tra le idee di maestri del passato e tra questi mi soffermo fra quelle del nobiluomo Giustiniano Lebano.

Nelle notti in cui la luna suadente brilla sul mare e il marinaio non vuole salpare, l’anima in pena, prima d’inabissarsi, in fondo agli occhi azzurri della Sirena Partenope, sogna un indescrivibile viaggio. La mia anima non può essere circoscritta e catalogata, giacché rappresenta quella di Napoli e del suo popolo. Proviene dalle viscere di Acerra e, oltre a rappresentare la cultura cristiana del popolo napoletano, incarna la coesistenza degli opposti.

Sogno spesso i colori dell’estate e sono stanco di questa avulsa, insignificante e sofferta vita sulla terra. Vorrei viaggiare, visitare dimensioni extra corporee, prendere coscienza dei fallimenti dell’uomo, tornare nell’ologramma spazio temporale terreno e riprendere il cammino interrotto. Partendo da un idoneo luogo, vorrei intraprendere il percorso che conduce alla reintegrazione, alla trasmutazione e al ricongiungimento con il Sé.

Prima che la mia mente, accompagnata dall’anima, evapori in una nuvola rossa o in una delle molte finestre della notte perché desiderosa di conoscenza e di verità, chiamo l’amico Fabio Da’ath per chiedergli se viene con me a Trecase, per incontrare Don Giustiniano Lebano tra i suoi libri e i suoi cimeli, se mi accompagna nel viaggio che si dipana tra il mondo dei vivi e quello dei morti, se mi segue mentre cerco di comprendere cosa sia lo Sheol, in altre parole, il paese dell’oblio, il luogo del profondo e oscuro soggiorno.

Fabio, senza pensarci minimamente, accetta e fissa un incontro con Don Giustiniano a Villa Lebano. Emozionato, vado da lui, busso al citofono e, in men che non si dica, mi risponde che sta scendendo. Arrivato, lo guardo, lui, facendo lo stesso, mediante la luce dei suoi occhi, mi riporta indietro nel tempo. Mi apre sia le porte del paese dei verdi alberi, sia quelle del giardino delle mele da non toccare sia quelle del cielo sempre sereno e mai così nero.

Il viaggio, pur se breve, si presenta interessante giacché, oltre a condurci alla desiderata meta, mi permette di vivere il momento, il qui e ora «hic et nunc».

Desiderando condividerlo con Fabio, gli dico:

Per ogni azione, al cospetto del cielo, c’è sempre il suo tempo.
C’è, infatti, un tempo per nascere, uno per morire e un altro per rinascere. Un tempo per seminare, uno per macerare e un altro per germogliare. Un tempo per demolire, uno per costruire, uno per piangere e un altro per ridere. Un tempo per abbracciare, chi si avvicina come una pecorella e uno per chiudere le braccia quando questi si manifesta lupo.

C’è un tempo per cercare, uno per perdere, uno per conservare e un altro per buttare via. Un tempo per parlare, uno per tacere, uno per la guerra e un altro per la pace.
C’è un tempo per amare, uno per odiare, uno per distrarsi e un altro per riflettere. Questo è il tempo per riflettere, comprendere e decidere di non abbandonare il percorso.

Il viaggio verso Villa Lebano è bello, perché mi fa pensare al verso di Matteo 18,6:
“Chi scandalizza anche uno solo tra i piccoli che credono nel Signore, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.

Rifletto e guardo fuori. Ammirando il paesaggio mi rendo conto che la strada è colma di polvere, che il vento gonfia la via e che il desiderio di giungere a Villa Lebano cresce sempre più.

Sento una voce astrale che penetrando nel mio mondo cognitivo dice:

Quando sei a casa mia, guarda l’angolo del cielo, lì c’è scritto il tuo nome, volgi poi lo sguardo di fronte a e leggi il mio tra le sei punte. Leggilo nel cerchio di un anello.

Ascoltata questa voce, che sembra essere quella di Don Giustiniano, prontamente informo Fabio dell’accaduto. Questi, elargendomi un sentito e profondo sorriso mi dice che spesso accade anche a lui, che è una cosa naturale. Le sue parole mi rincuorano, perché mi fanno comprendere che forse sto percorrendo la retta via e che il sentiero, anche se irto di ostacoli, sembra essere quello giusto.

Giunti a Villa Lebano, Fabio bussa, per farci aprire, l’emozione penetra ‘nfunno ‘all’anema, int’a chella vurzella cusuta dint’o core. Mamma mia, comme tremmane ‘e cosce, sono nella culla della conoscenza, a casa di Don Giustiniano Lebano.

