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Arte e Potere nella visione artistica di Caravaggio – II e ultima parte

2000
Scudo con testa di Medusa


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Nella prima parte della nostra analisi tra Arte e Potere nella visione artistica di Caravaggio avevamo concluso che occorre cercare di capire questo straordinario genio attraverso se stesso; proviamo ora ad avvicinarci, per quanto possibile, al suo originale linguaggio artistico.

Un titano, continuamente respinto negli inferi, costretto a vivere una breve esistenza in un abito di carne e pelle umana, un ribelle che vuole ardentemente riscattare la sua condizione sublime.

L’Arte è per Caravaggio lo strumento naturale, magistrale per acquisire il “potere” inteso come una magia del fare, per l’affermazione dell’essere; la possibilità di attuare totalmente quel “riscatto”.

In tutta la sua opera pittorica si avverte una cognizione dettagliata delle forme del potere con le quali l’artista intrattiene il dialogo anche nelle forme più critiche. Ed inoltre, si leggono, in maniera evidente, in questa sorta di schermaglia intellettuale, le sue metodologie di “aggiramento” riguardo ai temi imposti dalle committenze. Egli ne identifica le varianti nel potere spirituale al cui timone è la dottrina della Chiesa.

Ci sono le opere ispirate alle tematiche della dottrina richieste non solo dagli apparati dei governi, come quello ecclesiastico, ma anche dai suoi potentissimi prelati. Poi c’è il braccio armato del potere secolare, amministrato dagli stessi.

Ancora, c’è il potere della Legge Naturale, che egli esprime nelle cosiddette opere di “genere”, nelle scene della vita di popolo. Tutto ciò che racchiuso nel “Dominio” del mondo, il Dominion, si riflette nel tormento che gli infligge il potere dell’Arte che lui vuole e deve “imbrigliare” e che, invece, lo possiede totalmente.

Infine, ma non ultimo, perché lo accompagna da sempre, il potere dell’Ego, del narcisismo estremo della propria grandezza che si compiace del proprio tormento, del senso di una purificazione “a ritroso”. Ed, ad un certo punto, non tenta più di squarciare l’ombra, l’oscurità, illuminandola, ma cerca di penetrarla, lasciandosi avviluppare per rinascere nella luce di un’altra esistenza. Fa sua e vive come una scienza applicata, la dibattuta filosofia della “magia” naturale enunciata da grandi pensatori del suo tempo.

Ma lui, di questa concezione, è pioniere e sperimentatore; e non solo come artista nella virtualità delle sue immagini, ma va visto soprattutto come un vero e proprio Eternauta che affronta il periglioso “Viaggio kharmico” nelle “possibili” dimensioni esistenziali, con determinazione, e, allo stesso tempo cosciente della sua fragile umanissima carne.

È una specie di Ulisse, meno scaltro, perché si affida, rispetto ad un antico greco, a quindici secoli di cristianesimo, ma molto più addolorato come membro dell’umanità, un uomo che viaggia dentro il proprio Mare Interno e tra quei “marosi” affronta e combatte le mostruosità del proprio io.

Quando andiamo a leggere la sua esistenza, il suo approcciarsi al mondo attraverso le opere, scopriamo quegli aspetti “sensibili” che, invece, tutto il racconto “granguignolesco” a tinte fosche che se ne fa di solito si nasconde.

Al suo esordio egli ha timore anche a farsi chiamare Michelangelo per salvarsi dalle facili ironie e per non dare l’impressione di essere un vanaglorioso. Si presenta come Michele da Caravaggio e si mette in risalto come un pittor giovane, ma già maestro di “Malie” pittoriche.

Egli si offre con tutta la sua sapienza tecnica con gli “inganni” del mestiere di “costruttore” di illusioni visive, di artifici cromatici che rendono veritiere le “cose”, ad essere adottato, protetto dal potere dominante e non solo da quello economico.

In seguito tenterà anche di essere parte attiva dei privilegi del potere, cercando di avere l’investitura di Cavaliere nella sua fuga a Malta, inseguito, come sempre, dai suoi aguzzini. Maestro di “Malie”, dunque, e lo si vede nelle sue nature morte, nei ragazzi con i canestri di frutta, nei “bacchi”, nelle versioni del ragazzo morso dal ramarro, nelle scene di vita e di popolo, la buona ventura, i bari, i musici, il suonatore di liuto.

