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Controcorrente

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Controcorrente


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Per arrivare alla fonte bisogna nuotare controcorrente.
Stanisław Jerzy Lec

Per qualcuno, l’uomo contemporaneo è succube della tecnica: se dapprima è riuscito a liberare le forze nascoste della natura e ad usarle per i propri scopi, ad introdurre il principio teleologico nell’azione delle forze meccaniche, fisiche e chimiche, in seguito non è stato più in grado di dominare il potere della tecnica su di lui.

Ora, questa può essere al servizio di Dio o al servizio del diavolo, del bene o del male. La tecnica ha come immediata conseguenza il passaggio dall’ordine organico – ossia in diretta e positiva connessione con la terra, con le piante, con gli animali – all’organizzazione, fase, quest’ultima, in cui l’uomo smette di vivere tra gli animali e le piante, è immerso in un nuovo ambiente freddo e metallico nel quale non c’è più tepore animale/umano, non c’è più sangue ardente ma lucida o irrazionale auto-tecnocrazia.

Lo ammetto, è una visione romantica delle cose che spiega, in parte, anche quello che poi nel tempo è lo scaturire di altri eventi sociali e non a cui siamo oggi sottoposti e che viviamo tra la noia, l’accettazione e qualche brivido di ribellione, come può essere la crisi spirituale e culturale che viene attribuita al processo di massificazione della cultura, data dall’ingresso di persone e dalla conseguente democratizzazione e scadimento; immagino che per molti questo concetto produca un prurito, sa di selezione e potrebbe essere tacciato di razzismo ante litteram!

Sappiamo, o quanto meno crediamo, che le masse assimilano con facilità il materialismo volgare e la civiltà tecnica esteriore, ma non la cultura spirituale superiore, passando facilmente dalla visione del mondo religiosa all’ateismo o, ancor più grettamente e gravemente, al vuoto inabissale dell’anima. Ma non è uno scontro tra la dialettica del principio aristocratico e del principio democratico della cultura, anzi.

Cosa ne deriva?

Che stiamo assistendo ad una crisi globale della nostra cultura, della nostra socialità e della nostra arte, subendo profondissimi sconvolgimenti nei suoi fondamenti millenari. Il vecchio ideale di bellezza classica è tramontato definitivamente e ci stiamo rendendo conto che non potremo più tornare alle sue forme.

Il nostro pensiero culturale sta tentando convulsamente di superare i propri confini, ma è frenato dal progresso tecnico che ha clamorosamente arrugginito il verbo e la ragione, sfruttando ogni ingranaggio utile per far scivolare il veleno della sua apatia e della sua omologazione.

In effetti, con la nostra superficialità non abbiamo percepito i profondissimi processi di cambiamento che avvengono nella vita del creato e dell’uomo. Tuttavia, ci troviamo nella più profonda ignoranza senza alcuna conoscenza del significato di ciò che sta accadendo, né abbiamo quella intensa vita spirituale che renderebbe visibile non solo la corruzione dei vecchi mondi, ma anche di scorgerne di nuovi.

Qualche studioso di cui mi sfugge oggi il nome, disse che stiamo smarrendo l’irripetibile e individuale originalità. Abbiamo fatto, a mio personale avviso, un errore enorme: ci siamo fatti guidare da un razionalismo radicale.

Infatti, una società che si basa sulla meccanica delle quantità, sull’algoritmo, che considera l’individuo come una grandezza matematica è dunque totalmente razionalizzata, incontrovertibilmente logica, che non ammette l’intrusione di nessuna forza irrazionale e, quindi, spirituale.

Da ciò, senza volere esasperare, si ha però una svalutazione della persona, che viene maggiormente rispettata se si ammette l’elemento irrazionale, perché più attigua alle nostre ancestrali origini.

Siamo nati dal buio e dall’inconsapevolezza, dal dubbio e dal furore di un dio o di un caos. Non possiamo allontanare le nostre radici tagliandole dallo spirito della terra. Ecco che nasce l’esigenza di andare controcorrente: sfidare le regole arbitrarie e comuni, decise senza confronto e, soprattutto, secondo il morbo della democrazia elitaria e convenzionale, utile ai suoi interessi e concorde con chi gestisce le sue ragioni.

