Il motore della Resistenza era l’indignazione.
Stéphane Hessel
Il 25 aprile per l’Italia è sempre stata una data che ha portato discordia e poche volte riappacificazione. Quel giorno di aprile del 1945, possiamo dire, ha portato la fine della Seconda guerra mondiale. Per l’esattezza, comincia il giorno dell’Armistizio di Cassibile, ovvero l’8 settembre 1943.
Quel momento storico è il vero spartiacque per la storia italiana di quegli anni, perché è lì che l’Italia si divide per la prima volta con il centro-nord controllato dai nazi-fascisti con una zona di occupazione tedesca e la RSI, Repubblica Sociale Italiana.
Qui si contano rappresaglie contro la popolazione civile, come l’Eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, 335 vittime, e l’Eccidio del Monte Sole del 5 ottobre 1944, 770 vittime; il centro-sud è controllato dagli alleati: il governo guidato da Badoglio e il re scappano a Brindisi, mentre gli alleati sbarcano a Salerno.
Nel frattempo, si crea il CLN, Comitato Liberazione Nazionale.
La Resistenza, o guerra di Liberazione che dir si voglia, tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, coinvolse un numero difficilmente stimabile di persone, soprattutto giovani: se nell’aprile 1945 si arrivarono a contare 130mila combattenti o patrioti, saliti fino a 250 – 300 mila nelle giornate insurrezionali, era molto più contenuto il numero dei componenti delle prime bande, subito dopo l’armistizio con gli angloamericani dell’8 settembre 1943.
Mettendo da parte ogni considerazione di natura politica, vorremmo confrontarci con quel che resta di quel giorno, il senso di oggi, il testamento culturale e sociale di un tempo indescrivibile e, speriamo, irripetibile.
Quello che le generazioni a venire, con molte probabilità, tenderanno a dimenticare in toto, affidando lo spazio mentale a qualche paginetta di libro scolastico.
Sta scomparendo del tutto quel mondo, quella gente che ha vissuto nel dramma nazionale il suo dramma privato. Famiglie se non sterminate, falciate al suo interno da scelte di campo.
L’Italia in quei giorni ha vissuto la fine vera di quell’ideale di unità che il Risorgimento aveva provato a convalidare non senza atti di forza, non senza dolori e sacrifici.
Noi italiani dovremmo sforzarci di costruire un’identità civile fondata sui valori democratici, non sui principi che, seppur significativi, sono dettati da un tempo che ha avuto la sua vita ma anche la sua definitiva scomparsa: i valori democratici sono a prescindere da ogni fazione l’essenza della nostra Costituzione, il passare oltre su ogni sconveniente gioco di equilibri politici.
Per questo dico che, oramai, non si cerca più di capire la complessità delle cause dei problemi sociali, né esiste una memoria storica profonda di ciò che è stato; se così fosse si comprenderebbe l’importanza dell’eredità di quelle guerre scoppiate esattamente a partire da un secolo fa, 1914, e dopo le quali si è ricostituito in Europa il più lungo periodo di pace e prosperità mai vissuto.
Ci siamo abituati all’incapacità di rispondere alle nostre istanze da parte della politica, accettando risposte populiste e/o semplicistiche, dimenticando che abbiamo un passato che ci ha insegnato a lottare e a difenderci.
Siamo fuori da questo tempo se, ancora oggi, ci dividiamo in buoni o cattivi: la verità è che questo mondo va troppo velocemente per lasciarsi annegare nel torbido inganno di uno scontro superato che può solo incoraggiare nuove ferite a catapultarci nella violenza e nella farneticazione di rappresaglie aggressive dove si attestano sulla lavagna dell’ideologia sbilenca il divisorio di chi ha avuto ragione e chi torto.
Quindi, quel tempo e quell’eredità non possono essere messe da parte ma, aggiungo, dobbiamo fare un passo avanti tutti per il bene di una Nazione che rischia, dopo quasi ottant’anni, di girare intorno a discussioni, confronti e strali, che possono solo inneggiare ad un inverecondo disaccordo che ruberà tempo e spazio alle nostre risorse.
Lasciando sul campo sprazzi di energia che potevano essere sfruttati diversamente, allontanando i giovani dall’attuare una vera politica di costruzione e fomentando chi è allineato al degrado mentale e torva nel rancore l’unico anelito utile alla sua balorda esistenza.