Alzo lo sguardo al cielo per cercare il Sole. Sono conscio che è lì, in quel cielo abitato da innumerevoli stelle. Rendendomi conto che il Sole con animo sereno sta riposando sulle pendici del monte che culla il Sebeto, soddisfatto, abbasso lo sguardo. Dritto davanti a me scorgo una figura iconica, austera e dall’innato aplomb, che ci sta venendo incontro.

È il Maior Domus di Don Giustiniano che, prima saluta e poi, con atteggiamento per nulla invadente, aprendo il cancello, ci prega di seguirlo. Lo facciamo senza proferir parola giacché il Maggiordomo non manifesta alcuna volontà di dialogare.

Il suo atteggiamento mi fa pensare che quando le cose non vanno come desideriamo, dovremmo ringraziare la vita perché è cosi generosa da regalarci, tra le altre, anche i sogni e le illusioni. Il mio ringraziamento, pur sembrando difficile, appare doveroso perché la vita mi consente sia di esistere, sia di essere in questo magnifico luogo, sia di essere introdotto in questo cenacolo pregno di conoscenza.

Una volta entrati nella dimora, il Maggiordomo ci conduce in una delle tre stanze adibite a Biblioteca, in altre parole, nella sala bianca che, con altre due, compone una libreria d’inestimabile valore giacché contiene tanta conoscenza e sapienza, più di 5000 volumi e tanti manoscritti antichissimi e rari. Un’esperienza indescrivibile. La biblioteca si presenta come crocevia di tutte le civiltà e nelle tre stanze, si respira un intenso e piacevole profumo di carta e magia, quella dei libri, un luogo che permette di trovare se stessi nelle parole degli altri e i manoscritti, scrutando chi li guarda, aprono i pensieri, l’anima e il cuore. Un posto dove si può venire sapendo di non dover indossare la maschera o recitare, dove non deve essere svenduta nemmeno una stilla del mondo interiore.
Una biblioteca edificata da un uomo con cui non bisogna giustificarsi, né difendersi e nemmeno dimostrare qualcosa.

Giunti al cospetto di Don Giustiniano lo salutiamo e mentre lo facciamo, lo informo che la nostra visita è dovuta alla necessità di dischiudere le tenebre dell’ignoranza e riconoscere l’ombra affinché si possa assurgere alla luce.

Il Cavaliere, ascoltate le mie parole, invitandoci ad accomodarci dice:

Caro Pulcinella, non ho che farmene di un amico da giudicare, se invito uno zoppo alla mia tavola, lo prego di accomodarsi, anziché danzare.

Prima di proseguire, Don Giustiniano prega il fido Robert, maggiordomo di vecchio corso, di servirci, in antichi, piccoli ma ampi bicchierini a forma di vaso, un po’ di Nocino.
Il profumo del frutto, raccolto in uno specifico momento astrale, della putrefazione del mallo, della maturazione accompagnata e controllata dall’occhio vigile del Sole, della distillazione e della trasmutazione, circuisce le radici del mio adunco naso.

Assaporando il gradevolissimo nettare alchemico, chiedo al Cavaliere il permesso di parlare, d’introdurre l’argomento che accompagna spesso i miei pensieri.

Ricevuto l’assenso di Don Giustiniano, dico:

Caro Avvocato, premettendo che la mia Fede è quella della Chiesa Cattolica, è quella Cristiana, desidero trattare specifici argomenti religiosi che non riguardano prettamente la mia religione istituzionale, né la dottrina e nemmeno la teologia.
Le tematiche che mi accingo ad illustrare, hanno lo scopo di focalizzare, a livello esoterico, quegli eventi cosmici che coinvolgono l’uomo.

In merito alla discesa del Logos sulla terra, vorrei manifestarle un pensiero che approccia gli eventi dal punto di vista cosmico e universale, anziché da quello istituzionale ed emozionale. Desidero analizzare gli eventi con una finalità più ampia di quella che rischia di circoscrivere la riflessione in un unico e specifico alveo, giacché questo relegherebbe avvenimenti straordinari e sublimi a canoni privi di qualsiasi variante.
In altre parole, li priverebbe di quell’apporto consistente rappresentato sia dal lavoro interiore che dall’attenzione cosciente e consapevole.

