Il 12 maggio scorso, a Milano, alcune decine di manifestanti per lo più appartenenti ai centri sociali si sono riunite dinanzi al Pirellone per manifestare contro i poteri della ‘casta’.
Nulla di strano a prima vista, considerato l’esiguo numero e l’oggetto della protesta.
E invece un piccolo particolare c’è: tra gli appartenenti alla élite politica stavolta figura, assieme ai soliti noti, anche Luigi Di Maio, attuale leader politico di un movimento che ha fatto della lotta ai potenti e del rigore etico uno dei punti-chiave del proprio programma politico.
Ne nascono brevi considerazioni sull’etica come categoria politica e sulla pretesa di ‘appropriarsene’ in maniera esclusiva da parte di un individuo, partito, fazione o classe.
È dato, infatti, osservare che colui o coloro che ne affermano la titolarità a discapito dei contendenti ne vengono a loro volta colpiti, in un tempo non troppo lontano, in forza di accuse non troppo dissimili.
Ci si chiede, allora, quanto tempo passerà, ora che il Movimento è divenuto forza di governo, prima che un nuovo movimento anti-movimento porterà avanti le stesse battaglie e gli stessi valori del movimento, ma con più onestà, maggiore vigore, meno compromessi di quello.
Non si sta obiettando qui, si badi, della riproposizione della questione etica – e del suo immediato precipitato politico, l’onestà – in ambito politico, né tantomeno della sua utilizzazione programmatica, cose anzi del tutto auspicabili, ma della pretesa di un suo monopolio rispetto al resto dei contendenti, atto a creare una cesura di tipo binario, onesti/non onesti, non priva di pericoli, oltre che – lo abbiamo appena detto – storicamente controproducente.
Viene in mente una vecchia ma oltremodo esplicativa immagine, quella del vulcano e della lava: la nuova lava ha nel suo destino la distruzione di tutto ciò che, oggi solidificato, è stato un tempo lava, ma anche di raffreddarsi e di divenire ciò che un tempo voleva distruggere, divenendo oggetto di distruzione per la lava che verrà.
Ciò che è fatale alla lava, nell’atto di massima vitalità, è l’inconsapevolezza del destino che la attende, portandola a pensarsi eterna e unica portatrice di bruciante purezza. Ed è solitamente fatale, per ogni proposta politica in uno scenario democratico, l’inconsapevolezza della sua storicità, vale a dire dell’impossibilità di appropriarsi di categorie speculative che, pur solidali alle vicende dell’uomo politico, non accettano esclusive né esclusioni pregiudiziali.
Cambiando volutamente piano, onde dimostrare la portata metapolitica di tale assunto, una cosa simile accadde nel ’76, quando il punk spazzò via un rock progressivo divenuto manieristico e autocelebrativo, ormai inadatto ad incarnare le istanze critiche, o anche solo le posizioni anarco-nichiliste, di un mondo ancora più industriale, sporco e imbastardito; e lo fece rivendicando le stesse, identiche pretese di onestà creativa che erano state proprie della prima scena progressiva, quella del ’69.
Se “La rivoluzione divora i suoi figli”, come ebbe a dire Pierre Victurnien Vergniaud, dinanzi al tribunale che condannava lui, girondino e rivoluzionario, alla ghigliottina, l’etica lo fa con i padri. Soprattutto quelli putativi.
Autore Giuseppe Maria Ambrosio
Giuseppe Maria Ambrosio, giornalista pubblicista, assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Ha all'attivo numerose pubblicazioni su riviste italiane e straniere e collabora con diverse riviste di settore. Per ExPartibus cura la rubrica ScomodaMente.