Il film documentario, realizzato dai registi Fulvio Iannucci e Roly Santos, da maggio è distribuito dalla piattaforma di streaming statunitense. Lo spin off, una miniserie di 4 puntate, già in fase di post produzione
Ci eravamo già occupati del docufilm prodotto da 39 Films con la coproduzione ufficiale di Romana Audiovisual e la collaborazione speciale di NFI e ZBABAM, proposto al pubblico internazionale in occasione della presentazione, avvenuta alla sedicesima edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival.
Nel frattempo, sono intervenute importanti novità. Prima su tutte l’approdo alla piattaforma di streaming Netflix, le cui scelte di distribuzione solitamente non vedono di buon occhio le produzioni italiane, che contano su una presenza davvero ridotta ai minimi termini. ‘Caffè sospeso’, infatti, è una delle pochissime opere italiane ad essere diffusa dal colosso statunitense. Abbiamo pensato, quindi, di intervistare il regista Fulvio Iannucci, partendo proprio dall’accordo con Netflix.
‘Caffè sospeso’ approda su Netflix, traguardo importante: come ci si è arrivati e cosa comporta in un percorso artistico?
L’acquisto da parte di Netflix, il colosso americano dello streaming che ad aprile ha raggiunto i 125 milioni di utenti abbonati in tutto il mondo, è dovuto all’eccellente lavoro di Film Factory, l’international seller del nostro documentario.
Personalmente, invece, sono infinitamente grato ad Alfredo Federico, produttore di “39 films”, che ha avuto l’idea iniziale del film, e ad Alessandro Di Nuzzo che è riuscito a trasformare un miscuglio di sensazioni, intuizioni ed entusiasmi in un luogo di narrazioni.
Due compagni di viaggio ideali con cui confrontarsi su dubbi e perplessità.Da un punto di vista artistico ‘Caffè sospeso’ è un po’ una sintesi del mio percorso registico nell’ambito del cinema documentario.
Negli ultimi dieci anni, infatti, mi sono occupato principalmente di due temi: la comunicazione turistica, numerosi documentari per i canali televisivi satellitari e terrestri, e il tema della diversità sociale e culturale, il docufilm ‘Francesco da Buenos Aires’, co-diretto con Miguel Arias e le serie a cartoni animati ‘Boys and Girls’, scritto con Roger Rueff e ‘In search of Sara J’.Queste varie esperienze di regia mi hanno permesso di apprezzare il racconto non solo del reale ma anche nel reale, aiutandomi a capire come sia possibile scoprire la dimensione intima e profondamente umana della realtà.
Come è nata l’idea di questo docufilm?
L’idea del film nasce da due esigenze: da una parte la necessità di trovare, in una storia allo stesso tempo realistica e metaforica, il modo per parlare del rapporto tra individuo e solidarietà in un mondo che tende sempre più a creare occasioni di egoismo e crisi di identità; dall’altra la voglia di raccontare un luogo importante e molto emblematico nell’Italia di oggi: Napoli, con il suo “salotto buono” e le periferie multietniche, una città che ha subito cambiamenti rapidissimi, trasformandosi in breve tempo da terra di emigrazione in terra di immigrazione.
Nei fatti, dopo aver letto un articolo sul caffè sospeso pubblicato sul “New York Times” qualche tempo fa, il produttore di “39 films” – Alfredo Federico – mi ha chiesto se a Napoli esisteva davvero questa pratica. Tagliai corto e gli risposi che, forse, era più che altro una leggenda, ma lui ha insistito così tanto che sono andato in giro per i bar di Napoli, storici e non, per capire se questa abitudine fosse ancora in uso.
Inoltre questa “passeggiata” nei bar è servita per chiarire a me stesso il motivo che mi avrebbe poi spinto a lavorare al film-documentario ‘Caffè sospeso’: una serie di sensazioni molto forti che un ricordo di quand’ero bambino mi ha suscitato. Ero in un tipico bar del centro città, sempre molto ben frequentato, in compagnia di mio padre. Un signore, forse un avvocato, dall’aria soddisfatta, come di chi ha appena concluso l’affare più importante della sua vita, chiede un caffè al banco, poi va alla cassa per pagarlo e la cassiera urla al barista: “Un caffè e due sospesi”. Nella mia fantasia di poco più che bambino immagino due tazzine sospese ad un filo oscillare pericolosamente nel bar e mi domando: “A che serviranno?”
Il barista, con un gessetto, segna su una piccola lavagna alle sue spalle i due “sospesi”.
Chiedo spiegazioni a mio padre che è accanto a me e lui, con la sua abilità di ex attore, incomincia a spiegarmi il significato del caffè sospeso.
