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Del bello in se stesso

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Anagoor


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Tra piacere e rivoluzione

Nell’articolo precedente ci eravamo soffermati sul rapporto tra bello e arte, concludendo che, però, non è l’arte l’unica forma di bellezza, anzi.

La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna.
Oscar Wilde

Il bello può essere ritrovato nella natura, nel mondo che ci circonda, ed è alla portata di tutti, a differenza dell’arte, in cui la bellezza potrebbe essere mediata, non intuitiva; lo diventa, forse, solo quando prova ad imitare la natura.

Inutile, però, provare a pervenire ad un’oggettività del giudizio estetico.

Per discernere se una cosa è bella o no, noi non riferiamo la rappresentazione all’oggetto mediante l’intelletto, in vista della conoscenza; ma, mediante l’immaginazione (forse congiunta con l’intelletto), la riferiamo al soggetto, e al suo sentimento di piacere o dispiacere. Il giudizio di gusto non è dunque un giudizio di conoscenza, cioè logico, ma è estetico; il che significa che il suo fondamento non può essere se non soggettivo.
Immanuel Kant – Critica del giudizio

Kant pone la conoscenza come oggettiva, perché rappresenta l’oggetto attraverso l’intelletto, il giudizio estetico, invece, ponendo l’oggetto mediante l’immaginazione, è necessariamente soggettivo.

Del resto anche il vecchio e popolare adagio recita che non è bello quel che è bello, ma quel che piace.

Però, dall’analisi di Kant possiamo provare a ricavare una prima interessante relazione, quella tra bello e piacere.

La bellezza è il nome di qualcosa che non esiste, che io do alle cose in cambio del piacere che mi danno.
Fernando Pessoa

Come già osservato per l’arte, anche il piacere può modificarsi nel corso del tempo, andando ad influire sulla percezione del bello.

Nello stesso periodo storico, il piacere e il bello sono condizionati anche della cultura della quale si fa parte, dalle esperienze personali.

Il concetto di bellezza occidentale può differire sensibilmente da quello orientale.

Un’esperienza personale traumatica legata ad un oggetto, ad una circostanza, può condizionare l’esperienza del bello, influenzando la nostra percezione del piacere.

Il piacere legato alla bellezza, però, è diverso da quello legato all’interesse.

È detto interesse il piacere, che noi congiungiamo con la rappresentazione dell’esistenza di un oggetto. Questo piacere perciò ha sempre relazione con la facoltà di desiderare, o in quanto movente di essa, o in quanto necessariamente connesso con il movente stesso. Ma, quando si tratta di giudicare se una cosa è bella, non si vuol sapere se a noi o a chiunque altro importi, o anche possa importare, della sua esistenza; ma come la giudichiamo contemplandola semplicemente (nell’intuizione o nella riflessione).
Immanuel Kant – Critica del giudizio

Il piacere legato al desiderio delle cose non è legato alla bellezza.

La Bellezza non ha causa:
Esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e rimane.
Emily Dickinson

Lo esprime meravigliosamente nei suoi versi la Dickinson.

La bellezza è fine a se stessa, il piacere che ne deriva non è quello del possesso.

La bellezza è qualcosa che esiste a prescindere dal desiderio, che ci coglie all’improvviso, senza che bisogno di cercarla, di inseguirla.

Seguendo il flusso della coscienza, ci viene in mente un altro binomio, bellezza e felicità, che ci fa ricordare Buzzati.

Altri non c’erano. Si trattava di una delle porte più piccole e trascurate dai pellegrini. Quel giorno non c’era nessuno ad aspettare. Verso sera giunse un viandante che bussò. Egli non sapeva che fosse la città di Anagoor, non si aspettava, entrando, niente di speciale, chiedeva solo un rifugio per la notte. Non sapeva niente di niente, era là per puro caso. Forse solo per questo gli hanno aperto.
Dino Buzzati – Le mura di Anagoor

Autore sottovalutato, Buzzati, che ci racconta in prosa la ricerca della felicità come la Dickinson ci canta in versi quella della bellezza.

Entrambe inafferrabili se inseguite. Entrambe raggiunte quasi per caso, anche se il caso non esiste.

Il discorso, per entrambi, non è però così semplice come sembra.

Il protagonista del racconto di Buzzati è una figura duale, alla ricerca della razionalizzazione da un lato, nel suo voler svilire le congetture delle persone accampate fuori dalle mura, ma che dall’altro lato cede alla fascinazione della città, aspettando 24 anni di potervi entrare, prima di rinunciare.

