Oltre il diritto d’autore, la produzione artistica come universale
L’11 gennaio 2017 il Maestro Ezio Bosso fu ospite della prima puntata di Music, la trasmissione di Paolo Bonolis.
Oltre a regalare un’esecuzione da brividi del primo movimento, Adagio sostenuto, della Sonata per pianoforte n. 14, Op. 27, meglio nota come Sonata al chiaro di luna, di Ludwig van Beethoven, si espresse su quello che, a suo parere, era il concetto di proprietà della musica.
Io non sono nemmeno d’accordo con chi la definisce mia. Per me la musica non è di nessuno. Chi mette le mani, chi la scrive, sì è di Bach, ma poi diventa Ezio quando la suona, di Paolo quando la ascolta, è nostra!
La musica è nostra! Non è di uno, a me quando uno mi dice ti piace la mia musica?
E dice, se posso ascoltarla, se è tua, se mi lasci, è questa la magia. Chi scrive la musica la scrive per lasciarla a qualcun altro, è un atto d’amore.
Ezio Bosso – Music – Intervista di Paolo Bonolis – 11/01/2017
Premessa. Tutto quanto diremo non vuole entrare nel merito di quello che è il diritto di autore, ci mancherebbe. La proprietà intellettuale di un’opera deve assolutamente essere tutelata, difesa, adeguatamente retribuita.
Non importa quale sia il campo di cui parliamo. Se si tratta di una canzone, di un dipinto, ma anche di un videogioco.
Questo per sgombrare il campo da ogni possibile strumentalizzazione.
Ovviamente l’attenzione si sposta su qualcosa di assolutamente diverso.
Il grande Ezio Bosso non intendeva certo dire che rinunciava ai diritti sulle sue composizioni. O che dovessero farlo tutti.
La questione è da trasferire su un piano completamente differente, come quando facemmo riferimento ad un aspetto dinamico dell’arte.
L’interpretazione di un’opera ha una forte soggettività, che spesso può travalicare le intenzioni di chi l’ha realizzata. Quando leggiamo un libro in qualche modo proiettiamo qualcosa di nostro, sovrapponiamo il nostro pensiero a quello dell’autore. In altre parole, interpretiamo.
Pietro Riccio – Della dinamicità e staticità dell’arte
Naturalmente non capita solo per un libro. Bosso faceva l’esempio della musica, ma pensiamo si possa estendere a tutta la produzione artistica.
Se mi soffermo ad ammirare un quadro di Caravaggio in un particolare frangente, questo mi suggerirà particolari sfumature di bellezza, di emozione. Potrò soffermarmi su un determinato particolare piuttosto che su altri. Tutto questo sarà sicuramente differente ogni volta successiva che mi capiterà di rivederlo.
Pietro Riccio – Ibidem
Una prima conclusione, dunque, potrebbe essere che l’opera sia di chi la fruisce, innanzitutto perché percepita in maniera assolutamente unica.
Perché diventa una versione soggettiva dell’intenzione autoriale.
Arriviamo al concetto di opera aperta di Eco.
Alla definitezza di un ‘oggetto’ viene sostituita la più ampia definitezza di un ‘campo’ di possibilità interpretative.
Umberto Eco – La definizione dell’arte
Anche se in modo ingenuo, inconsapevole, questo presuppone una funzione creativa.
L’opera che viene così ri-creata ad ogni nuova percezione della stessa.
Se intendiamo l’arte in questa accezione, allora appartiene a chiunque ci si accosti.
Se ascolto la Sonata al chiaro di luna, questa sarà filtrata dal mio modo di percepire la musica, dalla mia competenza, dalle emozioni che mi suscita, dai ricordi che mi risveglia.
Sarà la mia sonata, perché sarà unico il mio modo di percepirla.
Torniamo al discorso di Bosso. Crediamo che lui volesse intendere proprio qualcosa del genere.