Considerando che Dio è vicinissimo all’essere umano, anzi, vive nell’uomo, tenendo conto che lei ha scritto un interessante testo, dal titolo, ‘Dell’Inferno, Cristo vi discese colla sola anima o anche col corpo?’, desidero essere da lei aiutato a diradare le tenebre.
La discesa di Cristo agli inferi, riportata con la frase ‘Gesù, muore, discende agli inferi, il terzo giorno risuscita da morto’, rappresenta un evento cosmico indescrivibile e tra le guise dello scritto, lascia trasparire che Gesù, in questi tre giorni, resti nel regno dei morti.

Riflettendo però attentamente, si arriva alla conclusione che questa discesa non debba essere immaginata come un tragitto geografico da un luogo all’altro, bensì, come viaggio dell’anima. L’anima di Gesù è sempre in contatto con il Padre, che s’incarni nell’uomo, che si estenda sino alla terra e che viva i confini dell’essere umano.

Cristo, oltre a scendere in profondità, raggiunge i perduti, in altre parole, chi non riesce a giungere alla meta. Scendendo in profondità, Egli trascende sia il passato che lo spazio-tempo; allo scopo di tracciare quel limite cosmico da non superare se si ambisce alla salvezza, prima di scendere nell’inferno delle anime, discende in quello terreno dell’ego, della cupidigia e della sofferenza.

Leggendo ‘Andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione’ (1Pt 3,19), penso si debba intendere che Cristo comunichi a chi è prigioniero nella caverna di Platone, a chi è schiavo delle catene, che la strada maestra è rappresentata dalla necessità di liberarsi delle schiavitù umane.

L’Avvocato rendendosi conto che attendiamo di conoscere il suo pensiero, inizia dicendo:

Cari miei, eccomi sull’arena a rispondere alle questioni propostemi. Caro Pulcinella premettendo che professo la sacrosanta religione e che con i miei studi non intendo macchiarne la purezza, prima, mediante il giornale ‘La Colonna’, poi, attraverso il testo da lei citato, rispondendo a un teologo, mi occupo, alla luce delle Sacre Scritture e della Patristica cristiana, della discesa di Cristo negli Inferi. La mia va intesa come critica mossa a chi interpretando gli avvenimenti in chiave solamente letterale, tralascia gli aspetti allegorici ed esoterici.

Premetto che nutro stima per il Cardinale Bellarmino, per l’inquisitore buono, che affronta tentativi epocali di riforma con grande oculatezza. Credetemi, nonostante questi non manifesti la sua solidarietà filosofica al Nolano, provo stima per lui; benché sia protagonista teorico e pratico del supplizio sul rogo di Giordano Bruno, quando gli chiedono di consentire interrogatori, da realizzarsi mediante tortura, non li autorizza, anzi, in cuor suo preferirebbe salvarlo.

Penso sia corretto dirvi che la lettura del ‘De Anima Christi’ di Bellarmino, m’induce a non concordare con lui, giacché quando afferma che la discesa di Cristo nella Gehenna debba essere assimilata al martirio sulla Croce tra due ladroni, si sofferma sul semplice episodio, anziché sul significato esoterico che coinvolge pienamente l’evento.

‘De Anima Christi’: «Deberent figurae praecis. Deberet etiam aliquod sacramentum extare in memoriam tanti doloris, et beneficia, ut est Eucharistia in memoriam Natalis, Passionis, Resurrectione, item deberet dipingi Christus in igne Gehnnae in medio damnatorum, ut dipingi solet in cruce inter duos latrones. At nihil vidimus tale fieri, aut leginus unquam factum. Ergo Eccelesia fuit ingratissima vel figmenta sunt».

Cari miei, il Nuovo Testamento, non fornisce alcun ragguardevole contributo né in merito alla discesa agli inferi di Cristo, né alla sua attività nel periodo che si dipana tra la vita e la morte. Non fornisce alcuna traccia di sofferenza, di pena né tanto meno riferimenti all’eucarestia, come invece accade per ciò che attiene la nascita, la passione e la resurrezione.

Professo con devozione la religione cattolica, ma desidero sappiate che mi ritengo un ricercatore che continuamente insegue la verità. Allo scopo di comprendere pienamente cosa si voglia intendere con «Christus ad inferos descendit», consulto, senza soluzione di sorta e in modo approfondito, i testi sacri.

Gli Apostoli e i Padri della Chiesa, nonostante non conoscano la composizione reale degli inferi, né tantomeno quella della Gehenna, menzionano ugualmente questi luoghi, mediante la Sacra Scrittura. Il mio parere è che la discesa agli inferi con il corpo cagioni a Cristo una serie di consistenti pene e indescrivibili castighi che, invece, non si evincono leggendo i Santi Vangeli.

