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Benino: il sonno del giusto

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Benino - foto Rosy Guastafierro


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Ecco l’alba che spunta, ecco del Sole i primi rai splendenti, che indorando le cime agli alti monti e rendendo di gioie il mondo adorno.
Nunzi a noi del già risorto giorno, anzi, ecco il Sole istesso. Benché tra nubi ascoso, con volto luminoso, che l’ombra fuga e dissipa le nebbie, ad onta di stagion rigida e fiera, per darci un chiaro e lucido mattino: E tu dormi, Benino.

Così inizia ‘Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato’ soprannominato ‘La Cantata dei Pastori’, commissionato dai Padri Gesuiti ad Andrea Perrucci, nato a Palermo nel 1651 e morto a Napoli nel 1704, pubblicato nel 1698 con lo pseudonimo di Casimiro Ugone, affinché i napoletani fossero distolti dagli spettacoli a dir poco blasfemi che venivano rappresentati,

Narra il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme e la lotta tra il bene e il male, demoni che cercano di ostacolare la venuta al mondo del Bambino ed Angeli che riescono a sventare gli innumerevoli tentativi, tra i vari personaggi viene menzionato, sembrerebbe per la prima volta, Benino, che diviene il protagonista del Presepe napoletano del ‘700.

Questo pastorello dorme disteso lontano dalla Grotta della Natività, il suo giaciglio di erba è posizionato all’ombra di un albero, mentre la testa è poggiata su un duro sasso, intorno a lui un gregge di pecorelle bianche.

Presepe - foto Rosy Guastafierro
Presepe – foto Rosy Guastafierro

Il suo nome originale durante il ventennio fascista fu trasformato in Benito per quella satira un po’pungente che ha sempre caratterizzato il popolo napoletano e la contemporanea mania di riportare la cruda realtà vissuta all’interno della rappresentazione della natività.

Allo sguardo dell’attento osservatore non può sfuggire che tra le varie scene bucoliche l’unico pecoraio non affaccendato nelle incombenze giornaliere è lui, che sonnecchia soavemente; è il principio della rappresentazione perché, come citato nelle Sacre Scritture, è ai pastori dormienti che gli Angeli hanno annunciato l’Avvento.

Nelle varie epoche, malgrado le diverse correnti di pensiero, il sonno o il sogno hanno introdotto importanti temi perché il suo non è il semplice ozio di un giovane disinteressato all’evento epocale, ma un momento di stasi della quotidiana frenesia che consente l’avvicinarsi dell’inconscio alla natura e alle sue suggestioni che daranno vita alla magia del Presepe.

Tra le braccia di Morfeo lui sogna, può sembrare qualcosa di semplice, ma, come sempre, le cose che appaiono più banali sono invece dense di significato, una mescolanza di simboli e archetipi che conducono attraverso un percorso nella quotidianità che, seppure inconsapevolmente, ci fanno rivivere antiche storie che sicuramente hanno fatto parte di un passato ancora vivo.

La leggenda narra che tutta la costruzione del Presepe appartiene al suo sogno, è determinante che nessuno riesca a svegliarlo completamente perché, diversamente, tutto l’impianto si sgretolerebbe senza lasciare nulla, come un pugno di sabbia nel deserto.

La sua vicinanza alla natura come buttero ci fa affiorare alla mente che nella Grecia antica il Dio dei pastori era Pan: anche lui sognava di ripristinare un nuovo ordine dopo il caos.

Questo giovane stanco che dorme non tramanda indolenza, vuole piuttosto esprimere una condizione dello spirito di grande sensibilità e di propensione verso una realtà di attesa per un risveglio interiore, una rinascita che coincide con due eventi quali la venuta al mondo del Cristo e il sopravvento della luce sull’oscurità.

Gli fa da contraltare il pastore della meraviglia che diversamente ritroviamo proprio accanto alla grotta, lo si riconosce immediatamente a causa della sua postura, ovvero le braccia protese verso il cielo come il suo sguardo che trasmette tutto il suo stupore per l’avvento.

Forse il racconto di questa rappresentazione partendo, appunto, dal pastore che dorme, attraversa tutti gli stadi dello scibile umano, come ci ricordano gli altri mandriani che si incontrano, si trasforma affrontando l’eterna lotta tra il bene e il male, per cercare di raggiungere la conoscenza.

‘La Cantata dei Pastori’, rivalutata e alleggerita nel secolo scorso ad opera del Maestro Roberto De Simone riuscendole a dare una dimensione comica senza snaturare il messaggio iniziale, fa parte di quel corpus culturale che porta la napoletanità ad essere tra i protagonisti della cultura italiana.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.