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CD38, molecola di 900 milioni contro mieloma multiplo

prof. Fabio Malavasi


Presentata in anteprima all’IMW a New Delhi la storia italiana di ricerca e percorso che ha portato alla sua trasformazione in una cura fondamentale

Riceviamo e pubblichiamo.

È Fabio Malavasi, professore di Genetica Medica dell’Università di Torino, il “papà” di CD38, colui che dopo molti anni di ricerche ne ha determinato le caratteristiche più importanti. Dopo un periodo di formazione nelle università americane e al Basel Institute of Immunology, negli anni Ottanta è tornato in Italia, spiega

accettando la sfida, che allora sembrava possibile, di combattere ad armi pari con le Istituzioni di ricerca più titolate al mondo.

In Giappone e California, infatti, in quegli anni si studiava il ruolo di CD38 nella regolazione dell’insulina e del calcio, principale traduttore dei segnali all’interno delle cellule.
Anche da quelle segnalazioni è stato possibile negli anni evidenziare il ruolo della molecola come potente regolatore della risposta immune fino ad arrivare oggi a usarla come bersaglio tumorale.

Oggi il percorso clinico presentato oggi, è il completamento di un percorso disegnato oltre 100 anni fa, da Paul Ehrlrich che definì il concetto di “magic bullet”, proiettile magico, un anticorpo in grado di colpire selettivamente le cellule patologiche lasciando intoccate quelle normali. Questo disegno di esemplare semplicità ha tuttavia richiesto oltre un secolo per trovare i giusti strumenti operativi.

L’anticorpo è stato sviluppato solo quanto è giunta la scoperta dei monoclonali, anticorpi omogenei in quanto riconoscono un singolo punto, bersaglio o target, sulla molecola da legare. Questi agenti si prestano perfettamente a diventare farmaci. Il secondo punto della strategia di Ehrlrich è stato trovare il bersaglio contro cui agire. Tra i diversi bersagli è stata scelta la molecola CD38.

Racconta il prof. Malavasi:

Le sorprese che può riservare CD38 sono molte. Sappiamo che è una molecola con innumerevoli, inconsuete e in parte funzioni ancora da definire: è stato dimostrato essere simile per circa il 40 per cento ad una proteina isolata nel citoplasma di cellule del mollusco primitivo Aplysia californica. Una somiglianza sorprendente se consideriamo la distanza tra il mollusco e l’uomo.

È la dimostrazione non solo che CD38 affonda le sue origini in un passato antichissimo, di oltre 900 milioni di anni fa, ma anche che riveste un ruolo chiave per la vita.

Sono rientrato in Italia negli anni Ottanta e ho cominciato la ricerca su CD38 all’Università di Torino sfruttando anticorpi monoclonali, uno strumento solo allora disponibile.
In quegli anni i centri di tutto il mondo operavano con l’obiettivo di isolare le molecole presenti sulla superficie delle cellule del sangue: occorreva però una settimana per un processo che oggi invece richiede al massimo cinque minuti.

Lavoravamo con anticorpi che si agganciavano a più di una molecola e in questo modo eravamo in grado di individuare i cosiddetti “Cluster of Designation” o “Differentiation” o CD, ovvero classi di molecole simili.
La decima struttura a essere individuata sulla superficie dei linfociti T fu CD38 o T10: una glicoproteina codificata da un gene sul cromosoma 4.

Il passo successivo fu caratterizzare le sue caratteristiche funzionali, la struttura biochimica e la sua capacità di veicolare segnali di attività cellulare.

A questo punto i gruppi di ricerca americani hanno messo in atto una costosa strategia per concludere se e come la vita fosse possibile in assenza di questa molecola: l’approccio scelto fu quello di studiare topolini geneticamente modificati, nei quali era stato eliminato il gene CD38.

I topolini nascevano, si riproducevano, avevano cura della prole e apparentemente non presentavano malformazioni. Questa vecchia molecola era quindi diventata superflua per una vita normale? Se questo fosse stato vero, allora anche l’uomo avrebbe potuto vivere senza di essa e di conseguenza avremmo dovuto trovare nella popolazione normale degli individui CD38-negativi.

Una risposta a questo punto è venuta da un approccio diverso… e più economico, ma basato sull’uomo. Così abbiamo deciso di analizzare per una settimana tutti i bambini nati in numerosi centri italiani; nel mio centro di Torino arrivarono litri di sangue che ci permisero di studiare tutti i neonati e la risposta fu inaspettata: nessuno di loro risultò privo di CD38.

La conclusione fu chiara: CD38 non aveva perso il suo importante ruolo nel sistema umano e questo ci convinse a continuare ad investire sui modelli di malattia umana, e non animale, per arrivare a scoperte applicabili in fisiologia. I primi modelli riguardarono il diabete e poi la leucemia linfatica cronica.

Il passo successivo fu determinante. Scoprimmo un nuovo aspetto della molecola CD38: non solo è fondamentale dell’attivazione cellulare ma è anche una molecola di adesione. Consente alle cellule normali e patologiche di lasciare il circolo e migrare in ambienti protetti, come i linfonodi e il midollo. In altri termini, un “traghettatore”.

Queste caratteristiche rendono il CD38 un bersaglio ideale delle terapie anti tumorali.
Il mieloma multiplo ha portato notevoli informazioni sul suo funzionamento in quanto le plasmacellule mantengono un’alta espressione della molecola.

CD38 non ha ancora smesso di stupirci: un gruppo di studio internazionale coordinato da un importante neurologo giapponese, Haruhiro Higashida, ha dimostrato che i topolini privi del CD38 presentavano in realtà disturbi del comportamento con diagnosi fenotipica di deficit della memoria sociale a breve termine.

Psicologi, psichiatri ed endocrinologi hanno così osservato che modificazioni quantitative di CD38 o polimorfismi genetici siano correlate a quadri patologici nell’uomo, quali autismo e regolazione di alcuni tratti del comportamento umano. Questo apre ampi degli scenari per CD38, che in futuro potrebbe avere applicazioni anche in psicologia o psichiatria.

Sono stati quindi sviluppati anticorpi, totalmente umani, specifici per CD38, che sono diventati farmaci. Tra questi Daratumumab è il primo della classe, per tempo, esperienza clinica.
Quando Dara lega CD38 sul mieloma, innesca una serie di eventi che portano a morte la cellula tumorale e al tempo stesso induce un recupero funzionale del sistema immunitario del paziente contro il tumore.

La sua espressione elevata e uniforme nel mieloma multiplo, combinata con il suo ruolo chiave nella trasduzione di segnalicellulari, rende CD38 un bersaglio “intelligente” e appropriato per l’applicazione di anticorpi monoclonali terapeutici.

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