In materia d’inferi, molto spesso i pareri, discordano tra loro, poiché i S.S. Padri permettono alla ragione e alla filosofia di percorrere il sacro viale ieratico. Cari amici, per onore della nostra stessa religione, cerco, costantemente, di svelare quel mistero sublime, che, non avendo bisogno di alcuna imposizione, continua a mantenere immacolato il suo grande splendore.

Le sue parole riscaldano l’aria e invitano al viaggio in quel paese che gli somiglia tanto, dove il Sole languido, di quel cielo squarciato dalle sue parole, ha per il mio spirito, l’incanto dei suoi occhi, irradiati da profondissimi pensieri, da consistente conoscenza e indescrivibile saggezza. La temperatura ambientale, aumentando, invoglia innumerevoli gocce di sudore a invadere la mia fronte… meno male che ‘a meza sola copre la parte superiore del mio viso.

Resosi conto dell’emozione che mi pervade, l’Avvocato aggiunge:

Passiamo ora a definire l’anima nella sua accezione. «La voce anima è pimandria di a-nema». La lettera “a” riveste un valore negativo, mentre nema va inteso come Filium-Stamen (foglio – ordito). Nel suo assieme rappresenta l’idea di qualcosa di non corporeo a (non) – nema (corpo). Oltre a non nascere nello stesso istante in cui viene al mondo il corpo materiale, non gli appartiene.

Chi si occupa del culto di Bahal, la dottrina conosciuta anche come Misteri di Bahal, ritiene che l’anima sia come un foglio bianco, puro e non corporeo, su cui, prima della discesa alla Gehenna, quindi, prima della morte iniziatica, si scrive il testamento dell’iniziando.

Cita la locuzione latina «Felix qui potuit rerum conoscere causas», «Fortunato chi ha potuto conoscere le cause delle cose». Nonostante si discuta da secoli della discesa di Cristo agli inferi, questa è ancora oggetto di dibattito giacché l’interpretazione e la caratterizzazione dell’evento, non sembra essere univoca.

Prosegue:

Cari miei, leggo, studio e interpello i Sacri Scrittori per conoscere la verità. Premettendovi che non posso essere meno ermetico, desidero dirvi semplicemente che cerco di dimostrare la natura esoterica del messaggio di Cristo. Penso che la Gehenna non sia l’inferno dei cristiani, bensì un Clibano, un Ginnasio o un Partenone dislocato nei pressi di Gerusalemme e deputato ad accogliere gli iniziati ai misteri di Bahal.

Evitando di annoiarvi, non procedo con l’esposizione delle mie teorie, poiché per farlo, dovrei soffermarmi sulle etimologie di numerosi lemmi latini, greci ed ebraici, che, a mio modo di vedere, sono da altri spogliati del loro vero e intimo significato.

Alcuni mi ritengono saccente a causa della mia consistente erudizione, che ammetto un po’, risente del pensiero di Domenico Bocchini. Altri mi ritengono tale a causa dei miei consistenti approfondimenti in materia dei parlari de’ Mortali e de’ Numi di Giovan Battista Vico. Altri pensano che io mi avventuri nell’interpretazione pimandria dei termini Anima, Abramo, Aristotele, ecc., al fine di dimostrare che Cristo insegni gli Arcani solo ai cosiddetti Figli del Sapere, mentre alla presenza dei volghi utilizzi solamente parabole.

Penso che la verità sia sempre nel mezzo, quindi, penso che mi si muovano molte critiche, mi si denigri, giacché sono uno studioso, un instancabile ricercatore nella vita sociale, in quella professionale e soprattutto in quella che riguarda l’occulto. Tornando, però, al motivo per cui siete qui, vi dico che tenendo conto di ciò che scrive San Luca, credo che il Redentore sveli il Grande Mistero solamente agli iniziati, volendo forse alludere, a tal proposito, con poche ma intense parole, all’enigma noto come Piccolo Arcano.

Per Grande Mistero potremmo, intendere l’unico e vero Arcano Angelico, in altre parole, quel Secreto iniziatico in grado di consegnare all’uomo il grimaldello della sua essenza. Viatico mediante il quale l’uomo può squarciare il velo del suo Essere Occulto e comprendere così la scienza della sua vera evoluzione.

