La cerimonia è in programma il 10 marzo presso il piazzale antistante alla Stazione ferroviaria
La Commissione Straordinaria del Comune di Sant’Antimo (NA) ha deciso di intitolare il piazzale antistante la Stazione ferroviaria al giudice Rosario Livatino.
Le motivazioni della scelta risiedono nella volontà di ricordare un uomo distintosi per il rigore, l’umiltà ed il coraggio con cui ha condotto la sua attività lavorativa, impegnandosi e portando avanti i propri principi, fino all’estremo sacrificio della vita.
Programma
Giovedì 10 marzo alle ore 11:00 avrà luogo una cerimonia commemorativa presso il piazzale antistante alla stazione ferroviaria, alla presenza di autorità militari, civili e religiose, ed alla fine della quale – dopo un momento di raccoglimento – verrà scoperta la targa in memoria del giudice Livatino.
Intervento di saluto
Ore 11:0
Maura Nicolina Perrotta – Coordinatore Commissione Straordinaria
S.E. Monsignor Angelo Spinillo – Vescovo di Aversa (CE)
Claudio Palomba – Prefetto di Napoli
Ore 11:30 Scoprimento della Stele Commemorativa e benedizione del Vescovo
Ore 12:00 Visita al cantiere della Nuova Tenenza dei Carabinieri di Sant’Antimo
Biografia
La figura del giudice Livatino è ancor più da ammirare per la profonda fede religiosa che lo ha contraddistinto e che ha trasposto anche nella sua professione di brillante magistrato, accompagnandolo nella sua purtroppo breve vita terrena.
Rosario Livatino è nato a Canicattì (AG) il 3 ottobre 1952, da Vincenzo, laureato in legge e pensionato dell’Esattoria comunale, e Rosalia Corbo. Si laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo il 9 luglio 1975, a 22 anni con il massimo dei voti e la lode. Il 21 aprile 1990 consegue con lode il diploma universitario di perfezionamento in Diritto regionale.
Giovanissimo entra nel mondo del lavoro, vincendo il concorso per Vicedirettore in prova presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento, dove resta dal 1° dicembre 1977 al 17 luglio 1978.
Nel frattempo, però, partecipa con successo al concorso in magistratura e, superatolo, lavora a Caltanissetta quale Uditore giudiziario, passando poi al Tribunale di Agrigento, dove, per un decennio, dal 29 settembre 1979 al 20 agosto 1989, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si occupa delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche, nel 1985, di quella che, negli anni 90, balzerà alle cronache come la “Tangentopoli siciliana”.
È proprio Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per primo un Ministro dello Stato. Dal 21 agosto 1989 al 21 settembre 1990 presta servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione.
Della sua attività professionale sono pieni gli archivi del periodo non solo del Tribunale di Agrigento, ma anche degli altri uffici gerarchicamente superiori.
Viene ucciso in un agguato mafioso la mattina del 21 settembre 1990 sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento – Caltanissetta mentre, senza scorta e con la sua auto, si reca in Tribunale. Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti, tutti condannati, in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio, all’ergastolo con pene ridotte per i collaboratori.
Il pensiero
Nell’agenda di Livatino del 1978 c’è un’invocazione sulla sua professione di magistrato, datata 18 luglio, che suona come consacrazione di una vita:
Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige.
Fede e diritto, come Livatino spiega in una conferenza tenuta a Canicattì nell’aprile 1986 ad un gruppo culturale cristiano, sono due realtà
continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile.
Nel rifarsi ad alcuni passi evangelici, Livatino osserva come Gesù affermi:
La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana; e forse può in esso rinvenirsi un possibile ulteriore significato: la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa applicazione della legge vanno operate col suo spirito e non in quei termini formali.
Ancora su questo aspetto, Livatino dichiara:
Cristo non ha mai detto che soprattutto bisogna essere ‘giusti’, anche se in molteplici occasioni ha esaltato la virtù della giustizia. Egli ha, invece, elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano.
Rispetto al ruolo del magistrato Livatino afferma:
Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio.
Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata.
Hanno detto di lui
Papa Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita pastorale in Sicilia il 9 maggio del 1993, dopo aver incontrato ad Agrigento i genitori di Livatino, dirà degli uccisi dalla mafia:
Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede.
Nella messa di commiato, il suo Vescovo lo descrive come giovane
impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’Eucaristia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso.
Ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe. È attestato il suo impegno affinché, nell’aula delle udienze, in tribunale, ci sia un crocifisso.
Autore Rocco Romeo
Rocco Romeo, giornalista pubblicista, architetto, docente di disegno presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie Applicate dell’Università degli Studi 'Guglielmo Marconi', professore di sostegno all'IC Giovanni XXIII di Sant'Antimo (NA). È membro del Rotary Club/Reggio Est e cura il concept e la progettazione di opere orientate al design. È autore di pubblicazioni sull’inclusività della scuola e sulle tecnologie a supporto dell’insegnante di sostegno.