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Della normalità

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Cuculo


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Quando l’imposizione dei modelli comportamentali di una sparuta minoranza rischiano di condurre alla società del cuculo

Negli ultimi anni un concetto molto usato, e abusato, anche sui social, è quello di normalità.

Spesso diventa un’etichetta da appiccicare a qualcosa o qualcuno, per legittimare o delegittimare.

O un’arma per conformare.

Ma prima di entrare nel merito, proviamo a delineare il significato di questo termine, partendo dalla definizione di un autorevole vocabolario online.

normalità s. f. [der. di normale]. – 1. Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali: n. di un comportamento, di una reazione; stanchezza fisica, mutamenti di umore, escursioni termiche, variazioni climatiche, oscillazioni di mercato, ecc. che rientrano nella (o escono dalla) normalità. In senso più astratto, condizione o situazione normale: vivere, restare nella n.; tornare alla n.; il ritorno alla n. dopo un periodo di disordini (nel linguaggio politico, l’espressione ritorno alla n. è spesso servita a mascherare un forzato, e talora sanguinoso, ristabilimento dell’ordine o comunque l’adozione di metodi repressivi). 2. In chimica, n. (o concentrazione normale) è la concentrazione di una soluzione espressa come numero di grammo-equivalenti di soluto presenti in un litro di soluzione (v. normale, n. 3 b).
Vocabolario Treccani

Con la consueta precisione, il vocabolario Treccani definisce i vari aspetti della normalità.

Perché, in effetti, la normalità non ha una sola dimensione, una sola prospettiva.

Anche in psicologia e nelle scienze sociali, il dibattito su cosa debba essere considerato normale è aperto e le definizioni prendono in considerazioni diverse accezioni.

La prima a cui si fa riferimento, di solito, è quella statistica. Per cui possiamo considerare normale tutto ciò che è attorno alla media o, comunque, tutti quei comportamenti tenuti dalla maggioranza.

Per quanto siano simili, analizziamo le differenze delle due fattispecie.

Convenzionalmente il QI medio va da 90 a 110.

In questo range si è ‘normali’.

Quindi non si è normali con un punteggio inferiore a 90.

Ma anche con uno superiore a 110.

Ne deriva una prima puntualizzazione. Non rientrare nella media può avere un connotato negativo, ma anche positivo.

Rispetto al quoziente intellettivo posso essere ipodotato o iperdotato.

Inoltre, poniamo, per assurdo ma non tanto, che il mondo si stia avviando verso lo scenario di un film che citiamo spesso, ‘Idiocracy’.

In questo caso, la normalità accettata, dovrebbe essere un QI attualmente catalogato come disabilità intellettiva?

In Italia, per sfortuna, i reattivi intellettivi non sono somministrati con la sistematicità tipica dei Paesi anglosassoni, Stati Uniti principalmente.

O per fortuna, visto che misurano solo uno degli aspetti di cui l’intelligenza è composta. E spesso rischiano di diventare una profezia autoavverantesi.

Di contro, i test PISA, come avevamo riportato in un precedente articolo, mettono in evidenza una situazione non certo allegra.

L’analfabetismo funzionale come normalità?

Almeno nel Belpaese.

Si spiegherebbero tanti esperti con il battesimo che nei CV fa da titolo di studio ed esperienza lavorativa. Come tanti docenti di materie a volte impronunciabili, giusto perché facciano da acchiappa citrulli, che vengono dall’università della strada.

E, se per assurdo, in una determinata cultura, la maggior parte delle persone sia dedita al furto, allora possiamo dire che la normalità sia essere ladri?

Possibile, in fondo ogni cultura ha una sua morale, le proprie dinamiche di coesione.

Un’etica e dei comportamenti su cui innestare un sistema sanzionatorio, sia positivo che negativo, fatto di ricompense e punizioni.

Immaginiamo i titoli dei quotidiani di una siffatta società.

Ergastolo al criminale che aveva restituito portafogli

Sostanzialmente, almeno dal punto di vista statistico, la cosiddetta normalità ha una collocazione assolutamente neutra.

Sono i fattori culturali a trasformare i numeri in giudizi di valore.

Facciamo un esempio.

I mancini non raggiungono l’11% della popolazione mondiale.

La norma è costituita dai destrorsi.

Dire che essere mancini non è ‘normale’ è un dato di fatto statistico.

In statistica il termine norma è sinonimo di → moda, è cioè il valore più frequente in una distribuzione di dati.
Treccani – Enciclopedia della matematica

Tornando alla definizione prima riportata, la normalità viene anche definita come assenza di patologie.

Se dal punto di vista medico si può sostanzialmente contare su una generale concordanza, almeno fino a qualche anno fa, nel caso delle devianze comportamentali le teorie sono molte e diverse.