All’improvviso il barista lo interrompe: “Eh, ma mica è solo questo il caffè sospeso… È molto, molto di più! Figuratevi che un giorno in questo bar è entrato…”
Ero completamente sopraffatto dalla meraviglia e dalla curiosità: c’era qualcosa di onirico in quella situazione. Il passato, la storia, gli aneddoti: tutto diventava spunto per raccontare qualcosa.E mi sono domandato: “C’è tutto questo dietro un semplice caffè?” Poter realizzare un film-documentario sul caffè sospeso è come aver avuto in regalo la possibilità di tornare bambino, in quel bar, a guardare il mondo “dei grandi” da sotto il piano del bancone.
Perché sono state scelte proprio le tre città di Napoli, New York e Buenos Aires?
La tradizione del caffè sospeso nasce a Napoli e consiste nel donare una tazzina di caffè a beneficio di uno sconosciuto, di una persona bisognosa. È da un po’ di tempo che si parla sempre più spesso di questa pratica. Nascono bar con questo nome, non solo in Italia. L’espressione ha varcato anche i confini, esportata a New York e a Buenos Aires, dove si diffonde il Suspended Coffee o il Café pendiente.
Al di là del gesto tradizionale, che oggi si rinnova in alcuni caffè di Napoli e del mondo, ci siamo chiesti “che cosa c’è di sospeso in un caffè?” Il caffè è più di un semplice pretesto per un momento di pausa e socializzazione: è un vero e proprio rito che abbina al piacere di bere una bevanda amata la possibilità di intensificare i rapporti umani, facendo circolare sensazioni, emozioni, idee.
Il caffè sospeso, dunque, è solo il punto di partenza di questo film. Per un viaggio attraverso tre storie, le storie di tre personaggi, tre persone reali che vivono in tre diversi luoghi nel mondo molto lontani fra loro, tre città in eterno movimento, come chi le abita: Napoli, New York e Buenos Aires, appunto. Una realtà che merita di essere vista, scoperta ed esplorata.
In che modo sono state trovate le storie e in base a che cosa sono state operate le scelte di quali lasciare solo accennate e quali approfondire?
Abbiamo lavorato un anno per cercare le storie giuste e le abbiamo trovate grazie ai professionisti che hanno lavorato al film: Mike De Caro a New York, Roly Santos a Buenos Aires e Paolo Barone a Napoli. Un lavoro di squadra che ha permesso di raccontare le storie di Elisabeth, Glodier e Giancarlo, i cui destini sono intrecciati con i destini delle persone che hanno incontrato nella loro vita: per Elisabeth, il padre; per Glodier, lo scrittore di gialli Martìn; per Giancarlo, il suo educatore Antonio.
Alla fine scopriamo che il caffè è, appunto, qualcosa di simbolico e concreto insieme.
Un abbraccio. Proprio quell’abbraccio che, nel deserto di valori che viviamo oggi, è molto difficile trovare. Anche a Napoli. E siccome sono napoletano, la cosa fa particolarmente male.
Un taglio molto cinematografico per essere un documentario, come mai?
Con ‘Caffè sospeso’ ho voluto rispettare modi e stili conosciuti nel cinema documentario ma al tempo stesso utilizzare la precisione e la sottigliezza del linguaggio cinematografico francese, che amo, per riuscire a raccontare le atmosfere e i luoghi di questo film-documentario.
L’alternarsi di campi larghi, a macchina fissa, per descrivere gli ambienti e il racconto spesso in soggettiva dei diversi protagonisti per sottolinearne lo stato d’animo mi è sembrato quasi obbligatorio, con tutto ciò che ne consegue: immagini di locali sfarzosi e riccamente decorati si affiancano ad altre ambigue, sfocate, sfuggenti e probabilmente allo stesso tempo violente come solo i sogni, i ricordi e i racconti improvvisi sanno essere.
Un montaggio parallelo ha intrecciato situazioni, personaggi e luoghi nelle tre diverse nazioni.
Il passaggio da un mondo a un altro è vissuto attraverso una frase, uno stato d’animo, una somiglianza visiva, un ambiente secondo un accordo o un contrasto emotivo.In questo modo di girare ho avuto un alleato fedele, il co-regista argentino Roly Santos.
Al montaggio, invece, mi sono affidato alla paziente intelligenza creativa di Paolo Barone che ha dovuto sopportare i miei continui, nevrotici, ripensamenti.
Il riferimento al calcio ed in particolare a Maradona potrebbe sembrare un po’ decontestualizzato; può essere visto come un ponte ideale tra Italia e Argentina o c’è dell’altro?
