L’inchiesta della Magistratura di Potenza
L’inchiesta partita dalla Magistratura di Potenza è stata un vero e proprio fulmine a ciel sereno, una bomba che ha fatto e continua a far tremare palazzi della politica e non solo. Vede coinvolte più di 22 persone, tra cui dirigenti della Total, multinazionale che in Basilicata possiede molte concessioni petrolifere, dell’Eni, l’oramai ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, fino ad arrivare al compagno dell’ex Ministro allo sviluppo economico Federica Guidi che dopo il coinvolgimento nelle indagini ha rassegnato le sue dimissioni. Tutto questo ruota intorno a quello che da molti è visto come un volano di sviluppo e ricchezza: il petrolio.
I fronti dell’indagine sono due: da un lato, questa riguarda l’apertura del centro oli “Tempa Rossa” di proprietà della Total, che si trova nella zona del comune lucano di Corleto Perticara, nella quale sono stati registrati episodi di presunta corruzione che hanno coinvolto imprenditori ed amministratori locali. Tra questi spicca il nome di Gianluca Gemelli, compagno dell’ex ministro Guidi; in base ad un’intercettazione nelle mani degli inquirenti potentini la Guidi avrebbe fatto una telefonata al compagno rassicurandolo del fatto che “quell’emendamento domani passerà”. Il riferimento è ad un emendamento della legge di stabilità, il quale dava la possibilità di estendere la semplificazione dell’autorizzazione unica anche alle opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento di idrocarburi in raffineria, che poco tempo prima era stato bocciato e poi d’un tratto, durante la notte, è stato reinserito nella legge. L’accusa per Gemelli è quella di avere usato la sua relazione sentimentale per farsi promettere e poi ottenere da Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total che avrebbe certamente tratto beneficio da questo emendamento perché avrebbe sbloccato i lavori per avviare Tempa Rossa e rendere operativo il ciclo produttivo, vantaggi patrimoniali.
L’altro filone riguarda invece le emissioni in atmosfera di sostanze nocive e lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle perforazioni e dall’estrazione di petrolio nel Centro Oli di Viggiano (PZ) che hanno causato gravi danni ambientali causati dal management dell’Eni. Era sufficiente cambiare i codici dei rifiuti per trasformali da pericolosi ad innocui in modo da poter essere smaltiti nei pozzi e nelle terre agricole della Val D’Agri al costo di 33 euro a tonnellata anziché 90 o 160. Questo ha permesso all’azienda con il cane a sei zampe di risparmiare fino a 100 milioni sui costi di smaltimento. Il cambio di codici era operato dai manager dell’Eni di Viggiano con la complicità delle ditte incaricate dello smaltimento, le quale avrebbero reiniettato circa 854 mila tonnellate di liquidi inquinanti. Secondo gli investigatori i dirigenti dell’Eni erano ” consapevoli” del numero degli sforamenti e del superamento delle emissioni di agenti inquinanti nell’aria rispetto ai limiti imposti dalla legge, ma risultava tutto in regola visto che agli enti preposti al controllo, ed in parte con la loro complicità, venivano inviati dati falsati in modo da evitare allarmismi ed eventuali controlli che avrebbero portato ad una interruzione dell’estrazione di petrolio.
Ma per i lucani tutto questo non è una novità, solo la conferma di cose che oramai si sapevano da anni grazie ad eventi ed a quell’unica voce fuori dal coro, che hanno dato la possibilità a questa gente di saperne di più sul petrolio pre
Le analisi fanno quindi presumere che le caratteristiche fisico-chimiche di queste acque derivino dal petrolio e siano dovute in particolare alle acque di scarto fuoriuscite dal pozzo Costa Molina 2 durante la loro reiniezione nel sottosuolo. A dispetto di quanti vedono nel petrolio un volano di sviluppo e ricchezza, i lucani sanno bene quale sia, invece, la verità.
Autore Monica De Lucia
Monica De Lucia, giornalista pubblicista, laureata in Scienze filosofiche presso l'Università "Federico II" di Napoli.