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Artemisia: la Donna dell’Arte

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Giuditta decapita Oloferne - Artemisia Gentileschi


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Un’Artista che non ha pari

Nel precedente articoloLa Donna nell’Arte, la Donna dell’Arte ci siamo soffermati sulla prima accezione, ora approfondiamo la seconda.

La Donna dell’Arte è colei, diciamo subito, che riesce a riassumere in sé il ruolo primario completo, non solo come oggetto di una narrazione o di una rappresentazione visiva o come soggetto di uno spazio ampiamente definito da un’esposizione concettuale, ma anche come Artefice, “fautrice” del linguaggio visivo, del codice etico ed estetico ad un tempo, messo in opera per propria mano.

Ho scelto per rappresentare tale figura Artemisia Gentileschi. È la Donna dell’Arte, l’esempio che immediatamente balza alla mente nel momento in cui cerchiamo nella Storia una figura degna di un tale ruolo.

Certo, nella Storia dell’Arte di tutti i tempi, ve ne sono tante altre degne di essere ricordate e messe in risalto, ma in ben altri ambiti storici e non con la stessa importanza, non con un “tetto” della Gloria così alto e titanico. Perché dotata, in maniera naturale, di una maestria tecnica alla “pari”, in un’epoca di grandi ed incomparabili geni e ciò la rende ancora più grande.

Artemisia non si è cimentata e confrontata con la mediocrità, ella si è confrontata con la grandezza.

Per agevolare il discorso, ho cercato, tra le tante biografie, quella più breve e sintetica, perché la sua esistenza è stata densa di avvenimenti artistici e dolorosamente umani, ed esaminare la sua storia dando luce a tutti i suoi particolari, ci potrebbe impegnare per un tempo infinito.

Vita di Artemisia in 10 punti:

1) Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653) una delle più importanti pittrici italiane. Considerata artista di scuola caravaggesca per i suoi “modi” che riprendono lo stile del grande Michelangelo Merisi.

2) Fin dalla più tenera età viene educata all’Arte dal padre, il pittore toscano Orazio Gentileschi, che le insegna a disegnare, a impastare i colori, a dare lucentezza ai dipinti. All’epoca, infatti, le donne non potevano frequentare alcuna scuola o bottega d’Arte.

3) Artemisia vive la sua giovinezza in un ambiente ricco di stimoli artistici come quello della Roma del XVII secolo, resa grande dall’Arte barocca. Il padre, inoltre, pare fosse amico di Caravaggio che, stando alle cronache, spesso si recava alla bottega di Orazio per prendere in prestito strumenti di lavoro e ponteggi. Non è escluso, quindi che, Artemisia conoscesse di persona il grande artista.

4) Benché giovanissima e in un settore dominato dagli uomini, Artemisia riesce a rivelarsi sulla scena artistica con le sue opere, la prima fra tutte ‘Susanna e i vecchioni’, dipinto nel 1610. La sua vita cambia però, bruscamente, a 17 anni.

5) Nel 1611, infatti, subisce uno stupro da parte del pittore Agostino Tassi, amico e collega del padre. La ragazza non denuncia subito il suo aggressore, che le promette di mettere a tacere il delitto con un matrimonio riparatore, uno dei modi con cui, all’epoca, era possibile restituire dignità ad una donna violata.

6) Agostino Tassi non rispetta l’impegno – pare fosse già sposato – così Artemisia decide di andare incontro ad un lungo ed umiliante processo pur di vedere riconosciuti i propri diritti. Nel corso del dibattito, la difesa tenterà, in tutti i modi, di screditare la ragazza, che sarà costretta a sottoporre la sua testimonianza alla dolorosa e pericolosa prova dello schiacciamento dei pollici. È a questo periodo che risale una delle sue opere più note: ‘Giuditta che decapita Oloferne’ (1612 – 1613).

7) Al termine del dibattito in aula verrà riconosciuta la colpevolezza del Tassi, reo anche di aver corrotto i testimoni, che sceglierà l’esilio da Roma per non affrontare la pena dei lavori forzati. Anche Artemisia, tuttavia, dovrà lasciare la città a causa della vasta eco che aveva riscosso quel pruriginoso processo presso l’opinione pubblica.

8) Artemisia continua a coltivare la propria passione per l’Arte. Nel 1614 l’Artista si trasferisce a Firenze dove viene accolta presso l’Accademia delle Arti del Disegno, prima donna a ricevere questo privilegio. Negli anni fiorentini realizza alcuni dei suoi più celebri dipinti che hanno come tema essenzialmente donne coraggiose, determinate al sacrificio, come le eroine bibliche. A questo periodo risalgono quadri come ‘Conversione della Maddalena’ (1615 – 1616) e ‘Giuditta con la sua ancella’ (1625 – 1627).

