Per confutare il pensiero di Zenone di Elea abbiamo dovuto attendere Descartes, Leibnitz, Newton e la teoria dei limiti (il limite di una serie infinita può convergere a un risultato finito).
Se Achille raggiunge o meno la tartaruga dipende dal rapporto tra spazio e tempo: ad esempio se deve coprire un metro di distanza e percorre 1/2 metro in 1/2 secondo, 1/4 di metro in 1/4 di secondo, 1/8 di metro in 1/8 di secondo, allora coprirà l’intera distanza in un secondo, perché la somma degli infiniti tempi con cui Achille copre gli infiniti intervalli in cui possiamo suddividere il metro che lo separa dalla tartaruga: 1/2+1/4+1/8+1/16+1/32+1/64…, che ha infiniti addendi, dà come somma 1, sia per ciò che riguarda gli spazi, sia per ciò che riguarda i tempi.
Zenone, invece, pensava che una somma con infiniti addendi avrebbe comunque dato un risultato infinito e che dunque Achille non avrebbe mai raggiunto la tartaruga, dovendo superare lo spazio interposto in un tempo che era il risultato della somma di infiniti tempi.
In effetti, un simile risultato si avrebbe se Achille rallentasse asintoticamente.
In linguaggio moderno diremmo che “Achille si muove alla velocità costante di 1 metro al secondo” e raggiunge la tartaruga, oppure che “Achille ha una accelerazione negativa” e non la raggiunge mai.
La storia del paradosso di Zenone ci insegna che, grazie alla matematica, possiamo separare la realtà fisica, la serie converge e Achille raggiunge la tartaruga, dalla realtà mentale, la nostra mente è incapace di abbracciare l’infinito e non potrà mai contemplare né gli infiniti intervalli in cui viene suddiviso lo spazio, né quelli in cui viene suddiviso il tempo, per la nostra mente è quindi inconcepibile che la loro somma possa dare un risultato finito.
La storia di questo paradosso ci mostra come la matematica possa trascendere i limiti della mente; in fondo, se la scienza e la tecnica moderne hanno trasformato il mondo così velocemente lo devono, nel bene e nel male, proprio alla matematica!
Cambiando il nostro modo di concepire la realtà e l’intento con cui la percepiamo, forse la matematica ha avuto il potere di “allineare” un mondo diverso da quello dei nostri progenitori. Il problema è che, mentre il nostro potere di evocare e materializzare nella realtà ciò che immaginiamo si è ampliato smisuratamente, la qualità dei nostri desideri è rimasta la stessa del V secolo avanti Cristo.
Simone Weil diceva:
I desideri hanno questo di pericoloso, che vengono esauditi. Tutto quel che io desidero esiste, o è esistito, o esisterà in qualche luogo. Perché io non posso inventare completamente. E allora, come non essere esaudito?
È indubbio che, nell’indicare una Via che conduca verso lo Spirito e la reintegrazione dell’uomo nell’Unus Mundus, nell’unità primigenia, diverse tradizioni abbiano indicato strade diametralmente opposte.
Nella Grecia antica, Democrito, gli stoici, gli scettici e gli epicurei utilizzavano il termine atarassia per indicare uno stato di imperturbabilità, di impermeabilità alle passioni, di assenza di desideri, alla ricerca di una assoluta equanimità, una ricerca raccomandata in particolare dagli stoici.
In modi molto diversi, anche il buddhismo e l’induismo hanno perseguito l’assenza di desiderio come via per la Liberazione e per la realizzazione del Sé.
Nel Bahagavad Gita, cap. XVI, Krishna, spiega ad Arjuna:
Il mondo illusorio e privo di fondamento in cui ci agitiamo è generato dal desiderio… mentre ci abbandoniamo a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza, albagìa e orgoglio, siamo ingannati dalle illusioni, cadiamo sotto l’influsso delle cattive inclinazioni, siamo spinti all’azione secondo una condotta impura.
E, nella Maitreya Upanishad, VI, 3, si legge:
Il mentale deve essere raffrenato nel cuore fintanto che non giunga alla distruzione; questa è la conoscenza, questa è la liberazione; tutto il resto non è che prolissità libresca…
Colui la cui mente è così assorta come acqua in acqua, fuoco in fuoco, etere in etere, costui è completamente emancipato.
La mente è per i mortali la sola causa di vincolo e liberazione; se aderisce agli oggetti dei sensi lo è di vincolo. Quando essa è vuota da ogni oggetto, la si chiama liberazione.
Nel XVIII secolo, invece, Louis Claude de Saint-Martin, influenzato dal pensiero di Martinez de Pasqually, di Hegel, di Böhme e di Swedenborg pubblicò ‘L’uomo di desiderio’, forse la sua opera più importante, in cui esaltava la tensione dell'”uomo di desiderio” verso lo spirito e verso Dio sostenendo che, attraverso la purificazione e la ricerca attiva di un contatto con il sacro, quindi attraverso una forma purificata di desiderio, l’uomo può emanciparsi dalle catene della materia ed elevarsi verso i regni dello spirito, reintegrandosi nell’unità primigenia.