Torniamo all’esempio della società di ladri. Ma potremmo parlare anche di politici inneggianti alla devianza.

Arriviamo al punto che ci interessa maggiormente.

Ogni società definisce i suoi criteri di normalità. Che si evolvono nel tempo.

La cultura puritana prescriveva che gambe di tavoli e sedie fossero coperte, perché non suggerissero pensieri peccaminosi.

Oggi ci fa sorridere. Magari pensando a chi potesse realmente eccitarsi per una sedia nuda.

Per non andare tanto lontani, nella TV di Stato di qualche decennio fa si rischiava la carriera per una parolaccia sfuggita magari durante una diretta.

Oggi è stata sdoganata ogni forma di turpiloquio, con comici e comiche che, anzi, ne fanno la propria peculiarità.

Così come facevano scandalo le lunghe gambe nude delle gemelle Kessler negli anni 60. Oggi in televisione fanno scalpore le persone vestite.

La morale, dunque, e la normalità che ne deriva, non sono fisse o immutabili.

Così come, non è immutabile lo scostamento dalla normalità tollerato.

L’ormai celebre e stracitato meccanismo della finestra di Overton, ci dimostra come tale scostamento possa essere manipolato così da portare l’opinione pubblica ad accettare, gradualmente, quelle che un tempo erano considerate devianze o, comunque, comportamenti censurabili.

Questo porta a modellare una normalità percepita, completamente scollata da statistiche e numeri.

Spesso nel nome di una fittizia libertà.

Per cui è possibile dire che la famiglia normale deve avere due madri per giustificare la narrazione di un cartone animato.

Adesso.

Se andiamo a considerare la normalità dal punto di vista della frequenza di distribuzione, dai dati che sono disponibili e non esattamente attendibili, le famiglie omogenitoriali in Italia dovrebbero essere meno di 600.

In generale, comprendendo, dunque, anche quelle in cui i genitori sono entrambi di sesso maschile.

A scanso di equivoci, e per evitare attacchi dai sostenitori dell’uso dello Schwa, o per non esporci alle invettive dei puristi del cörsivœ, precisiamo che per la definizione della famiglia omogenitoriale ci siamo riferiti, ancora una volta, al vocabolario Treccani online.

agg. Detto di famiglia in cui il ruolo di genitori è svolto da una coppia di persone appartenenti allo stesso sesso.
Vocabolario Treccani

Per cui, eventuali rimostranze vanno indirizzate al suddetto Istituto.

In Italia il numero di famiglie registrato per il biennio 2020 – 2021 è di circa 25 milioni e 600 mila.

Da un punto di vista meramente statistico, quindi, la frequenza di distribuzione delle famiglie omogenitoriali è irrilevante, ben lontana da quella che potrebbe essere considerata una frequenza modale.

Discriminazione?

No, dati. Al di fuori di ogni giudizio di valore.

Cosa vuol dire, dunque l’asserzione che la normalità consiste nell’esistenza di bambini con due mamme?

Se manca la normalità statistica, vuol dire ribadire una normalità come assenza di patologia?

Potremmo intravedere, paradossalmente, un’affermazione discriminatoria.

Perché dovrei premurarmi di spiegare che un mancino non è malato, tornando all’esempio precedente?

O ancora.

La stragrande maggioranza degli italiani ha una pigmentazione chiara della pelle. Non volendo discriminare nessuno, possiamo dire che, magari, persone caratterizzate da una pigmentazione più scura, forse non incarnano esattamente l’italiano medio?

O, almeno, che non corrispondono all’immagine che si ha dell’italiano anche all’estero?

Questo senza esprimere nessun giudizio di valore e, soprattutto, senza essere apostrofati come razzisti o fascisti?

È possibile sostenere che il fatto di sentirsi donna potrebbe non essere criterio sufficiente per essere ammessi agli sport professionistici femminili, specialmente quelli di lotta, dove una diversa struttura fisica porta a massacrare le praticanti?

Senza che questo ci possa far additare come omofobi, sessisti e fascisti?

L’esasperazione del politicamente corretto, dove vuole portare?

Ne avevamo già parlato in un precedente articolo.

E, inoltre, perché ci sono minoranze rispetto alle quali il politicamente corretto può essere esasperato fino a conferire nuove sfumature semantiche al termine ridicolo, mentre per alcune minoranze o maggioranze è possibile riferirsi anche in termini pesantemente dispregiativi senza nessuna levata di scudi, senza che nessuno si inginocchi o si indigni?

Anche su questo ci eravamo già espressi in tempo non sospetti.

E davvero il pregiudizio inverso è solo un mito?

Prendiamo una minoranza, qualunque essa sia, diciamo per comodità quella dei mancini.

