Cerchiamo di essere precisi perché, diversamente, corriamo il rischio di cadere in fraintendimenti che possono generare difficoltà di comprensione del mondo digitale in cui, volenti o nolenti, oggi viviamo.
Quelli di Big Data e dati personali sono due concetti distinti ma spesso correlati quando si parla di gestione e analisi delle informazioni digitali.
La definizione di Big Data è un termine che si riferisce a grandi volumi di dati, sia strutturati che non strutturati, che vengono generati ad alta velocità da varie fonti digitali.
Questi dati possono essere analizzati per estrarre informazioni, identificare modelli ed ottenere nuove intuizioni che possono essere utilizzate per prendere decisioni informate.
L’analisi dei Big Data può coinvolgere diverse tecnologie e metodologie, tra cui l’analisi statistica, l’apprendimento automatico e l’Intelligenza artificiale.
Intuitivo come, alla base, debba esservi una tecnologia predisposta a riceverli, trattarli, conservarli nella maniera più idonea per il loro riutilizzo.
I dati personali sono, di base, quelli che identificano o possono essere utilizzati per identificare una persona specifica. Questi possono includere informazioni come il nome, l’indirizzo, il numero di telefono, l’indirizzo e-mail, ma anche dati sensibili come la storia clinica, le preferenze politiche, le convinzioni religiose e altro ancora.
Sono Dati personali anche quelli che identificano indirettamente una persona come quelli sulle preferenze di un cibo o del tifo calcistico, il gusto musicale o l’abbigliamento e tutti quei comportamenti che concorrono a definire una personalità.
La gestione dei dati personali è regolamentata da leggi sulla privacy e sulla protezione dei dati in molte giurisdizioni per garantire che le informazioni personali siano trattate in modo sicuro e responsabile. In Europa abbiamo il regolamento 679/2016, il cosiddetto GDPR.
Sebbene i Big Data possano includere dati personali, non tutti i dati all’interno di un set di Big Data sono personali.
Ad esempio, i dati raccolti da sensori IoT, Internet of Things, che monitorano le condizioni ambientali in una città non sono necessariamente dati personali, ma fanno comunque parte dei Big Data.
Ne saranno raccolti sempre più andando nella direzione delle smart city che saranno disciplinate dall’Intelligenza artificiale ma, nel piccolo, già esiste questo sistema nelle case in cui si usano gli assistenti digitali quali Siri o Alexa.
Tuttavia, quando i dati includono informazioni personali, è importante trattarli in conformità alle leggi sulla privacy e sulla protezione dei dati per garantire che i diritti e le libertà delle persone coinvolte siano rispettati.
Ma prima di tutto deve essere nei singoli la consapevolezza che proteggendo i propri dati personali, ergo difendendo la privacy, possiamo tutelarci dall’abuso di Big Data.
Anzitutto ricordiamoci che le grandi aziende e le organizzazioni devono ottenere il consenso informato degli utenti prima di raccogliere e utilizzare i loro dati personali.
Gli utenti dovrebbero essere pienamente informati su come verranno utilizzati i loro dati e dovrebbero avere il diritto di revocare il consenso in qualsiasi momento.
In teoria possono; ma quanti di noi leggono attentamente le condizioni di navigazione di un sito e i termini della privacy prima di fare quel click che mette tutta la loro esistenza nelle mani di chi potrà dopo controllarla?
E quali di queste aziende e organizzazioni realmente raccolgono solo i dati personali necessari per scopi specifici e limitano la quantità di dati raccolti al minimo indispensabile, come imporrebbero le normative vigenti?
Iniziamo noi, intanto, a fare qualche click in meno quando appare sullo screen la richiesta di prestare un consenso. O, perlomeno, leggiamo bene che fine faranno i nostri dati.
Autore Gianni Dell'Aiuto
Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.