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Birdman o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza



Michael Keaton da Batman a Birdman: metamorfosi eccezionale al servizio di un magistrale Inarritu

Alejandro Gonzalez Inarritu è uno dei registi meno convenzionali del Cinema contemporaneo e uno dei suoi più grandi pregi sta nel non dimenticare di mettere al servizio di una storia la sua cifra stilistica, la sua voglia di sperimentare e ricercare efficacia tecnica utile alla narrazione.

‘Birdman’, a tal proposito, è una magistrale dimostrazione di opera cinematografica girata in maniera eccezionale e originale per amplificare l’enfasi della storia di Riggan Thomson, un attore divenuto celebre a livello planetario interpretando il supereroe ‘birdman’ che, una volta svestiti tali panni, sente la carriera al capolinea e decide di rimettersi in gioco e provare a rinascere professionalmente allestendo a Broadway una commedia di Raymond Carver.

Il film è una lunga suite teatral-cinematografica in cui Inarritu “suona” con maestria gli attori-strumenti, trovando in Michael Keaton quello più pregevole e emozionante.

Negli spazi angusti delle quinte e dei camerini di un teatro, il regista mette in scena lunghi piani sequenza che non lasciano respirare gli interpreti, costretti a recitare intere sequenze senza mai fermarsi, incrociando entrate e uscite di scena con movimenti coreografici che, sul grande schermo, assumono una naturalezza tale da avvicinare alla perfezione il lavoro dell’intero cast.

Il protagonista, Riggan Thomson, è quasi sempre in scena accompagnato da un sottofondo emblematico di un assolo di batteria che scandisce i suoi pensieri, il martellamento della sua guerra interiore; e la presenza costante di questa colonna sonora diventa ancor più importante nei pochi momenti in cui viene a mancare perché il cambio di musica o la sua assenza sta a sottolineare la calma apparente che in quegli istanti stanno trovando i personaggi.

La batteria che si sente nel film è suonata in maniera sublime da Antonio Sanchez e Inarritu mostra di sfuggita un batterista che suona in alcune scene, che sia in strada o nei corridoi del teatro, per rendere ancor più ingombrante, per il protagonista, il suono dei suoi pensieri.

Le scelte surreali di Inarritu, quanto mai efficaci per la narrazione, hanno il loro apice nella voce che assilla Riggan Thomson, il suo alter ego Birdman che, arrivando a palesarsi fisicamente nella sua immaginazione, gli parla costantemente sbattendogli in faccia l’inutilità di quello che sta facendo in quel teatro ricordandogli, continuamente, la fama che aveva raggiunto grazie a lui e ai film girati come supereroe e che ancora potrebbe girare riconquistando popolarità e ricchezza.

Ognuno dei co-protagonisti porta Riggan a mettere in discussione se stesso, dall’attore teatrale egocentrico e supponente Mike Shiner, con cui si prende a cazzotti, all’amante-fidanzata Laura, che mantiene quasi come presenza rassicurante ma con cui, forse, non condivide altro che palcoscenico e fluidi corporei; dall’amico e produttore Jake, fonte di incoraggiamento costante, alla protagonista della sua commedia Lesley, in cui riesce a vedere l’entusiasmo sposato alle insicurezze di quello che sta facendo.

Ma i confronti più importanti per Riggan sono quelli con le donne della sua vita: la ex moglie Sylvia che lui, in fondo, ama ancora e che, nonostante la separazione, c’è sempre per dare una mano e cercare di tenere la situazione sotto controllo e la figlia Sam che, appena uscita da un centro di disintossicazione, è divenuta assistente personale del padre che, in questo modo, vuole aiutarla a tornare alla normalità, ma trova in lei una coscienza critica su ciò che è stato e su ciò che non sta riuscendo a diventare.

L’impressionante cast da applausi annovera nomi come Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Amy Ryan, Andrea Riseborough; tutti fondamentali all’interpretazione straordinaria di Michael Keaton, la cui capacità di trasformazione emotiva risulta incredibile.

L’entusiasmo, il dubbio, il rimpianto, l’ambizione, la rabbia, la gentilezza, la speranza e la paura sono tutte emozioni chiaramente riconoscibili in Riggan Thomson anche a distanza di pochi secondi l’una dall’altra e nell’arco della stessa scena in molti casi.

Keaton mostra in ‘Birdman’ sicuramente la sua migliore prova recitativa e scelta più azzeccata non poteva fare Inarritu per il protagonista vista la storia personale dell’attore che, tra fine anni ’80 e inizio ’90, ha vestito i panni di ‘Batman’ nei film di Tim Burton raggiungendo successo e popolarità a livello mondiale per poi impantanarsi in pellicole insignificanti, in comparsate o in tentativi di rinascita come con ‘Jackie Brown’ di Tarantino… in pratica il film pare scritto da Inarritu pensando a lui.

‘Birdman’ è un dramedy, commedia drammatica, o una black comedy, commedia nera, ma a volte la cosa migliore è mettere da parte inutili etichette per ampliare lo sguardo su una data opera che, come in questo caso, riesce ad essere divertente e commovente, tragicomica e dissacrante, veritiera e surreale, una critica al mondo dorato di Hollywood e, in parte, anche a quello elitario del teatro, alla ricerca di popolarità a tutti i costi e alla necessità di mostrarsi e di farsi notare nella società contemporanea condizionata dai nuovi media e dai social network.

Tutto questo con una sceneggiatura impeccabile, senza sbavature o forzature e al servizio di una messa in scena di altissimo livello tecnico, di sicuro poco conforme ai gusti del pubblico convenzionale, con la regia di Inarritu e la fotografia di Emmanel Lubezki a sperimentare con un film alla stregua di un lungo piano sequenza che obbliga lo spettatore a condividere spazio, tempi ed emozioni con i protagonisti.

Il sottotitolo o titolo esplicativo di ‘Birdman’ è ‘l’imprevedibile virtù dell’ignoranza‘, frase simbolica che arriva nella pellicola nel tragicomico finale, dai risvolti onirico-surreali, sotto forma di titolo di un articolo di giornale.

Il film ha vinto quattro premi Oscar, film, regia, sceneggiatura originale, fotografia, a fronte di nove candidature ed è superfluo dire che li avrebbe meritati tutti… sopratutto quello come migliore attore protagonista a Michael Keaton.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.

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