Aganoor è città di mistero, come possiamo dedurre dal fatto che il viandante sia entrato dalla “porta stretta”, spesso citata nei Vangeli.

Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Luca – 13,24

O ancora:

Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa.
Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.
Matteo – 7, 13 – 14

Passi che ispirano anche uno dei capolavori di Gide, ‘La porta stretta’.

Et le pasteur ramenait le début du texte, et je voyais cette porte étroite par laquelle il fallait s’efforcer d’entrer. Je me la représentais, dans le rêve où je plongeais, comme une sorte de laminoir, où je m’introduisais avec effort, avec une douleur extraordinaire où se mêlait pourtant un avant-goût de la félicité du ciel. Et cette porte devenait encore la porte même de la chambre d’Alissa ; pour entrer je me réduisais, me vidais de tout ce qui subsistait en moi d’égoïsme…
André Gide – La porte
étroite

Una porta che è simile ad un laminatoio, dove mi introduco con sforzo, con un dolore straordinario, misto, tuttavia, al pregustare la felicità del cielo.

Il cammino del viandante non è semplice, ma il punto d’arrivo è la beatitudine, la felicità, la bellezza.

Perché no, la verità.

Bellezza è verità, verità è bellezza, – questo solo sulla Terra sapete, ed è quanto basta.
John Keats

Un altro passo della Dickinson ci dimostra che il suo concetto della bellezza non è così semplice come poteva sembrare dagli altri versi citati.

Morii per la Bellezza, e non appena mi ebbero accomodata nella tomba un uomo morto per la Verità venne deposto nella stanza attigua. Mi chiese piano perché fossi morta.
“Per la Bellezza”, gli risposi pronta. “Io per la Verità”, soggiunse lui. “Sono una cosa sola, siam fratelli”. Come parenti incontratisi una notte, conversammo da una stanza all’altra, finché il muschio ci raggiunse le labbra, ricoprendo per sempre i nostri nomi.
Emily Dickinson

Ancora bellezza è verità.

O quanto meno possiamo immaginare che ci siano due tipologie di bellezza.

Quella ingenua, che può cogliere chiunque, l’uomo semplice come l’umile viandante che bussa in cerca di ristoro.

Quella consapevole, frutto di una ricerca lunga e a tratti dolorosa.

Ci sovviene ancora la Bibbia, stavolta la Genesi.

Adamo ed Eva vivono nella Gerusalemme terrena in uno stato di beatitudine ingenua, non conoscono la differenza tra bene e male, il loro vivere fuori dal “peccato” non è conseguenza di una scelta.

Il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male strappa via il velo del candore. Vi è la cacciata, la caduta, ma la successiva risalita.

Altre opere richiamano la metafora della caduta, come la stessa Divina Commedia, ma si tratta di un’analisi che ci porterebbe troppo lontano dal nostro discorso.

L’uomo ha il libero arbitrio, la possibilità di scegliere tra bene e male, può così aspirare alla Gerusalemme Celeste, alla beatitudine consapevole.

E alla Gerusalemme celeste, come per Anagoor, si accede dalla porta stretta.

Bellezza, felicità, verità. E se in fondo fossero sinonimi?

L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! … La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.
Fëdor Dostoevskij

Dostoevskij pone la bellezza a fondamento del mondo, della stessa scienza; potremmo intenderla nel senso dell’equazione tra bellezza e verità, senza dover compiere troppe forzature.

La bellezza come senso.

La bellezza salverà il mondo.
Fëdor Dostoevskij

Mai come oggi il mondo ha bisogno di essere salvato.

Ma la nostra non vuole essere una crociata ambientalista, o un invito alla clausura.

Il mondo ha bisogno di essere salvato dallo squallore delle piccole cose che allontanano l’umanità dalla bellezza.

La maleducazione che troviamo ad ogni passo, di chi fa il metro di corsa per spuntare qualche posto in coda pensando di essere più furbo di chi invece cammina a passo normale.

L’arroganza di chi crede di parlare nel nome della verità.

L’odio banale di chi si scaglia contro chi la pensa diversamente.

L’indifferenza verso gli altri, verso la sofferenza o le semplici quotidiane richieste di aiuto di chi ci circonda.

Sì, solo la bellezza potrà salvare il mondo.

Ma la bellezza oggi è rarissima, soprattutto perché manca la capacità di coglierla, di intuirla, di manifestarla.

In una società che ha già vissuto ogni tipo di rivoluzione, in un mondo che naufraga nello squallore, è proprio la bellezza l’unica e ultima rivoluzione possibile.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.