Ecco perché quando si parla di Resistenza non ci si può limitare al ricordo dell’esperienza bellica dell’antifascismo: senz’altro è stata il frutto di mesi di guerriglia, di resistenza attiva e passiva condotta eroicamente, di cui la popolazione europea fu coraggiosamente capace, ma non è stata solo questo: c’è molto di più.
Va ricordato con forza che quel tempo fu, prima di tutto, un fulgido esempio di libertà. O meglio di scelta della libertà. L’aspirazione ad agire secondo i propri ideali e ad operare per un futuro dell’Italia nel quale le nozioni di libertà, democrazia e giustizia assumessero un significato più autentico e reale contro l’incapacità delle forze e delle istituzioni che governavano.
Quella stessa libertà che oggi vediamo facile e scontata ma che in quei giorni furono meravigliosamente e tragicamente uniche: vi era una popolazione allo sbando, un Esercito confuso e distrutto, vi erano equivoci e capovolgimenti, contraddizioni e impreparazione. Tanta ignavia ma anche tanto tantissimo eroismo. La libertà richiede sempre inequivocabilmente un gesto di feroce altruismo e un gesto di glorioso coraggio.
Questo sicuramente lascia la Resistenza: non il dispetto che si fanno certi politici, il gioco del mio e tuo, quel rincorrere rincoglionesco a chi ha più verità in tasca.
Quei morti nessuno più ce li restituirà, l’unica cosa che possiamo fare è rispettare il sangue versato, da una parte e dall’altra, costruendo un modello di società che sappia preservare la libertà e la democrazia.
Quel tempo ci ha insegnato a difendere i deboli e i fragili, a valorizzare la capacità di uscire delle paludi pericolose dell’indifferenza, del fatalismo e della rassegnazione.
Significa, anche, ricordare il dovere di combattere ogni sopruso e condividere lo stretto intreccio che sempre intercorre tra le scelte individuali e quelle collettive, per ritrovare, il coraggio di amare la verità, di credere ai propri ideali e ai propri sogni, così da affermare il coraggio di tutelare, rinsaldare sempre quella dimensione etica e ideale, quel futuro comune e unito che furono la causa cui tanti italiani dedicarono il loro impegno e la loro vita.
E poi va ricordata anche la Resistenza non armata, che spesso viene messa nel dimenticatoio: essa è stata una forma per di più popolare in quanto praticata, in genere spontaneamente, da moltissime persone che volevano dare un contributo personale alla lotta contro l’occupante nazifascista ed è stata altrettanto rischiosa della Resistenza armata, perché molti hanno pagato con la propria vita.
Quel tempo è stato per tutti un lutto che ogni italiano si portava stampato sulla fronte: e fa male che tutto quell’ardore e quel coraggio vengano oggi racchiusi dentro sterili polemiche di parte. Se siamo oggi liberi di confrontarci lo dobbiamo al coraggio di chi credeva ad un sogno.
Ci dobbiamo rammaricare che, a distanza di decenni, non siamo stati in grado di mettere la parola fine a questa divisione che ci disonora e ci lega ad un passato di odio e di bestialità.
In quella presa di coscienza del popolo italiano contro una lunga dittatura, in quella guerra perduta con una conseguente occupazione sanguinosa, c’è tutta l’eredità di gente che ha visto trasferire nella Carta Costituente il suo sacrifico.
Questo dovrebbe oggi ricordare quel giorno, qualcuno dovrebbe urlare di stare uniti e di amare e difendere sempre il valore della libertà. Ed invece si conta ancora chi era dalla parte del giusto e chi dalla parte sbagliata.
Molti giovani si improvvisarono eroi nella confusione di un ideale. Vanno rispettati e ringraziati: da quel sangue è nato un Paese che, nonostante le sue forti contraddizioni, resta democratico e civile. Questo dovremmo capirlo una volta e per tutte, da una parte e dall’altra.
Che qui si fa l’Italia e si muore
Dalla parte sbagliata
In una grande giornata si muore
In una bella giornata di sole
Dalla parte sbagliata si muore
Francesco De Gregori – Il cuoco di Salò
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.