La sfida è di quelle particolarmente difficili da affrontare. Si tratta di scegliere dieci, e solamente dieci, immagini che raccontino della vita e della carriera. Se sei Cesare Accetta la sfida è di quelle veramente impossibili da sostenere.
Inutile dire che non è stato facile farsi strada in una vita di immagini e decidere quelle per raccontarsi, soprattutto poi per uno degli artisti più conosciuti del panorama nazionale, noto oltre che come fotografo anche come lighting designer per cinema e teatro; per un uomo, inoltre, che ha avuto una vita personale ed artistica così ricca di incontri come la sua.
La sua vita di fotografo comincia un po’ per gioco, frequentazioni di ragazzo con amici di famiglia e di scuola più grandi che gli trasmettono questa passione e che gli prestano le prime attrezzature.
La famiglia asseconda la passione di Cesare, il padre comprerà la sua prima macchina fotografica professionale.
La felicità di posare lo sguardo e di catturare la vita in un taglio fotografico lo conquista subito, la fotografia è per lui subito “ricerca fotografica”, le luci nelle ombre, i corpi nello spazio, sempre in una dimensione che è esperimento della realtà, guida dello sguardo.
Saranno poi scelti in maniera più circoscritta e definitiva i suoi soggetti ed i suoi spazi che saranno prevalentemente quelli del teatro.
Infatti l’oggetto del suo lavoro si determinerà così naturalmente e sarà nel luogo del teatro. Come per gli amici nei quali ti riconosci e con i quali ti trovi a dividere la vita materiale ed intellettuale, allo stesso modo quel teatro lo accoglierà e lo renderà anche “autore”, sarà il “posto” per eccellenza in cui lo sguardo di Cesare Accetta scrive la storia della sua vita, del suo amore e della sua carriera.
Il mondo che racconta e che lo racconta.
Quando gli chiedo di sbilanciarsi su quelli che per lui sono gli incontri fondamentali che lo iniziano alla fotografia, cita l’artista Dino Izzo, le gallerie d’arte contemporanea in Campania e l’amico Fabio Donato.
Come lui stesso sottolinea è soprattutto l’aspetto della ricerca ad affascinarlo e tenerlo legato alla figura umana nello spazio, una passione assecondata dalla sua frequentazione del teatro Instabile.
A certificare questo avvenuto salto dall’appassionato al professionista è il primo compenso che gli viene corrisposto per le foto di scena di uno spettacolo della compagnia degli Ipocriti, da Alfredo Balsamo, nel 1976.
Il teatro era il mio soggetto per la mia ricerca fotografica
dirà spiegando quello che si provava in un’epoca in cui la difficoltà tecnica faceva di te un professionista: il lavoro al cavalletto, dati i lunghissimi tempi di esposizione a cui ti costringevano le condizioni di luce teatrale, e l’abilità nella stampa, separavano i veri professionisti dagli altri.
E poi: la fatica di conquistare uno spazio anche “umano”, il rapporto che instauravi con la compagnia, soprattutto con chi potevi seguire in tutte le prove e negli spostamenti, quelli che ti identificavano come uno di casa, uno a cui poi facevano meno caso quando imbracciava pure la macchina fotografica, e per altre compagnie, invece, si trattava di vedere solo la prova generale alla quale era necessario assistere soprattutto per riprodurre poi quel materiale che sarebbe stato stampato immediatamente perché facesse da pubblicità e documentazione.
Cesare ricorda con rimpianto i tempi in cui non era così facile portare a casa il lavoro: tutto era nelle abilità di gestione di camera oscura, rulli da sviluppare, la scelta dei contatti da stampare, la qualità stessa della foto per la stampa.
Era suo il compito di tirar fuori quell’immagine che sarebbe stata il biglietto da visita per la compagnia e per lo spettacolo e che, appunto, veniva consegnata per l’uscita promozionale della pièce, ai giornali.
Il primo studio fotografico importante lo apre giovanissimo, nel ’78, dividendo il grande appartamento insieme ad un altro artista: un incontro fondamentale quello con Antonio Neiwiller.
Decide di chiamarlo Memini da un scritta che è scolpita sui frontoni delle finestre della struttura e che lo ispira proprio perché è dedicata al ricordo, all’immanenza ed alla caducità nello stesso tempo.
