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Del diritto ad avere bambini – L’amore come interesse legittimo

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Ha destato un certo scalpore la vicenda che coinvolge l’artista spagnolo Miguel Bosé e l’ormai ex-marito Nacho Palau.

Non è la notizia del divorzio a scandalizzare – per quanto le dispute relative ai matrimoni tra persone dello stesso genere non siano per nulla sopite -, quanto la sorte che toccherà alla loro giovane prole. La coppia ha infatti avuto, da madri surrogate, due coppie di gemelli, la prima nel 2011, adottata da Bosé, la seconda l’anno seguente, adottata da Nacho. Ebbene, all’esito del divorzio tra i due ciascuna coppia di gemelli seguirà il destino del proprio padre adottivo, peraltro in continenti diversi, posto che Bosé si stabilirà in Messico con i suoi due figli.

Due madri per ciascuna coppia di gemelli, due figli per genitore, tre familiari per continente: in questa storia talmente squadrata da sembrare artefatta  e innaturale, come i confini di quegli stati che tanto ci affascinavano sui mappamondi, molti hanno sottolineato i danni di una biotecnologia che sfugge di mano, spesso coadiuvata dalla legge, causando effetti nefasti sulle famiglie e sui bambini.

Si ripresenta qui il problema, complicatissimo, della lettura di quelle volontà individuali che facciamo ricadere sotto il nome di “amore” – filiale, familiare, ecc. – e della loro operatività in ambito sociale.

Non convince, a tal proposito, la prospettiva analitica utilizzata in questi casi. Scegliere l’angolo visuale delle dispute gender/no-gender non è sempre la soluzione più adatta, nonostante l’indubbio appeal attuale. Vuol dire, ad esempio, perpetrare quella sfiancante guerra di posizione sul senso del’’espressione “famiglia naturale”, ed altre cose del genere.

Soprattutto vuol dire rischiare di lasciare inevasa una domanda che ci pare cruciale, la quale più o meno suona così:

È lecito che dalla voglia di amare consegua il diritto di possedere – e magari poter comprare – l’oggetto di ciò che si ama, e addirittura di commissionarlo ex novo?

Dal punto di vista sociale la pratica dell’utero in affitto non convince, per nulla, non tanto per la storia della differenza dei sessi o per la capacità o meno di crescere con o senza madre o padre, ma per la ricaduta immediatamente “economica” e “possessoria” dei propri desiderata, soprattutto quando coinvolge bambini non ancora nati.

Piace molto, al contrario, l’ipotesi dell’adozione di bimbi da parte di coppie di uomini e donne, di coppie di uomini, di coppie di donne che vogliano – e all’esito di procedure ad hoc dimostrino di saper – offrire amore e una struttura familiare ad un bimbo che cresce in un orfanotrofio, e che rischia di rimanere lì per sempre, incastrato tra le ferite di un fato avverso e la nostra amorevole etica, la quale – da lontano – gli impone di rimanervi, piuttosto che essere amato da due esseri umani, solo perché sono dello stesso sesso.

In conclusione, non ci pare di poter ascrivere il desiderio di avere un bambino nel novero dei diritti assoluti, meno che mai se poi finisce con l’essere legato alle possibilità finanziarie dei supposti “aventi diritto”; parleremmo piuttosto, ferma l’evidente alterità di piani, di “interesse legittimo all’adozione”, ove l’interesse ontologicamente superiore consiste nel diritto degli orfani – bambini già nati – a vivere circondati da persone che li amano come individui di un nucleo familiare. È questo il luogo in cui la legittimità di un proprio desiderio – quella di un adulto che vuole un bambino – incrocia un’urgenza sociale e affettiva – quella di un bambino che vuole un genitore – riequilibrando una carenza naturale – la mancanza dei genitori.

È probabile che una tale posizione scontenterà un po’ tutti, promotori – religiosi e non – della famiglia “tradizionale” basata sull’unione di uomo e donna, prospettive omofobiche, movimenti no-gender variamente individuati, tecnocrati del corpo umano, assolutisti dei desideri, voraci assertori della compravendita degli uteri; in generale, quanti amano dare – innanzitutto a loro stessi – risposte assiomatiche a quesiti sociali reali – il che capita quasi sempre quando la cosa tocca liminalmente la propria vita – preferendo la comoda purezza di neo-dogmi di varia natura alla polverosa e incerta profilazione amministrativa delle scelte civili.

Autore Giuseppe Maria Ambrosio

Giuseppe Maria Ambrosio, giornalista pubblicista, assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Ha all'attivo numerose pubblicazioni su riviste italiane e straniere e collabora con diverse riviste di settore. Per ExPartibus cura la rubrica ScomodaMente.