Nel XIX secolo il pensiero di Saint-Martin e di de Pasqually sarà poi alla base della nascita del Martinismo, una via iniziatica che, ancora oggi, è rappresentata da numerose organizzazioni in tutto il mondo.
Pur con qualche differenza, ritroviamo un simile approccio in alcune tendenze della mistica cristiana, in particolare nel nord Europa, si veda ad es. a questo proposito il saggio di E. Zambrano ‘Il desiderio del cuore o l’itinerario dell’uomo a Dio’ sulla Rivista di Filosofia neo-scolastica vol. 79, n° 4 dell’ottobre – dicembre 1984.
A ben vedere, le due vie che abbiamo presentato come contrapposte, in realtà non lo sono.
I testi e gli insegnamenti che raccomandano la distruzione sistematica dei desideri, il “raffrenare il mentale”, l’abolizione della distanza tra “l’Osservatore del campo” e “il Campo” (Bahagavad Gita) alludono a desideri orizzontali, rivolti verso il mondo dei sensi, come accumulare ricchezza e possedimenti, potere, esercitare e subire la seduzione, ambire a uno status sociale diverso dal proprio, aspirare al proprio successo, alla rovina dei propri nemici, al benessere dei propri amici e parenti, all’ammirazione e alla benevolenza universale, etc..
L’“uomo di desiderio” di de Saint-Martin e il “desiderio del cuore” dei mistici cristiani presuppongono, invece, una purificazione, una qualche forma di ascesi che distolga l’attenzione dell’uomo dal perseguire obiettivi mondani e lo spinga ad astenersi dalle identificazioni che ne conseguono, per rivolgersi verso Dio con tutto sé stesso.
Potremmo quindi dire che gli antichi filosofi greci e i testi indiani hanno raccomandato di astenersi dai desideri di tipo orizzontale, mentre i seguaci di Saint-Martin e alcuni mistici cristiani hanno imboccato la via di un desiderio verticale, rivolto verso l’invisibile, il sacro e il trascendente.
Per riuscire a conciliare le due posizioni occorre quindi aver ben chiara la differenza tra orizzontalità e verticalità.
Realizzare questo proposito non è affatto evidente nel mondo contemporaneo, che ci spinge verso l’adorazione dei beni di consumo e delle immagini ipostatizzate degli uomini e delle donne “di successo”, con cui tutti vorrebbero identificarsi, ed esalta gli “status symbol”, oggetto dei sogni di moltitudini.
Nulla è più lontano dalla spiritualità e dalla tensione verso il sacro, eppure è la pubblicità ad orientare i desideri di miliardi di individui in tutto il mondo, a scandire le loro vite e il senso delle loro scelte…
Ogni sera milioni di famiglie, dalle Favelas brasiliane alle baraccopoli intorno a Il Cairo, dal Greenwich Village di New York alla periferia di Bombay, dalle verdi campagne irlandesi ai deserti australiani, si riuniscono attorno alla TV o navigano nel Web e vengono bombardate da messaggi che riguardano il loro “dover essere”, il modo in cui dovranno utilizzare il loro denaro e le loro energie, disciplinare i loro desideri e la loro sessualità.
Volando sulle ali della scienza e della tecnica, il mondo moderno si è trasformato ad una velocità vertiginosa, realizzando più cambiamenti in duecento anni che nei cinque millenni che hanno preceduto il XIX secolo. La nostra psiche, sollecitata, bombardata continuamente dai media, viene spinta verso la bulimia, come se l’essere dominati dal desiderio insaziabile di sempre nuovi beni materiali fosse il traguardo supremo che, ci viene detto, condurrà a una crescita del PIL e, quindi, al benessere economico di tutti.
Sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche e scientifiche, del Web e dei computer, che hanno rivoluzionato le regole dell’apprendimento e della comunicazione e messo a nostra disposizione una sconfinata capacità di ricordare gli aspetti più futili dell’esistenza, tutto procede sempre più rapidamente.
Il tempo dell’anima, invece, non è cambiato, né lo è la grammatica dei nostri desideri, sentimenti, e reazioni emotive agli stimoli esterni. Le pulsioni fondamentali dell’uomo del XXI secolo sono più o meno le stesse di un greco del V secolo avanti Cristo.
Il problema è che, mentre l’anima fatica ad orientarsi nel caleidoscopio dei mutamenti che la investono, la razza umana rischia di estinguersi per non aver saputo dare una risposta adeguata alle minacce ambientali, sociali e belliche che incombono su di noi e, in ultima analisi, per non essersi saputa proiettare nel futuro con un progetto costruttivo che riguardi l’intera collettività umana.
Oggi l’anima è una tartaruga che deve raggiungere l’Achille Piè veloce della tecnologia e della scienza, per riuscire ad integrarle in una visione che restituisca a tutti noi una direzione e uno scopo.
Non c’è più nemmeno bisogno di formulare un paradosso per ritenere remota questa possibilità.
Autore Alessandro Orlandi
Alessandro Orlandi (1953) matematico, museologo, curatore per 20 anni dell'ex museo kircheriano, musicista, saggista ed editore della Lepre edizioni, è autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico.