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BES, DSA e didattica del greco e del latino



La presenza sempre maggiore nei licei di studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) o con bisogni educativi speciali (BES) impone agli insegnanti una profonda riflessione sulle modalità con le quali operare scelte didattiche che tengano conto delle esigenze di tali studenti.

Considerando che lo studio delle lingue classiche notoriamente è considerato arduo, l’insegnamento di testi in greco e in latino in tali contesti diventa una vera e propria sfida intellettuale particolarmente difficile ed avvincente.

Bisogna purtroppo constatare che le istituzioni hanno ufficialmente preso atto del problema solo nel 2010 con la Legge 170/2010, che sancisce i diritti degli studenti con DSA e ne riconosce le difficoltà definendone i bisogni formativi, per i quali viene definito un Piano didattico personalizzato (PDP) con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative.

Come strutturare allora le conoscenze disciplinari affinché possano essere efficacemente apprese dai discenti con disturbi specifici dell’apprendimento? Il docente, nel processo di traduzione del “sapere sapiente” in “sapere saputo e insegnato”, si ritrova, ancor più in questi casi, ad affrontare il problema delle modalità in cui plasmare e selezionare i saperi disciplinari. In questo processo di mediazione in cui resta sempre focale l’esigenza di calibrare i contenuti disciplinari sulle strutture e sugli stili cognitivi dei discenti, assume particolare importanza anche la vigilanza epistemologica: è fondamentale, infatti, che la trasposizione dei contenuti si confaccia al sapere disciplinare. Nelle pratiche educative di trasposizione didattica in classi in cui sono presenti studenti con DSA l’identificazione degli aspetti qualificanti e le idee fondanti della disciplina che costituiscono  il congegno disciplinare da parte del docente assume un ruolo chiave. Quali contenuti, in altre parole, si devono privilegiare e a quali si può rinunciare quando un docente deve trasmettere i saperi della sua disciplina a un discente con DSA?

Il punto di partenza della questione potrebbe essere l’analisi del contesto scolastico. Se l’obiettivo che noi docenti ci proponiamo è quello di includere lo studente con DSA nella classe, bisogna innanzitutto chiedersi quali siano le cause che determinano l’esclusione, in modo da poter intervenire su queste. La vera grande scommessa, quindi, diventa mettere in campo azioni educative che, rimuovendo queste cause di esclusione e includendo, in tal modo, la persona con DSA, riescano a portare benefici a tutti gli studenti. Gli ostacoli concreti che rendono spesso molto ardua l’inclusione sono ovviamente molteplici e sono relativi non solo alle difficoltà e ai disturbi della persona con DSA, ma all’intero contesto in cui la persona con disturbo specifico è inserita. Venendo ad un esempio concreto, si potrebbe pensare alle difficoltà di lettura di testi in greco riscontrate da soggetti con dislessia, disturbo specifico dell’apprendimento che investe l’abilità di lettura intesa come decodifica. Si può ritenere che i soggetti dislessici, in cui si riscontrano livelli di correttezza e rapidità di lettura significativamente minori rispetto a quanto ci si aspetterebbe in base all’età e alla classe frequentata, possano essere inclusi in un contesto scolastico? Nodo focale della questione è la ristrutturazione di pratiche educative che possano non semplicemente includere la persona con DSA, ma creare addirittura un contesto più inclusivo per tutti.

Carmelo Cutolo

Autore Carmelo Cutolo

Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.

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