Il Piccolo Arcano consiste nel segreto dell’Arte Regia, ben nascosto e mai rivelato dai Filosofi Ermetici. Un segreto estenuante, che per essere svelato, necessita di un lungo periodo; che va scoperto individualmente, mediante consistenti pratiche religioso-fideistiche e/o isiache, che può far accedere ai misteri dell’Alchimia. Il Piccolo Arcano, rappresenta l’unico atto rituale meritevole di essere attuato durante tutta l’Opera.

Ritornando all’argomento principe, desidero precisarvi che la scuola degli arcani, la trasmissione della conoscenza, sin allora velata all’essere umano, sembra risalga a Zoroastro. Conoscenza celata, che egli cerca e trova negli antri più nascosti e irraggiungibili, ossia, tra le viscere delle montagne. Conoscenza non desiderata da quell’uomo grezzo e ignorante, che, anziché conformare la propria vita a quanto desiderato dal Supremo Creatore dell’Universo, impegna il suo tempo sia a saziare la sete di sangue di tanti e minacciosi numi, che a porre in essere inutili sacrifici.

Cari miei, vi suggerisco di leggere il mio testo, dove, mediante il racconto della fantastica iniziazione di Nycia, faccio riferimento anche a quel mondo esoterico dell’antico Egitto, al quale sono molto legato. Un’iniziazione pregna di simbolismo giacché avvenendo all’interno della piramide di Cheope, permette a Nycia d’incontrare Anubi, il guardiano che indossando la maschera raffigurante la testa del dio sciacallo, custodisce la conoscenza e sbarra la strada agli impreparati.

Nel testo mi soffermo su una divinità importante per gli adepti della Luce, Hermanubis, il giovane dio nato dalla fusione di Ermes e Anubi. Il dio greco-egizio, il ragazzo alato, che incarnando gli attributi di Mercurio accompagna gli iniziandi verso il Mistero. Iniziandi che pervenendo alla sapienza magica, valicando una serie di prove, giungono alle porte del Sole, agli Elisi, in altre parole, alla Luce, diventano iniziati.

Don Giustiniano prima di fornirci le sue conclusioni, rivolgendosi a Fabio dice:

Giovanotto in merito all’argomento introdotto da Pulcinella, cosa pensi?

Prontamente risponde:

Caro Don Giustiniano, giacché allievo dell’amatissimo maestro Kremmerz, umilmente e di riflesso, mi ritengo anche suo discepolo. La lettura appassionata della sua opera e l’attento ascolto dei concetti sin qui, da lei magistralmente espressi, m’inducono a condividere pienamente il suo pensiero.

Da un punto di vista speculativo, il viaggio astrale, la discesa di Cristo agli inferi, è da ritenersi un’iniziazione capace di trasmettere all’essere umano un messaggio importante, da interpretare come insegnamento atto a far comprendere all’uomo che per purificarsi, per ricongiungersi con il Creatore e quindi con l’Unità, deve scendere con il corpo, nella parte più oscura di se stesso. Discesa da compiersi sia attraversando il fuoco purificatore, sia prendendo le debite distanze dai vizi più oscuri, dopo averli analizzati.

Nonostante l’anima sia esclusa da questo viaggio, lo spirito dell’uomo può, dopo un idoneo processo di putrefazione, risalire ai Mondi Superiori, al Regno della Corona. Per viaggio intendo quel percorso simbolico fatto di consapevolezza e di cambiamento, che, nonostante non preveda alcuna meta, garantisce all’interessato l’acquisizione della coscienza universale e dell’immortalità dell’anima rigenerata.

L’Avvocato, resosi conto che Fabio non ha altro da aggiungere, asciugando con un fazzoletto di lino, una copiosa lacrima che bagna la sua guancia, riprende la parola:

Mio caro discepolo, sei un essere speciale, mi prendo cura di te. Non posso ne scoprire il velame che copre le mie parole e nemmeno dirvi apertamente in che modo Cristo sia sceso all’Inferno, giacché, così facendo frenerei la vostra curiosità, la vostra voglia di conoscenza e la vostra speculazione.

Studiando, analizzando, sintetizzando, incontrando Gustavo Rol, se volete, potete giungere ad adeguate conclusioni. Leggendo nei vostri cuori, penso che siate in grado di continuare la scalata dei gradini che compongono la scala di Giacobbe.

Fabio e io, ascoltate queste parole, rendendoci conto che Don Giustiniano è stanco, chiediamo il permesso di andar via per consentirgli di riposare. Il Cavaliere ce lo accorda e quando il maggiordomo ci accompagna alla porta, sentiamo vibrazioni eteree, interiori e sottili, che sembrano essere un foglio bianco dove si può disegnare qualsiasi cosa.