È un virus, un parassita che si insinua nell’uomo: parlo dell’accettazione passiva e schematica di ogni pensiero e di ogni preferenza. Siamo firmati e non firmiamo, siamo controllati e perdiamo la bussola insita nella nostra anima. Ci facciamo scegliere, non abbiamo giudizi, ma subiamo i pregiudizi della maggioranza che si mette in fila a capo chino, assumendoci responsabilità che, magari, nemmeno sappiamo che nome hanno.

Dovremmo vivere la libertà di essere controcorrente: le due istanze sono intimamente connesse, al punto che non può darsi l’una senza l’altra. Ed invece, ci costringiamo ad accettare il regime del pensiero comune, quello del politicamente corretto, dimenticandoci che la libertà è e rimane un concetto fondamentale: non è solo soltanto un’astratta parola, bisognerebbe dare corpo al desiderio di vivere in un modo più umano, cambiare lo sguardo ed acquisire la consapevolezza di un’originalità che contraddice inesorabilmente il caso.

Perché per questa società, l’andare controcorrente è spesso corrispondente di ghettizzazione, isolamento, del non essere integrati e graditi in una collettività dove, sempre di più, e attraverso il fenomeno della globalizzazione si va tutti abbracciati in un’unica direzione.

Una stessa direzione per ogni attività: la moda, la musica, il pensare, il mangiare, la filosofia, l’arte; insomma, un conformismo globale che domina tutto e tutti e nel quale essere controcorrente significa uscire forzatamente dalla zona di comfort e dirigersi verso critiche, conflitti, incertezze e, perché no, anche rischi, se non l’esclusione da ogni opportunità.

Si tratta di un fenomeno deplorevole, si finisce per tacere o, ancora peggio, unirsi ad allineamenti solo per non dover remare contro la corrente dominante. Questo convenzionalismo ha un livello così profondo che non solo ci fa comportare come gli altri e ci fa pensare come gli altri, ma ci induce, perfino, a non considerare neanche la possibilità o il dubbio di essere in errore.

È il sintomo del fatto che, in molti casi, la pressione del gruppo o di una massa ci porta ad alterare inconsciamente la nostra stessa percezione del mondo. Così creiamo internamente uno squilibrio che parte da noi e arriva ovunque, plasmando quello che noi creiamo in ogni confronto, interagendo, allineandoci e allineando al pensiero forte e comune.

Sarebbe uno sbaglio anche lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme, come pure da una globalizzazione intesa come omologazione.
Per superare questi rischi, il modello da seguire include sempre una molteplicità di elementi e rispetta l’unità nella varietà. In questo modo, si può difendere l’unità e anche la diversità. Solo così il pensiero diviene fecondo ed espressione di una mente aperta, che, illuminata dalla verità, discerne dal bene e dalla bellezza.

Se non ci lasceremo condizionare dall’opinione dominante, ma rimarremo fedeli ai principi della nostra anima e del nostro intelletto, anche a costo di sbagliare, troveremo il coraggio di andare controcorrente e di fare un passo avanti per la salvezza di questo mondo e di quello che verrà dopo di noi.

Bisogna non lasciarsi vincere dalla mediocrità e dalla noia che, a volte, appesantiscono il contesto socio-culturale nel quale siamo inseriti. Per farlo, non possiamo fare a meno di dire quello che pensiamo, a costo di pagare dazio.

Molti vivono quella che io chiamo “la sindrome del Niagara”. Secondo me la vita è come un fiume e la maggior parte degli uomini si lancia in questo fiume senza sapere esattamente dove vuole andare a finire. Così, in breve tempo, si lascia prendere dalla corrente: dagli eventi correnti, dalle paure correnti, dalle sfide correnti. E quando arriva ad una biforcazione del fiume, non riesce a decidere consapevolmente da che parte andare, o qual è la direzione giusta. Si limita ad “andare con la corrente”.

Entra a far parte della massa di persone che si lasciano guidare dall’ambiente invece che dai loro valori. Di conseguenza, sente di aver perso il controllo. E resta in questo stato d’incoscienza fino al giorno in cui il fragore dell’acqua la sveglia e si rende conto di stare a un paio di metri dalle cascate del Niagara, in una barca senza remi. A questo punto, esclama: “Accidenti!” Ma ormai è troppo tardi. Finirà per precipitare. A volte il crollo è emozionale. A volte fisico. A volte finanziario.
Anthony Robbins

 

 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.