Abbigliamento e Sociologia Estetica
Non è tanto il problema se io sia inguardabile, o meno, con questa cravatta, quanto invece, da dove origina così tanto fastidio nel vederla con un “nodo” atipico e fuori dalle regole. Se tutti la indossassero allo stesso modo creerebbe l’identico disturbo?
I gusti sociali seguono consolidati e precisi automatismi, ci spiega la Dott.ssa Ambrogia Cereda, laureata in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha, in seguito, conseguito il dottorato in Sociologia e metodologia della ricerca sociale e che, dal 2003, collabora con ModaCult, Centro per lo studio della moda e della produzione culturale, afferente al Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.
Antropologicamente parlando, nelle antiche tribù, l’individuo diverso era considerato strano, quindi pericoloso, e veniva estromesso dal branco.
L’avreste mai detto che il senso di fastidio, nei confronti di un abbigliamento inconsueto, come da qualunque cosa che ci risulti anomala, potesse essere generato da un’inconscia paura atavica?
Prendiamo, per esempio, il senso dell’olfatto. Venite in questo luogo, allo Studio Gayatri, e sentite inizialmente un lieve profumo di incenso, o di essenza di gelsomino. Dopo qualche minuto non lo avvertite più, come mai?
Il vostro naso, dapprima, ha dovuto essere molto ricettivo per individuare se il nuovo elemento – profumo diverso – fosse un oggetto amico o nemico. Una volta appurato che non vi sia nulla da temere, il senso dell’olfatto ha esaurito il proprio compito e non ci pensa più.
Ciò che diventa abitudinario, amichevole, ritualistico, non attrae più di tanto l’attenzione, mentre ciò che è diverso è strano, quindi, etimologicamente parlando, straniero, forestiero e, anticamente, veniva denominato anche barbaro.
Basti pensare ai tatuaggi; a quanto siano stati contestati inizialmente, come indice di figura rozza e barbara, mentre oggi sembra essere diverso colui che non ne ha almeno uno da qualche parte sul proprio corpo.
E la mia cravatta? Amici miei, già ebbi a dire in passato che trattasi di antico foulard di “barbari croati” di cui si innamorarono i nobili francesi dopo che Luigi XIV iniziò ad indossarlo alla tenera età di sette anni, copiando, appunto, i mercenari militari della Croazia al servizio dello Stato francese.
Era il 1600 e il nodo tanto in uso oggi ha avuto secoli di automatismi per essere radicato indelebilmente nell’inconscio di molte persone, ma siamo sicuri di avere una sana reazione nel vedere con apprezzamento quella roba al collo in maniera precisa e perfetta, e che sia invece malsano chi se la allaccia a proprio piacimento?
La sociologia ci insegna che il gusto non è affatto una scelta personale, quando è uguale ed identico per la maggioranza delle persone, e il fatto di vantarsi di “avere gusto” non è forse più ridicolo di un nodo di una cravatta bislacco?
Ci si può vantare di un automatismo inconscio derivante da una paura ancestrale, quando, in realtà, non c’è proprio nulla da temere?
La Dott.ssa Ambrogia Cereda, in un suo recente incontro presso lo Studio Gayatri, ci ha ricordato al proposito che un certo Garfinkel, fondatore dell’Etnometodologia, si divertì non poco a creare elementi di rottura atti a consapevolizzare l’essere umano in merito alle proprie reazioni, in relazione a ciò che comunemente viene considerato strano.
Perciò, se mi vedete con qualcosa addosso, che giudicate strano o barbaro, sappiate che mi sto divertendo anch’o!
Tratto dal Corso Naturopatia dell’Anima – PNF – Counseling Filosofico
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Autore natyan
natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.
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