La Belladonna è una pianta erbacea perenne, cespugliosa, alta fino a 2 metri, vischiosa. Le foglie sono decorrenti, ovvero pagine fogliari che si sviluppano a ridosso dello stelo, ovate, alterne; le superiori sono più piccole di quelle sottostanti.
I fiori sono piccoli, solitari o a coppie all’ascella delle foglie dalla biforcazione dei rami, di colore violetto-marrone o violetto-verde. I frutti sono bacche lucide, nere, sferiche, con dimensioni e aspetto di una ciliegia o un grosso mirtillo.
Originaria dell’Europa e dell’Asia medio occidentale, è stata introdotta nelle regioni temperate-calde di altri continenti, perché coltivata per le sue virtù medicinali.
La Belladonna contiene atropina, scopolamina, iosciamina. L’atropina viene usata in oculistica, la scopolamina come sedativo e antinevralgico, la iosciamina come antidoto nel caso di avvelenamento da funghi come l’Amanita muscaria e l’Amanita phalloides.
La Belladonna è una pianta velenosa. L’ingestione di poche bacche può essere fatale, morte per paralisi respiratoria.
Il nome indica l’antica consuetudine femminile di instillare il succo della pianta negli occhi per acquisire uno “sguardo sognante”, molto apprezzato nel Rinascimento. Secondo la tradizione è una delle erbe che, insieme allo stramonio, al giusquiamo e alla mandragora veniva usata dalle streghe nella preparazione di unguenti che permettevano loro, i voli notturni.
Autore Antonio Ceglie
Antonio Ceglie, curioso appassionato di erbe e piante spontanee, quelle che la gente di solito e sbrigativamente, chiama "erbacce". Curatore per ExPartibus di una rubrica, non specialistica, relativa a questi "compagni di vita", le piante appunto, con cui conviviamo da migliaia di anni, senza, per questo, conoscerle veramente. Anche se non mi illudo di essere un divulgatore brillante, cercherò piuttosto, me lo auguro, di solleticare la curiosità del potenziale lettore interessato, offrendogli qualche spunto di carattere storico, culinario, o sanitario relativo alle piante stesse.