La musica, l’arte in generale, appartiene a chi ne vive l’esperienza.
In qualsiasi modo. Suonandola. Ma anche più semplicemente ascoltandola.
Andiamo oltre.
In un articolo precedente ci eravamo soffermati sul rapporto tra bellezza e arte.
Ovviamente, il discorso era ben lungi dall’essere esaurito.
Posta la soggettività dei criteri dell’arte, ma anche del bello in se stesso, in quanto collocabile nel campo dell’immaginazione, argomenti di cui abbiamo parlato anche in un altro lavoro, c’è forse da ritornare al rapporto tra arte e bellezza, per aggiungere considerazioni utili alla nostra disquisizione.
Per il momento continuiamo a far riferimento alla Critica del giudizio.
Quando l’arte, adeguatamente alla conoscenza di un oggetto possibile, compie soltanto le operazioni necessarie a realizzarlo, essa è meccanica; se, invece, ha per scopo immediato il sentimento di piacere, è estetica. Questa è o arte piacevole o arte bella. È piacevole quando il suo scopo è far accompagnare il piacere alle rappresentazioni in quanto semplici rappresentazioni. È bella quando ha per scopo di accoppiare il piacere alle rappresentazioni come modo di conoscenza.
Immanuel Kant – Critica del giudizio
Kant, dunque, distingue un’arte meccanica, che è semplice realizzazione dell’oggetto, e un’arte estetica, che, invece, si pone la finalità del piacere.
Suddivide, inoltre, l’arte estetica in due tipologie. Le arti piacevoli sono solo finalizzate al godimento, sono, ad esempio, momenti conviviali, un buon pranzo, lo scherzo. Le arti belle, invece, hanno, ovviamente, una relazione diretta con la bellezza. Sono queste che ci interessano.
L’arte bella, invece, è una specie di rappresentazione che ha il suo scopo in se stessa e nondimeno, pur non avendo altro fine, favorisce la coltura delle facoltà dell’animo sotto il riguardo della sociabilità.
La comunicazione universale di un piacere implica già nel suo concetto che il piacere stesso non debba essere proprio di godimento, derivando da una semplice sensazione, ma debba dipendere dalla riflessione; e quindi l’arte estetica, in quanto arte bella, è tale che ha per misura il giudizio riflettente e non la sensazione.
Immanuel Kant – Ibidem
Ritroviamo così due elementi che avevamo già considerato. La sociabilità e la riflessione. Che hanno un forte legame.
L’opera come momento collettivo, ermeneutico di condivisione della bellezza, del piacere.
Piacere che presuppone una riflessione, un giudizio. Non è la semplice percezione – sensazione dello stesso, che può derivare dal mangiare un buon gelato, per esempio.
La stessa condivisione presuppone una soggettività, che, per Kant, è propria del bello.
Kant pone la conoscenza come oggettiva, perché rappresenta l’oggetto attraverso l’intelletto, il giudizio estetico, invece, ponendo l’oggetto mediante l’immaginazione, è necessariamente soggettivo.
Pietro Riccio – Del bello in se stesso
Parla di arte e di bellezza anche Hegel che, nel delimitare l’estetica, dopo aver precisato che non si occupa del bello naturale, scrive:
[…] tuttavia, si può già senz’altro affermare che il bello artistico sta più in alto della natura […]
Infatti, la bellezza artistica è la bellezza generata e rigenerata dallo spirito, e, di quanto lo spirito e le sue produzioni stanno più in alto della natura e dei suoi fenomeni, di tanto il bello artistico è superiore alla bellezza della natura.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel – Estetica
Quanto l’animo di Kant sia assimilabile allo spirito hegeliano non è argomento che rientra negli intenti di questo articolo. Oltre le indubbie e marcate differenze gnoseologiche, ci sembra suggestivo come nei rispettivi discorsi siano intercambiabili, anche solo per fini meramente narrativi.