È un posto magico a San Biagio dei librai, metà casa di Antonio, metà studio. Vi ospita tantissime mostre, tra quelle più importanti da ricordare Falso Movimento Live.
Sono anni nei quali si incontra e si condivide tanto, soprattutto nella zona del centro storico, teatro della ricerca sull’individuo, atmosfere che purtroppo il terribile terremoto dell’80 spazzerà via per qualche tempo.
Nel 1987 Mario Martone e Toni Servillo fondano con Antonio Neiwiller Teatri Uniti, unificando le esperienze di Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio di Caserta, si tratta di un cortocircuito straordinario che consente anche alla potenzialità espressiva di Cesare Accetta di concentrarsi oltre che sulla fotografia pure sulla “luce”, intesa nel suo spirito più completo e nelle sue performances più piene.
L’incontro con Laura Angiulli, poi, il suo amore da oltre trentadue anni, segna un altro traguardo importante, dal momento che ne ritrarrà più volte gli spettacoli, ed è l’unica per cui continua a farlo, poiché dal 1995 privato degli stimoli giusti, come egli stesso racconta, appende la macchina fotografica al chiodo, e si dedica al teatro solo come lighting designer.
Ed è proprio per Galleria Toledo, di cui la Angiulli è anima fondante, che si cimenta per la prima volta nel disegno luci per L’uomo, La Bestia, La Virtù.
L’esordio cinematografico, invece, è con un’altra signora regista, Antonietta de Lillo, per la quale firma la fotografia de “I racconti di Vittoria” del 1995.
Queste poche note che precedono le foto che lui stesso ha scelto per raccontarsi servono solo a consentire di soffermarsi sulla loro sostanza “fotografica”, prescindendo dalla biografia dell’autore per capire cosa raccontano in sé queste immagini…
Prima foto
Seconda foto
Terza foto
Quarta foto
Quinta foto
Sesta foto
Settima foto
Ottava foto
Nona foto
Decima foto
L’impresa di raccontarsi solo attraverso 10 scatti è stata ardua.
Cesare Accetta la ha affrontata con generosità.
A me il compito di provare a trasferirvi le emozioni che lui è riuscito a far emergere parlando di se stesso e del suo mondo, dei suoi lavori, dei suoi incontri, della sua vita.
Una conversazione che non avrei voluto finisse mai.
Una possibile scoperta della ricchezza del suo lavoro è stata sicuramente offerta a chi ha avuto la fortuna di ammirarne l’ultima installazione.
In una Mostra al Museo Madre del 2016, “In Luce”, su tre pareti hanno capeggiato i ritratti di uomini e donne, attori e registi, da Sonia Bergamasco a Silvia Calderoni, da Toni Servillo e Mario Martone a Mimmo Borrelli, da Angelo Curti e Enzo Moscato, ma pure amici che passavano allo studio a salutarlo e divenivano arte e parte di un’opera d’arte.
Tagli di luce che si accendono secondo un tempo studiato e provato come un racconto di apertura e chiusura di luci ed espressioni, che tanto è studiato nei tempi matematici delle accensioni e degli spegnimenti tanto è invece improvviso ed inaspettato nell’interpretazione che ciascun attore “professionista e non “si trova ad agire sul proprio volto”.
E poi in un continuum narrativo luce dal basso a normalizzare tutto di nuovo, come un passaggio dalla tenebra al mattino dopo, ma questa è solo una metafora della sottoscritta.
A Giuseppe Russo, corniciaio di Montesanto, recitano un ruolo importante pure gli occhiali che offrono a loro volta una specie di cambio espressivo nell’oscurarsi e nel riaccendersi, mentre per Sonia Bergamasco scendono lacrime silenziose e sorrisi aperti all’improvviso.
Sono filmati, sequenze di ritratti lunghi 5 minuti.
Quanto racconta Cesare Accetta con la luce… riesce a dire pure quello che non si può, o non si vorrebbe, riesce ad arrivare pure dove sembrava impossibile ci fosse qualcosa di più dell’ombra, del buio. Grazie.
Le foto nella gallery seguente sono di Francesco Morra
Autore Barbara Napolitano
Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.