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Cucina, Coscienza e identità interna

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La natura ha imposto all’uomo 7 grandi necessità: la nascita, il pensiero, l’azione, il mangiare, il sonno, la riproduzione e la morte.

Come suggerisce l’etimologia della parola ‘vivanda’, in questo percorso abbiamo analizzato che la natura comanda di mangiare per vivere, chiama tramite l’appetito, sorregge col sapore e ricompensa con il piacere.

È anche vero, però, che viviamo per mangiare. Quante volte abbiamo sentito dire o detto ‘portare a casa la pagnotta’?

Ma se ci bastasse nutrirci non ci distingueremmo dagli animali, invece ce ne allontaniamo definitivamente con la scoperta del fuoco, di cui abbiamo già parlato qualche articolo fa, dove abbiamo potuto constatare che, come gli uomini iniziano a produrre il fuoco, così questo inizia a formare l’uomo e pure a sfornarlo in qualche modo.

Cucinando gli alimenti tipici propri i popoli hanno cucinato sé stessi in un auspicato equilibrio tra natura e cultura. Se la crudità si avvicina molto al concetto di selvaggio, l’estrema trasformazione diventa identificazione di un’artificialità che elide il legame d’origine per finire a snaturare il prodotto.

Peraltro, assieme all’agricoltura, è necessario anche ricordare che le grandi rivoluzioni dell’umanità sono state generate dall’alimentazione, certificandone l’importanza fondamentale al pari dell’affinamento della ragione e della sensibilità dell’individuo.

Esistono persone però insensibili e prive di solenne gratitudine, che nutrendosi solo per basilari necessità di sopravvivenza, rimangono inespressive e con occhi spenti davanti a piatti congeniati amorevolmente o prodotti artigianali frutto della ricerca e della passione di qualcuno.

Mi spiace, ma questi non li comprendo e in modo un po’ tranchant dico che non credo possano meritare tali tesori, perché non arrivano a comprenderne il valore.

Utcumque ferculum, eximii et bene noti sapoids, appositum fuerit, fiat autopsia convivae, et nisi facies ejus at oculi vertantur ad extasim, notetur ut indignus.

Ogni volta che sarà servito un piatto di un sapore ottimo e ben conosciuto, si osservino attentamente i convitati e si bollino come indegni tutti coloro la cui fisionomia non apparirà estatica.
Jean Anthelme Brillat-Savarin

Come tutti gli appartenenti alla Loggia Culinaria, desidero focalizzare il concetto che, non certo sempre col fuoco del desiderio o con l’estasi del godimento, con alcuni cibi o bevande bisognerebbe ammettere l’emozione o un brivido inconscio.

Ergo, chiunque degustando con lentezza e assaporano con energia, non scorga quel lampo, potrebbe essere indegno degli onori del consesso culinario e dei relativi piaceri.

Solo i consapevoli riconoscono l’arte culinaria.

Nell’auto-identificazione credo stia la prima differenza: ad esempio ci riconosciamo come convitati o meri consumatori?

Quindi, essenzialmente, è una questione di consapevolezza, perché normalmente se ne ignorano gli aspetti d’anima, fermandosi alla superficialità dei sensi.

Mangiando, non introduciamo solo nutrienti, vitamine, proteine, carboidrati, minerali o calorie dell’alimento. Nel cibo c’è tanto di più: contenuti memoriali, simbolici, emozionali e relazionali, che sono nascosti nei nostri livelli di coscienza, che creano linguaggi non verbali: pensiamo al latte materno e tutto ciò che comporta al neonato, compreso il modo in cui gli viene somministrato.

Ciò che mangiamo ha un effetto di ricordo legato alla vista, al gusto e all’olfatto, ricreandone, talvolta, le percezioni passate. Ha pure un effetto di conforto in un tentativo di compensazione di qualche sbilanciamento emotivo, evidenziando la profonda coniugazione tra il mangiare e il sentimento.

I cibi morbidi danno una comunicazione opposta a quelli croccanti, esattamente come quelli dolci nei confronti dei salati.

Ripensando al neonato, i latticini dal nostro inconscio vengono legati alla figura materna, mentre i prodotti da frumento avvicinano all’idea paterna…

Come abbiamo cercato di dimostrare, il cibo è l’unione degli elementi naturali che compongono l’Universo e l’ingerimento sostiene la nostra esistenza.

Dal cibo viene la vita, dunque, con una misteriosa e continua trasformazione generatrice ciclica, diventando parte di noi e fonte di ogni pensiero umano e, dunque, ciò che assumiamo nelle nostre cellule è della stessa sostanza, della medesima energia di cui è composto tutto l’Universo, sotto cui si potrebbe identificare anche il concetto di divino.

Quante volte pensando al grande e sconfinato, guardiamo fuori di noi, magari con gli occhi rivolti alle stelle e all’infinità del cielo, trascurando o ignorando ciò che è dentro di noi, che è altrettanto immenso e profondo?!

Quindi, un’inversione di marcia può dare una visione del mondo interno, privato, che non è visibile dall’esterno e che è fatto di sensazioni, sentimenti, emozioni, pensieri e immaginazioni: i qualia.

Allora, concepire il fatto che esistono quattro livelli di esistenza e che le vivande li collegano tutti: fisico, emotivo, mentale e spirituale.

La consapevolezza ci dovrebbe dare la capacità di avere esperienze, di idearle con la creatività, di dirigerle e dar loro un significato, che può essere illuminato e integrato da altre informazioni; d’effetto, è la capacità di convertire le informazioni provenienti dal mondo fisico in qualia, che traducono la realtà fisica in una personale ed intima illusione.

Il convitato culinario consapevole determina un tutto con la percezione, la comprensione, l’identità, il libero arbitrio e l’azione e sono visibili le conseguenzialità sia in ordine fisico – occhi scintillanti, coloriti riaccesi, cervelli rinfrancati e fisionomie distese – sia in ordine morale – perché un buon cibo ravviva certamente l’umore, allevia lo stress, rilassa le membra e lo spirito s’acuisce e s’allieta.

Ma ciò che ingeriamo, come coopera a farci migliori nel corpo e nello spirito, così potrebbe fare esattamente il contrario, e lo fa! Dipende dalle nostre scelte, se fatte con attenzione e coscienza. Di questo forse ne parleremo in modo più dettagliato in uno specifico articolo.

Termino con delle domande che mi arrovellano da molto tempo:

È possibile spiegare come la consapevolezza possa affiorare in noi dall’interazione degli atomi fisici, pensando al cibo ad esempio?

La coscienza può derivare dall’Energia primordiale? Una sorta di principio cognitivo senziente che lega una realtà di unione tra ciò che è interno a noi e ciò che è esterno, con le reciproche influenze; un’Energia consapevole che ha lo scopo di conoscere sé stessa attraverso lo specchio della materia e perciò attraverso i qualia?

Se così fosse sarebbe una nuova indicazione di una via per unificare la dualità e legare mente e materia o addirittura scienza e spiritualità?

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.

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