Il 22 ottobre al TRAM di Napoli
Riceviamo e pubblichiamo dall’Ufficio Stampa di Hermes Comunicazione.
Si conclude il 22 ottobre, ore 21:00, la programmazione della XII edizione de ‘I Corti della Formica’, la rassegna di corti teatrali ideata e diretta da Gianmarco Cesario, che quest’anno è stata ospitata dal TRAM di Napoli.
Il tema Guerra e Pace stasera viene declinato attraverso generi completamente diversi ma che in comune hanno la contrapposizione tra maschio e femmina, tra essere umano e terra: in entrambi i casi un rapporto di odio e amore con la figura materna, sia che venga idealizzata nella propria compagna o nella terra che genera vita e morte.
‘Il Mammone’
di Eva De Rosa
con Eva De Rosa, Adelaide Oliano e Salvatore Stellaro
scenografia Subeventi Pompei
regia Eva De Rosa/Adelaide Oliano
Il Mammone, primo episodio dalla trilogia ‘Dov’è finito il Principe Azzurro’ è un atto unico attraverso il quale si delinea in modo brillante, una sorta di identikit per meglio riuscire ad identificare, l’uomo pericoloso che usa violenza psicologia e/o fisica su una donna.
Attraverso varie esperienze, associazioni antiviolenza, supporto vittime e volontariato, ad un certo punto, dentro di me, è nata l’esigenza di fare qualcosa, non solo per le vittime che subivano violenza, ma soprattutto di trovare un modo per allertare, istruire e proteggere le donne, affinché mai più, cadessero nelle mani sbagliate.
Note di regia
Nel racconto la Vittima Francesca subisce violenza psicologica da parte di Paolo, suo carnefice, a cui simpaticamente ho dato il nome di ‘Mammone’, perché nella sua malattia è un uomo a cui manca la maturità, l’essere adulto, un adolescente quindi, che più che una compagna cerca una mamma.
‘Acqua sporca’
di Bruno Barone
con Francesca Romana Bergamo
aiuto regia Vittorio Passaro movimenti coreografici Francesco Capuano
regia Bruno Barone
Una donna nuda sul fondo della scena, dal suo ombelico un lungo drappo scivola morbido sul palco fino ad arrivare ad un grande recipiente di terracotta pieno di argilla e acqua sporca. È il simbolo della mancanza di acqua e delle difficoltà per approvvigionarsene. Un’acqua infetta, portatrice di sopravvivenza e morte. Dietro tutto il legame viscerale a una madre terra che risucchia i suoi figli, che a loro volta dimenticano i propri fratelli.
Questo il retroscena di una guerra ancestrale: quella tra l’uomo e la natura e quella tra l’uomo e il suo simile. Acqua Sporca traccia questi segni sulla pelle della sua protagonista: una donna, i suoi ricordi, le sue difficoltà e la lunga lotta per non cedere ad una terra crudele, alla quale deciderà di abbandonarsi.
Il lavoro è nato in occasione di un evento dedicato a Save the Children.
Note di regia
‘Acqua sporca’ è un lavoro nato in occasione di un evento Save the Children e racconta testimonianze vere di donne della zona Sub Sahariana dell’Africa. Donne vere, con le loro storie. Da qui la prima complessità del testo, nel cercare di non cadere nella trappola della retorica. L’obiettivo che si intende raggiungere con il lavoro è stimolare l’empatia dello spettatore e la sua capacità di autoimmedesimazione.Ecco perché si è puntato a parlare un linguaggio più simbolico ed universale, fatto più di emozioni, azioni ed ambientazioni che di parole. Abbiamo evitato qualsiasi intervento nozionistico e informativo riguardante la situazione africana.
Sempre su questa linea si è deciso di scegliere un’interprete dai colori chiari, proprio per rendere un’immagine universale, per mostrare come questo problema possa e debba essere vissuto come un problema di tutti e non relegato semplicemente alle etnie africane. La sua purezza sarà violata dal fango di quell’acqua che, come un virus, sporcherà e contaminerà le sue membra.Molti simboli sono stati scelti per narrare questo racconto. La scelta del recipiente a forma sferica, richiama la terra; la donna legata inscindibilmente ad essa da un lungo cordone ombelicale; un cordone che diverrà figlio – anch’esso strettamente connesso alla sua madre e alla terra – e simbolo dell’incessante lotta per la sopravvivenza. L’intera narrazione procede per immagini, attingendo anche all’immaginario occidentale.
Ecco, allora, che la donna sopraffatta dalla Madre e completamente avvolta dal suo cordone, apparirà come un Cristo velato. È il simbolo del sacrificio di un popolo dimenticato e abbandonato dai propri fratelli e di un mondo totalmente indifferente alla loro sofferenza.
Per ciò che concerne il linguaggio scelto, la pièce utilizza due codici: una prima parte evocativo-musicale per indurre nello spettatore più un’emozione, un’apertura, più che un ragionamento; un secondo momento più discorsivo per rappresentare le testimonianze delle donne raccolte da Save the Children.
La conclusione si riappropria di un linguaggio simbolico, che va ad evocare quasi una preghiera. Il finale coinvolge anche il pubblico, per stimolare la percezione che un semplice gesto può servire ad interrompere questa catena di morte e di guerre per lo sfruttamento di risorse e persone: ogni spettatore potrà riempire un bicchiere con dell’acqua pulita e andarlo a sversare nell’anfora, donando nuova vita alla protagonista, che finalmente potrà bere e purificare la sua pelle.