Certo è che lo stesso Hegel, nel fissare un fondamento della sua riflessione estetica, riconosce:
Questo fondamento, secondo la sua determinazione più generale, consiste nel fatto che il bello artistico è stato riconosciuto come uno dei termini medi che sciolgono e riconducono ad unità quell’opposizione e contrapposizione tra lo spirito in sé astrattamente fondantesi e la natura: tanto della natura che si manifesta esteriormente, quanto della natura interiore del sentimento e dell’animo soggettivi.
Già la filosofia di Kant non soltanto ha sentito come suo bisogno questo punto d’unione, ma lo ha anche conosciuto e portato a rappresentazione determinatamente.
In generale Kant ha posto a fondamento dell’intelligenza come della volontà la razionalità che si riferisce a se stessa, la libertà, l’autocoscienza che trova e sa se stessa in sé come infinita.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel – Ibidem
Come dicevamo, in questa sede non ci interessa approfondire il discorso; per riprendere il filo, a nostro parere, va rimarcato l’uso del termine ‘rigenerata’.
Arte, come generata e rigenerata, appunto.
Non intende, forse Hegel, indicare lo spirito che rigenera l’arte ogni volta che la percepisce, la fruisce?
Torniamo a quell’attività di creazione di cui parlavamo.
Inoltre, ad un certo punto anche i diritti d’autore scadono. In Europa 70 anni dopo la morte, se intendiamo quelli economici. Il diritto ad essere considerato autore di un’opera non scade mai. Ne va da sé che non ci sarà mai qualcun altro che potrà dire di essere il compositore del ‘chiaro di luna’.
Oltre questo termine, chiunque può riprodurre il lavoro senza nessuna limitazione. Incidere una sinfonia o eseguirla pubblicamente. Stampare un classico della letteratura o mettere in scena una pièce teatrale.
Ma, a prescindere da questo, la domanda è un’altra.
Che sia vigente o meno il copyright.
Che senso ha parlare di proprietà dell’arte? Rivendicarne un’esclusiva ideologica, provare ad inibire qualcuno o qualche categoria dall’accesso ad un’opera, qualsiasi essa sia?
Alla luce delle riflessioni che abbiamo portato avanti sarebbe un po’ come voler limitare l’attività propria dello spirito. Voler mettere ipoteche alla libertà. Ingabbiare la diffusione delle più alte espressioni della creatività umana.
Se l’arte è bellezza, sarebbe come voler rivendicare l’esclusiva della bellezza stessa, di quei piaceri che Kant definisce come conseguenza del giudizio riflessivo.
Il ‘chiaro di luna’ fu composto nel 1801. Fu eseguito per la prima volta in pubblico l’anno successivo. Il suo compositore è morto nel 1827. A distanza di oltre duecento anni è stato eseguito da Ezio Bosso in diretta televisiva, mentre lo ascoltavano milioni di persone. Non ci sono dubbi che sarà ascoltato fino a che esisterà l’umanità.
Chi può essere così sconsiderato da intenderlo come di proprietà di qualcuno?
Questo, ovviamente, senza voler negare il genio, il ruolo che il talento ha nella produzione artistica.
Sarebbe altrettanto sconsiderato.
Torniamo a Kant.
Il genio è il talento (dono naturale), che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttrice innata dell’artista, appartiene anche alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell’animo (ingenium) per mezzo della quale la natura dà la regola all’arte.
Immanuel Kant – Ibidem
Nessuno sano di mente potrebbe negare la grandezza di Beethoven, di Mozart, di Bach.
O di Caravaggio, di Leonardo da Vinci, di Raffaello.
O ancora di Shakespeare, di Dante, di Goethe.
Ma sono loro per primi a rivendicare l’universalità dell’arte.
Ritorniamo da dove eravamo partiti.
Io non sono nemmeno d’accordo con chi la definisce mia. Per me la musica non è di nessuno.
Ezio Bosso
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.