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‘Big Fish’ – Tim Burton e ‘le storie di una vita incredibile’

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Ci sono vite che raccontate assumono un fascino mai percepito da chi le aveva vissute, spesso perché superano o ricamano gli avvenimenti realmente accaduti, ma sono queste storie incredibili che sopravvivono alla morte di chi le ha raccontate rendendolo immortale… come in ‘Big Fish’ di Tim Burton.

Così ha vissuto Edward Bloom, Albert Finney, raccontando la sua vita riempiendola di storie fantastiche facendo brillare gli occhi di chi lo ascoltava senza mai dare all’interlocutore neanche il minimo dubbio sulla veridicità dei suoi racconti.

Tranne che al figlio William, Billy Crudrup, ferito dal protagonismo del padre che pensa di non aver mai veramente conosciuto per quello che è; lui non crede quasi a nulla di ciò che gli è stato detto e questa continua ricerca di storie da declamare da parte del genitore lo stressa a tal punto da costringerlo ad allontanarsi dall’America trasferendosi a Parigi con la sua moglie francese.

Poi Edward si ammala ed in poco tempo si aggrava tanto da non lasciare più spazio all’orgoglio del figlio che torna immediatamente nella casa in cui è cresciuto, stavolta deciso a scoprire la vera storia di Edward Bloom.

Convinto dalla madre, Jessica Lange, a parlare con il genitore malato, dopo non avergli rivolto la parola per circa tre anni, William inizia a fargli domande sul suo passato lamentandosi del fatto di non aver mai avuto la possibilità di ascoltare una storia vera dalla sua voce: risultato di questo sfogo è il ritorno a quei magnifici racconti.

La nascita di Ed, che schizza via dal ventre della madre, le peripezie che da bambino lo hanno portato a conoscere il modo in cui sarebbe morto vedendolo nell’occhio di vetro di una strega, Helena Bonham Carter, il mito che riesce a divenire in adolescenza nel suo paese attraverso imprese eroiche e sportive, la consapevolezza da diciottenne, Ewan Mc Gregor, di aver bisogno di un mare più ampio per diventare un “pesce grosso” non accontentandosi dello stagno in cui ha vissuto fino ad allora.

E così cominciano mille avventure che lo portano ad incontrare giganti buoni, ad attraversare villaggi incantati in cui tutti vivono felicemente a piedi scalzi, a ritrovarsi a rapinare una banca con un poeta strampalato, Steve Buscemi, a lavorare in un circo gestito da un personaggio piuttosto strano, Danny De Vito, che lo paga dandogli ogni mese una notizia sulla ragazza di cui Bloom si è innamorato.

Quindi si assiste allo straordinario corteggiamento messo in atto dal ragazzo tra dichiarazioni d’amore scritte tra le nuvole e campi fioriti in una notte che non lasciano scampo alla donna che diverrà della sua vita.

Cosa mai sarà accaduto realmente di tutto questo? William ripercorre le memorie del padre ormai morente accorgendosi che forse nulla è più reale di ciò che si vuole credere.

‘Big fish’ è una vera e propria favola che lascia una bella sensazione all’uscita dal cinema: ci si diverte, si riflette sulla vita e sulla morte, si resta a bocca aperta davanti alle scenografie create per le storie raccontate da Edward Bloom e, soprattutto, si va via con la tranquillità che la fantasia cinematografica non abbia lasciato l’esclusiva ai kolossal stile ‘Il Signore degli anelli’, ma alimenti la genialità di registi visionari come Tim Burton per dare vita a piccoli grandi film come questo.

Non è nuovo il regista alla trasposizione cinematografica di favole; il suo cinema è tutto permeato da illusioni sempre con tematica differente.

Si va dal cartoon horrorFrankenweenie, il corto del 1984 diventato film nel 2012, al racconto poetico di ‘Edward mani di forbice’, 1990, dal tributo-omaggio romanzato di ‘Ed Wood’, 1994, alla favola gotica de ‘Il mistero di Sleepy Hollow’, 1999, per non parlare di ‘La Sposa Cadavere’, 2005, ‘Sweeney Todd’, 2007, ‘La Fabbrica di cioccolato’, 2005, e ‘Alice in Wonderland’, 2010.

‘Big fish’ è uno dei film meglio riusciti di Burton, una piccola meraviglia che conta poche note stonate forse più per l’eccesso mostrato nel raccontare i particolari che non per un manierismo già imputato al regista per le pellicole precedenti.

Qui ci si trova dinanzi anche a due lodevoli interpretazioni che condizionano non poco il giudizio generale: Albert Finney è uno spasso nella parte del vecchio e moribondo Edward Bloom mai domo e tantomeno stanco di raccontare le sue storie; storie di cui è protagonista Ewan Mc Gregor nella parte del giovane Ed, orgoglioso e stralunato, sognatore innamorato.

I due attori britannici nel film sono accompagnati da caratteristi inimitabili del cinema americano come De Vito e Buscemi, dalla dark lady Helena Bonham Carter, moglie, tra l’altro, di Tim Burton, e dalla sempre più sensuale Jessica Lange.

Il film ha un finale felliniano tanto allegro quanto malinconico che non lascia dubbi sul fatto che non esiste realtà migliore di quella in cui ci si illude di essere vissuti.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.