Raggiungendo l’auto condivido con Fabio i miei pensieri. Rifletto che Gehenna deriva dall’aramaico ge hinnom e che consiste in una valle a sud est di Gerusalemme, deputata a incendiare, mediante il fuoco, i rifiuti. Tenendo conto che gli alchimisti ritengono che il fuoco disinquini, l’inferno potrebbe essere un luogo alchemico di purificazione, un Atanor che anziché distruggere per l’eternità, purifichi.

Purificazione e non distruzione, giacché Dio non essendo una creatura umana, vivendo sulla croce il corpo, quindi il male, oltre a tener in vita l’universo, consente l’esistenza dei dannati intesi come presenza del male, ossia, come stato del peccato. Sia l’allegoria della croce che quella dei giorni pre resurrezione, dimostrano che l’anima vive veramente il corpo, quindi gli inferi, e la discesa nel regno del peccato è necessaria affinché l’uomo si riconcili e ritorni al principio.

Ritornando a casa dico a Fabio che la discesa di Cristo agli inferi non debba essere vincolata al quadro locale-spaziale degli inferi, nemmeno a riferimenti “folcloristico-paesaggistici”, bensì, alla dimensione salvifica dell’evento, giacché Gesù resta solidale con l’uomo nell’Incarnazione, nella morte, nella condivisione delle sofferenze e, dulcis in fundo, nella vittoria sulle potenze ostili.

“Cristo resta morto due notti e un giorno”, potrebbe indicare che durante il giorno si evidenzia la sua morte, mentre in una notte muore l’anima e nell’altra il corpo. Questo farebbe pensare che nella notte in cui muore l’anima, Egli, con questa, discenda all’Inferno dei giusti, a quello dei dannati e a quello delle anime purganti, che nella notte in cui il corpo di Cristo muore, l’anima si separi dal corpo ma resti unita alla sua persona, quindi come tale tutto permanga nel sepolcro, nell’inferno e in ogni luogo.

L’unione dell’anima con il corpo costituisce la totalità della natura umana, piuttosto che quella della persona divina. Quando l’anima si divide dal corpo, Cristo resta nella sua totalità divina, anziché in quella umana. La sua totalità non è circoscritta da nessun tempo e da alcun luogo. Sant’Agostino, infatti, dice: “Cristo è tutto intero dappertutto, non secondo una distinzione di tempi o di luoghi ma in modo da essere sempre tutto in ogni luogo”.

Alla luce di queste penso che per un giorno e due notti il corpo del Salvatore resti nel sepolcro, dimostri la sua morte e, per lo stesso periodo, la sua anima rimanga negli inferi. Trascorso questo breve periodo, l’anima e il corpo si ricongiungono e si manifestano assieme.

Dal mio punto di vista, l’Inferno non deve essere inteso come vendetta di Dio, ma come manifestazione del peccato e definitivo auto isolamento del peccatore. Cristo è il vincitore degli inferi e possiede le chiavi per far ascendere l’uomo che, mediante il libero arbitrio, lo decida.

Nonostante la discesa agli Inferi di Cristo sia uno degli eventi più misteriosi ed enigmatici che riguardano l’essere umano, mi piace pensare che sia una primavera, un risveglio cosmico dell’uomo. Sia i messaggi trasmessi dai padri della chiesa, che quelli espressi dal Cavaliere, nonostante siano metaforici, simbolici e figurati, sembrano essere idonei a trasmettere concetti profondi e importanti.

La meta è quella della salvezza cosmica, ossia, di una trasfigurazione salvifica, idonea a riportare le anime alla loro integrità. Non si può ridurre la fede all’ABC del Credo, ma è necessario considerarla come un’adesione all’Uno, alla Luce, al Dio Unico Cosmico e Universale.

Desideroso, quindi, di aderire pienamente e sospinto dal suo impulso, rivolgendomi al seme depositato in me, gli chiedo con forza:

Difendimi dalle forze contrarie e la notte, nel sonno, quando non sono cosciente, quando il mio percorso si fa incerto, non abbandonarmi, anzi, riportami nelle zone più alte, conducimi in uno dei tuoi regni di quiete.

Proteggi la grazia del mio cuore, sia adesso che quando l’incanto di te, sembra allontanarsi da me. Mi spiace se ho sbagliato e mi dispiace se ho peccato.

“Sono in odio a Dio l’empio e la sua empietà”.
(Sap 14,9)

Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.

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