Quella scena è stata fortemente voluta dal produttore Alfredo Federico, argentino di nascita ma che ormai vive in Italia, ad Arezzo, da moltissimi anni. All’inizio ero contrario ad inserirla nel film ma, una volta montata, mi sono ricreduto perché ho ottenuto il contrasto che desideravo: associare il caos dei festeggiamenti per il restauro del murale di Maradona nei Quartieri Spagnoli alla tranquillità della casa di Elisabeth e alla pacatezza dei luoghi di lavoro di Glodier.
Certo Maradona è più che un semplice “ponte” tra l’Italia e l’Argentina e a Napoli rappresenta molto di più di un “abbraccio”.
Ma Napoli non è solo calcio, Napoli è anche “la città che non ha ancora debellato il morbo dell’anti Stato”, come ha recentemente ricordato Enrico Mentana, direttore del tg de La7. Quella scena per me dà il senso del degrado cui siamo costretti ad assistere quotidianamente e della abissale differenza che intercorre tra l’oleografica visione di Napoli e il bisogno dei napoletani di riempire il vuoto lasciato dalle istituzioni con quello in cui riescono a credere di più.
Senza svelare dettagli della trama o dare anticipazioni, qual è il personaggio che ti ha lasciato di più?
Ce ne sono diversi. Tra quelli inseriti nel film sicuramente Martìn che, con i suoi racconti e il suo senso dell’ironia, mi ha divertito, emozionato e commosso nei vari momenti della lavorazione. Tutti lo abbiamo sentito subito come “un amico”.
Tra quelli “tagliati” al montaggio ce ne sono due: Carlos, sempre a Buenos Aires, e Salvatore a Napoli.Carlos accetta volentieri il caffè che gli vogliamo offrire e ci invita al suo tavolo. Parla, parla, però non beve il caffè. Gli chiediamo il perché.
Perché Carlos è un uomo con il fiore dentro. Ha il cancro. Anche se lo bevesse non sentirebbe il sapore. Sta lì a rigirarsi la tazzina fra le mani e a immaginarsi il sapore del caffè. Dice che non può fare nulla contro il suo cancro perché è il destino. E il caffè di Carlos, quello che non beve perché non sente i sapori, è il pretesto per stare in quel posto, circondato dagli abbracci di una folla sconosciuta.
Ci ringrazia per aver raccontato la sua storia. In fondo è come un altro abbraccio, dice.A Napoli, Salvatore fa il parrucchiere e regala taglio e messa in piega alle signore che percepiscono la pensione minima.
Ai Quartieri Spagnoli non è affatto popolare fra i suoi concittadini.
Si chiedono perché lo fa. E se lo chiedono anche le clienti. Il giorno dell’offerta, Salvatore si aspettava una fila chilometrica davanti al suo negozio e invece sono state solo in tre a presentarsi. In molte hanno creduto che dietro la sua generosità ci fosse una truffa.
Il gesto di Salvatore può servire per cominciare a scuotere le coscienze.Nel film raccontiamo proprio questo smarrimento, lasciando una porta aperta alla speranza che un gesto possa avere un’eco molto più grande del gesto in sé.
Entrambi i personaggi, però, avranno la loro dovuta importanza in uno spin off di ‘Caffè sospeso’: 4 puntate da 45 minuti ciascuna dove racconteremo tante altre storie legate al caffè e alla solidarietà. Abbiamo montato la miniserie qui a Napoli ed ora è in fase di post produzione a Buenos Aires. Sarò felice di parlarne nuovamente con voi appena pronta.
Nella visione del docufilm abbiamo notato momenti che sono di poesia pura. In un prodotto che comunque è documentaristico, con tutti i vincoli di linguaggio che comporta, che funzione hanno?
Lo dirò con gli ultimi versi di una poesia di Frida Kahlo:
“Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie
che ti porti l’illusione,
il caffè
e la poesia”.Nel documentario raccontiamo una realtà fatta di gesti apparentemente piccoli e fragili ma capaci di trasformare la vita delle persone. Quando ciò accade è poesia. ‘Caffè sospeso’ è il nostro piccolo gesto.
‘Caffè sospeso’
Italy, Argentina, 2017, 19.9 Digital, Color, 66′
regia / directed by: Fulvio Iannucci, Roly Santos
produttore / producer: Alfredo Federico
produzione / production: 39Films, Romana Audiovisual, Nfi, Zbabam
sceneggiatura / screenplay: Alessandro Di Nuzzo
fotografia / photography: Enzo Pascolo
montaggio / editing: Paolo Barone
musica / music: Marcelo Davalos
suono /sound: Fabio Sorrentino
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.