9) Nel 1621 è ancora a Roma, per poi spostarsi a Venezia e a Napoli, città dove si trasferirà definitivamente, fatta eccezione per una breve parentesi a Londra nel 1638. In quell’anno, infatti, decide di raggiungere il padre presso la corte di Carlo I nella città inglese. Dopo lunghi anni, quindi, Artemisia e suo padre sono nuovamente insieme per lavorare, spalla a spalla, ad un nuovo progetto. Durerà poco, lui morirà improvvisamente un anno dopo.

10) Artemisia muore nel 1653 lasciando in eredità i suoi quadri, ma soprattutto la consapevolezza che non si può rinchiudere il talento in recinti sociali o di genere, che servono solo a reprimere la capacità di esprimere se stessi. A lei sono dedicati film, come ‘Artemisia, passione estrema’, di Agnès Merlet, 1997, e libri come ‘Il romanzo di Artemisia’, di Alexandra Lapierre, 2000.

Di lei disse Orazio Gentileschi:

È diventata così brava che posso azzardarmi a dire che non ha pari.

Se si guarda oggi alla sua vicenda umana ed artistica, non si può fare altro che confermare il giudizio di Orazio, assolvendolo da un’eventuale forma di benevolenza nel giudizio in particolare, in quanto pittore e padre della stessa. L’altissima qualità artistica delle opere pittoriche arrivate fino a noi lo conferma.

Ma… per essere ancora più giusti, noi moderni “esegeti” del discorso narrativo riferito ai Testi Sacri, e quindi iconografico, perché tradotto in immagini pittoriche, valutando la Storia nella complessità dei tempi in cui si è svolta, potremmo aggiungere ancora qualcosa a quella scarna valutazione critica… forse, riguarda il senso di libertà nella scelta culturale dei soggetti rappresentati che è… come “piantare” a terra i piedi da parte sua, un’affermazione della propria dignità, in quanto donna, cioè il voler dimostrare al mondo, alla società, in maniera palese, di essere pari all’uomo nell’espressione del Talento ed anche dell’autonomia esistenziale, dal punto di vista sia materiale che spirituale.

C’è una sproporzione evidente nelle scuole di tipo italiano del ‘500 e ‘600 nell’attenzione della pittura ai passi biblici tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento per un’influenza della committenza prettamente cristiana e cattolica, quindi anche “istituzionale” per la religione imperante a prediligere i passi del Nuovo Testamento; lo stesso Caravaggio, figura leader in quel periodo, ha questo tipo di orientamento per la Vita e la Passione di Cristo o verso le figure a Lui collegate.

La scelta o le richieste delle committenze per i passi del Vecchio Testamento, invece, è tipica delle scuole olandesi, Paesi Bassi in generale, e di quelle sparse per l’Europa, in cui era più frequente una “sponsorizzazione” da parte di una ricca borghesia, piuttosto che prelati o istituzioni ecclesiastiche; un ceto più laico, quindi, affrancato dall’influenza papale e costituito da mercanti ed imprenditori, ambiente nel quale non erano estranei notabili legati, per origine o per interessi, al mondo ebraico.

Ciò che avvicina la figura di Artemisia al percorso iconologico con precisi riferimenti iniziatici e formativi al contesto rappresentato dalle iniziazioni femminili è proprio lo scegliere, da parte sua, tale indirizzo, al di là della mera accettazione delle committenze e che rivela, comunque, una sua predilezione per quelle storie nelle quali vengono messe in rialto le figure delle eroine bibliche.

Valori e Tradizioni così assoluti da apparire irreali e fuori dal mondo per l’estrema difficoltà a seguirne le orme, quando rappresentano il sacrificio individuale, o più percorribili, quando prevale istinto guerriero o improntitudine dal compimento di un alto ideale.

La sua predilezione si manifesta soprattutto nell’interpretare, con la propria immagine corporea, quelle storie nelle quali poteva riprodurre la propria vita e, quindi, le proprie rivendicazioni. Raccontare il suo dolore, il suo “spinoso” percorso esistenziale attraverso l’eroismo estremo di quelle figure; ritrarre la propria richiesta ad essere considerata persona a tutto tondo alla società del tempo innanzitutto e di quella a venire come monito ed insegnamento ai posteri, affinché le venisse resa la dignità che, brutalmente, le era stata tolta, ma che, con la grandezza del proprio lavoro artistico, già le restituiva autonomamente e… addirittura con forza titanica.

Pur nella varietà di soggetti e tematiche espresse dalla sua fertile e numerosa produzione pittorica, per le ragioni prima evidenziate, dobbiamo supporre che buona parte di questa sia stata elaborata per sua libera scelta o per sua personale indicazione alla committenza che a lei si rivolgeva per avere il privilegio di possedere le sue tele.

