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Come sopra così sotto: la Galleria Umberto I e il Salone Margherita

Galleria Umberto I Napoli - foto Rosy Guastafierro

Galleria Umberto I Napoli - foto Rosy Guastafierro



Icona del Risanamento a Napoli è sicuramente la Galleria Umberto I.

A seguito dell’epidemia di colera del 1884, venne attuato un vero e proprio sconvolgimento che cambiò radicalmente gli storici quartieri che contenevano quelle testimonianze di vita e arte della città antica successiva all’età greco romana.

Cambiarono totalmente volto i quartieri Mercato, Pendino, Vicaria, Porto, ma soprattutto Chiaia, dove furono effettuati dei lavori che travolsero la quotidianità dei pescatori della Riviera, di Mergellina e Santa Lucia con la cosiddetta “colmata”.

Edificata in soli tre anni 1887 e 1890, su progetto dell’architetto Emmanuele Rocco, la Galleria Umberto I rivaleggiava con l’emblema di Parigi, la torre Eiffel, senza invidiarne la maestosità.

Quattro imponenti edifici uniti da una galleria in ferro e vetro, massima lunghezza 147 metri, per una larghezza di 15, e altezza di 34. I quattro bracci, di lunghezza diversa, si intersecano riproducendo una crociera ottagonale coperta da una superba cupola, che raggiunge l’altezza di 57 metri, opera dell’ingegnere Paolo Boubée.

Dei quattro ingressi via Toledo, via Santa Brigida, via Verdi e via San Carlo, quest’ultimo è l’accesso principale, dove un porticato ad esedra maschera lo sbocco in diagonale della galleria.

Questa costruzione, inizialmente voluta per una funzione puramente commerciale, doveva in ogni caso avere la stessa sontuosità dei monumenti che la contornavano come il Reale Teatro di San Carlo, il Maschio Angioino e, poco distante, il Palazzo Reale, soddisfacendo, contemporaneamente, il bisogno di uno spazio pubblico al coperto, che consentiva la socialità durante le intemperie.

Il suo interno è un vero e proprio scrigno di simboli. Nel pavimento sotto la cupola, al centro dell’ottagono, si distingue una rosa dei venti contornata da mosaici con i segni zodiacali che si susseguono in cerchio.

Galleria Umberto I Napoli – foto Rosy Guastafierro

Molti altri sono celati agli occhi del distratto passante, ma per coloro che “sanno” si rivelano in tutta la loro tradizione, come la Stella di Davide sulle quattro finestre del tamburo della volta centrale.

Come sopra così sotto, l’ingegnere Ernesto Mauro apportò una modifica al progetto iniziale, decidendo di sfruttare tutto lo spazio sottostante realizzando un secondo ambiente di eguale grandezza ed imponenza. La modifica, però, non fu mai completata definitivamente, a causa della famosa crisi del mattone; testimonianza di ciò è la scala in marmo ancora incompiuta dal lato di via Toledo. L’accesso, tuttora usato, fu realizzato su via Verdi, una scalinata di marmo che consente di entrare in questo favoloso scrigno.

Come galleria commerciale non ebbe fortuna, ma è diventata famosa perché il 15 novembre del 1890 fu inaugurato, alla presenza di uomini d’affari, contesse, principi, principesse e giornalisti, il primo cafè chantant d’Italia, il Salone Margherita, nome dato in onore alla regina, diventando, grazie all’intuito di Giuseppe Marino, direttore del Banco di Napoli, e di Eduardo Caprioli, un grande polo d’attrazione non solo per gli abitanti partenopei.

Salone Margherita Napoli

Basato sul modello francese delle Folies Bergère e del Moulin Rouge incarnò le aspettative della  Belle Époque italiana. L’emulazione era così radicata da imporre ai camerieri l’uso della lingua francese, gli stessi menu erano scritti nell’idioma d’Oltralpe e gli artisti, in particolare le donne, usavano francesizzare i propri nomi.

Una pianta circolare è al centro della crociera inferiore, dove venivano dislocati i tavolini, ora relegati solo nei lati e sui balconcini, sovrastata da un’ampia volta ad ombrello da dove calano candelabri in cristallo e decorata con stucchi dorati e bianchi, mentre il pavimento conserva ancora gli antichi marmi con i tipici mosaici centrali.

Non fu solo teatro. Il 30 marzo 1896 in queste stesse sale vi fu il debutto della fotografia animata, come venivano chiamate inizialmente le immagini in movimento che diedero vita al cinematografo.

Il suo successo fu tale che i ricchi sfaccendati di tutta Italia preferivano, quando erano in vena di divertirsi, Napoli a Parigi.

Così si diceva al tempo.

La stessa Matilde Serao, presente all’inaugurazione, sul Corriere di Napoli, scrisse:

Chi può mai enumerare le belle sorprese di questo ritrovo alla moda? Tutte le sere c’è da stordirsi, in vero, e si deve solo alle molteplici e gaie attrattive se il pubblico vi accorre numeroso.

Correte tutti al Salone Margherita e troverete davvero di che rinfrancarvi lo spirito, di che deliziarvi non solo la mente e gli orecchi, ma anche gli occhi, oh gli occhi soprattutto…

La caratteristica principale era che gli artisti si esibivano tra i tavolini coinvolgendo gli spettatori, vedette internazionali come la Bella Otero e Cléo de Mérode coinvolgevano e intrattenevano il pubblico con gran piacere.

Al costo di due lire, si potevano ammirare le ballerine, le famose chanteuse ovvero sciantose che oltre ad essere brave erano soprattutto belle, perché si sa la donna partenopea, superate le resistenze iniziali, nulla ha da invidiare al resto del mondo!

In genere, l’intrattenimento era in due tempi in un continuo alternarsi di tenori, femme fatale, illusionisti e soubrette, non mancava la macchietta che, grazie a Nicola Maldacea, diede vita ad un nuovo genere di spettacolo.

L’inventiva era una prerogativa essenziale. Su queste assi l’attrice Maria Ciampi si cimentava nella “mossa”, il sensuale e sinuoso movimento dell’anca, che ancora resiste in determinati spettacoli teatrali e che faceva girare la testa ai viveur presenti, che, a detta di qualcuno, pare avesse però “rubato” alla collega ballerina Maria Borsa, che, per prima, lo aveva ideato sul palco del teatro Partenope in via Foria.

Con l’attenuarsi della moda francese e la nascita della sceneggiata napoletana, il Salone Margherita iniziò a perdere il suo fascino, entrando in crisi fino alla chiusura nel 1982.

Fortunatamente, grazie alla famiglia Barbaro, imprenditori napoletani, questo luogo simbolo è tornato a essere fruibile nel 2008 offrendo eventi d’eccezione.

Amori, passioni, storie clandestine hanno animato i camerini di questo posto davvero unico nel suo genere, uno fra tutti tra la bella napoletana DOC, Amelia Faraone e Vittorio Emanuele, duca di Torino, tanto che, ancora oggi, aggirandosi tra i suoi palchetti, i divanetti di velluto rosso e gli stucchi dorati sembra si odano sospiri e baci, tra false e tenere promesse capaci di evocare quelle suggestioni che hanno reso grande e irripetibile l’inizio del ‘900.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.

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