Giusto perché abbiamo dato già elementi sufficienti per la querela ad eventuali associazioni per la tutela dei diritti del mancino e, quindi, preferiamo rispondere ad una sola azione legale.

Dicevamo, se questa minoranza dovesse acquisire abbastanza potere politico, tale da poter ribaltare le discriminazioni subite nel corso dei secoli e diventare essa stessa portatrice di pregiudizio?

Ad un certo punto, la potente lobby dei mancini potrebbe cominciare a sostenere che chi scrive con la destra ha un quoziente intellettivo più basso.

Potrebbe iniziare a promuovere ricerche dove si dimostra che i destrorsi hanno una scolarizzazione più bassa.

Basta avere la sufficiente competenza scientifica per creare un disegno di ricerca calibrato per confermare l’ipotesi.

E comunque la lobby dei mancini è diventata così potente che può tranquillamente truccare i dati per arrivare a qualsiasi conclusione voglia.

Tanto, per chi dissente c’è sempre l’accusa di negazionismo, possibilmente da perseguire penalmente.

O, può capitare, che la famiglia tradizionale, istituto antico e statisticamente nella norma, sia soggetto ad ogni tipo di attacco.

Prima, quella che sembra una boutade, la proposta di sostituire madre e padre con genitore 1 e genitore 2.

Poi, la polemica scatenata per il meme di una coppia che, con il proprio bambino, si definisce papà e mamma.

Una minoranza, anche molto esigua numericamente, che vuole imporre i propri modelli comportamentali ad una maggioranza estremamente più ampia.

Il mancino che vuole obbligare tutti a scrivere con la sinistra.

Che libertà è quella che vorrebbe basarsi sull’imposizione di un pensiero?

Sia chiaro. Non si contesta la libertà di chi vuole farsi chiamare dal figlio come meglio preferisce.

Genitore 1 e genitore 2?

Contenti loro.

Immaginiamo la scena.

Genitore 2, perché non vuoi che vada alla gita scolastica? Genitore 1 ha detto che potevo!

Per quanto ci riguarda si possono anche far chiamare Orso Baloo, Paperoga, Peppa Pig, Superman, Wonder Woman o Uomo Ragno.

È nelle loro libertà personali. Le rispettiamo.

Ma perché tante persone devono sentirsi additate se si fanno chiamare madre e padre?

Perché le etichette devono e possono essere considerate offensive o discriminatorie a senso unico?

Ma l’attacco alla famiglia tradizionale non si ferma a queste contrapposizioni terminologiche.

Che, in fondo, sono e restano delle etichette, che non vanno a modificare la sostanza.

Le spinte a delegittimare la famiglia tradizionale sono sempre più insistenti.

Alcune apparentemente suscitano ilarità. Come i matrimoni con bambole di gomma peluche, ologrammi, tostapani e aspirapolvere.

Ma sono tutte notizie che, se riproposte in modo costante, contribuiscono ad allargare la finestra di Overton rispetto a quanto può considerarsi accettabile.

Ma sai che il cugino di Pietro si è sposato con l’attaccapanni?

Ah davvero? Ma se non ricordo male lo aveva fatto già un tizio a Timbuctu qualche anno fa.

Altri attacchi, invece, fanno meno sorridere e sono apertamente inquietanti.

A cosa vuole puntare l’affermazione secondo la quale le mafie esistono perché esiste la famiglia?

Che questa andrebbe sostituita da nuove forme di affetto.

E quali, poi?

Quale forma di affetto può sostituire quello di una donna che mette al mondo un figlio?

Sono forme di attaccamento che esistevano già quando la nascita della prole non era collegata ancora all’atto sessuale e le discendenze erano matrilineari.

Su quali spiragli e orizzonti sta provando a spalancare la finestra una dichiarazione del genere?

Un mondo in cui i bambini sono partoriti solamente da uteri in affitto?

O possiamo immaginare delle donne che fungano da fattrici, che per mestiere sfornino bimbi da affidare, poi, alle cure della comunità, perdendone ogni contatto?

O, perché no, la spinta è verso un futuro dove le nascite sono realizzate completamente in provetta, senza il bisogno di nessuna relazione umana?

Il cuculo è un esempio più unico che raro di uccello parassita, che depone le proprie uova nei nidi di uccelli di altra specie per poi disinteressarsi della propria prole. Che in questo caso viene nutrita e curata dall’ospite.

Che, per istinto, lancia fuori dal nido, spingendoli con il dorso, le altre uova o gli altri pulcini subito dopo aver rotto il guscio.

E che ha sviluppato una singolare tecnica di difesa dai predatori, quella di espellere dall’ano una sostanza dalle particolari proprietà repellenti.

Che la società del futuro che qualcuno immagina sia proprio questa?

Una società del cuculo dove si sopravvive a furia di flatulenze?

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.