Solo in tal modo si può giustificare il fatto che tali tematiche, tali storie di eroine bibliche, corrispondano, per analogia, allegorie e simboli, agli eventi drammatici della vita dell’autrice stessa. Anzi, c’è da affermare, con certezza, che, in quelle opere ella comunque insiste nel “veicolare” alla conoscenza dei posteri, un suo giudizio personale o addirittura l’esecuzione figurata di una feroce condanna verso coloro che tanto male le hanno arrecato.

Espressioni culturali ed influssi sapienziali

Attraverso la rappresentazione pittorica si erge come donna capace di trasformarsi in “giustiziere” armato di spada. L’intera serie di opere ispirate al “tranciamento” della testa con tutte le implicazioni a livello simbolico, lo dimostra.

Varie versioni, anche alquanto numerose, della ‘Giuditta che taglia la testa ad Oloferne’, non sono solo dovute alla continua richiesta per la sublime resa pittorica o per la morbosità “sanguinolenta” del tema, visto sempre in relazione alla sua vicenda personale, ma anche all’insanabile ferita arrecata al suo corpo e alla sua anima; un atto che non riesce a dimenticare e con il quale convive, infiammandosi, di volta in volta, e, allo stesso tempo, producendo capolavori.

Ferocia vendicativa in Giuditta, dignità stoica e dolorosa in Lucrezia, condanna della lascivia quando riprende il tema giovanile, istintivamente profetico, del desiderio bruto in Susanna e i vecchioni.

Il suo sdegno sembra placarsi e nobilitarsi nel coraggio e nella Pietas di Ester che si presenta ad Assuero.

Ci sono, è vero, anche intervalli dovuti alla sua sensibilità di donna che nasconde nel profondo un’anima delicata, espressi nelle Estasi delle inclinazioni, nel riconoscere le vibrazioni delle altre Arti, come nei ritratti ed autoritratti con il liuto. Ma nell’arco della sua tormentata esistenza, le va anche riconosciuta la capacità dell’autoanalisi, dell’introspezione, espressa in una serie interminabile di autoritratti, a volte impietosi, perché crudelmente realistici e con le fattezze appesantite dagli anni.

Forse inconsapevolmente o per strana “rabdomantica” sensibilità, il suo operato artistico segue un intendimento culturale dell’Arte in senso subliminale, anche attraverso indirizzi “sapienziali” in voga o di riscoperta in epoca barocca.

Argomenti percepiti nei “cenacoli” e nei convitti in cui il rifarsi agli schemi dell’antichità classica ed ai soggetti biblici veniva visto come un percorso necessario a quella formazione dell’uomo che, per alcuni settori più “alti”, più “sofici”, passava come viatico per accedere ad un percorso iniziatico. Per Artemisia quelle “prove”, però, risultarono essere reali e soprattutto non volute.

Quel rifarsi a figure eroiche per una similitudine formativa è per noi, oggi, una consolidata metodologia dell’istruzione iniziativa, innestata nell’esplicazione ritualistica e le Iniziate, nel caso specifico, ne conoscono bene gli aspetti, perché, appunto, tale ritualità la praticano.

La realtà vissuta da Artemisia come Donna e come Artista oggi potremmo definirla una forma di perfezionamento bruto e forzato, condannandone, in maniera chiara e determinata, la violenza di quegli eventi inseriti in un’esistenza ineluttabile.

Una sorta di percorso fatto di progressioni “empiriche”, vissute da un’Adepta dell’Arte, suo malgrado, sulla verità tangibile della sua stessa carne. Ma ciò che ci riguarda come esistenze in cammino verso la forma più pura dell’Illuminazione, è ciò che dobbiamo vincere oggi, nella società umana contemporanea.

Per coloro che hanno fatto precise scelte di campo, il metodo iniziatico è la chiave, in quell’esemplificazione innestata nei simboli, nelle parole, nella ritualità di particolari Ordini, in quegli ambienti riconosciuti e canonici che cercano, a loro volta, la Gnosi e la Trasmutazione Spirituale.

Il nemico da vincere è quello stato plumbeo che condiziona tutti, nessuno escluso. Esso si oppone alla naturale Osmosi, all’Armonia del Mondo, tra i differenti “generi”, ma ugualmente anelanti alla pari e Vera Dignità Umana.

Autore Vincenzo Cacace

Vincenzo Cacace, diplomato all'Istituto d'Arte di Torre del Greco (NA) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato allievo di Bresciani, Brancaccio, Barisani, ricevendo giudizi positivi ed apprezzamenti anche dal Maestro Aligi Sassu. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1964, esponendo in innumerevoli mostre e collettive in Italia e all'estero, insieme a Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ugo Attardi, e vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali. Da segnalare esposizioni di libellule LTD San Matteo - California (USA), cinquanta artisti Surrealisti e Visionari, Anges Exquis - Etre Ange Etrange - Surrealism magic realist in Francia, Germania e Italia.