Ma questo genere, l’utilizzo di questa forma di ammaliamento, non è legata soltanto al periodo giovanile, continua anche in altre stagioni della sua vita, ogni volta che Caravaggio necessita di un lasciapassare, un passepartout

Dice un suo “bilioso” contemporaneo:

… il suo bel fare di pennello è infine un espediente che lo mette in salvo dalle conseguenze dei suoi atti sregolati, fuori dalle leggi e dai comandamenti che ogni buon cristiano è tenuto a seguire.

È un giudizio velenoso, espresso da un alto prelato sulla qualità dell’uomo, ma che non rende nessuna giustizia alla dignità dell’artista. Ma si sa, Caravaggio, protetto da “pochi” non ispirava simpatia a “molti”. Alla fine quei pochi divennero “pochissimi” ed i molti “moltissimi”.

Il potere della Dottrina

C’è sempre una presunzione che cammina per il mondo sulla quale è bene riflettere; essa fa credere che il seguire “pedissequamente” le istruzioni d’uso in ogni campo o settore ci metta al riparo anche dal giudizio negativo se abbiamo invece un “giusto” protocollo per recare sofferenza agli altri esseri umani. Un automatismo che ci inscrive come in una qualificazione “farisaica” tra coloro che compiono i giusti “uffici”, nella parte migliore della società.

Mentre sappiamo bene che, per completare i concetti di sapienza e conoscenza, dobbiamo saperli amalgamare con le capacità di tolleranza, umiltà, benevolenza, “rivoli” di quell’essenza universalmente chiamata Amore. Un errore che, quando è reiterato, diviene colpa, della quale sono responsabili proprio coloro che amministrano “freddamente” regole, dogmi e dottrine.

Chi vive nella “meccanica” semplicistica della funzione, tale errore lo commette sempre, perché non riuscendo a vedere la “trave nel proprio occhio”, non sa manifestare il sano beneficio del dubbio. L’errore è quello di credere che ciò che viene dispensato agli altri sia la legge. In realtà, si impartiscono dei “comandamenti” costruiti a “tavolino” e questi, molto spesso, sono in dissonanza completa con le leggi che, invece, si ispirano alla natura delle “cose”.

Una dottrina “costruita”, priva del senso del sacro, è tale quando pretende che l’uomo si conformi ad essa, mentre è proprio quella “costruzione” che dovrebbe conformarsi utilmente al bene di tutta l’umanità e non solo al privilegio di alcuni.

L’assunto evangelico “del Sabato che è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato”, viene fatto da Caravaggio in quel suo mettere in risalto la presenza degli umori e la fisicità stessa dell’uomo di popolo che entra suo tramite nella scena dell’Arte a pieno titolo.

Nell’opera caravaggesca è proprio la scena “dottrinaria” ad essere invasa da questa umanità dolente, dai piedi sporchi di terra e dalle mani callose. Caravaggio risponde alla committenza dottrinaria, sporcando di fango, abilmente, l’abito buono di quello o di quell’altro apostolo, divenuto, per opera della committente struttura ecclesiale, un “mero” ministro di dottrina e, quindi, da indossare al messaggio cristiano i “panni da lavoro” di un nuovo umanesimo, non paludato, non più formale, ma reale e salvifico.

La testa recisa, un incubo e… il potere secolare

La testa recisa della Medusa, Oloferne, la serie dei “Davide e Golia”, la decollazione del “Battista”, la serie dei teschi che corredano come “vanitas” i tavolini, gli scrittoi dei vari santi. Una “teoria” di teste mozzate accompagna l’opera caravaggesca. Tante teste umane, che, messe insieme, potrebbero formare una gigantesca natura morta, di quelle in cui Caravaggio eccelle in virtù pittorica.

Il potere taglia le teste, recide lo strumento del Pensiero alla base, toglie la vita, lasciando i corpi esanimi ed esangui. Ma uccidere non è mai una vera “vittoria”, infatti è sempre mutilata. Anche quando il gesto che recide è l’espressione di una legittimità, come nel caso di Davide e di Giuditta, la Pietas viene indirizzata “magnificamente” al vinto, al suo sangue versato, al prodotto di un sacrificio che, infine, dovrebbe, nel suo significato archetipale, purificare e fertilizzare il mondo.

E… Caravaggio allora che fa?

Egli si immedesima nella vittima sacrificale, si fa oggetto di quella Pietas, per riscuotere dal mondo, quell’amore, quell’attenzione che ritiene di non avere a sufficienza. Può sembrare a prima vista una reazione, un gioco infantile, ma non lo è affatto!

La stretta convivenza con la chimica della pittura lo ha fatto ammalare di “saturnismo”, il ritrovamento recente delle sue ossa la testimonia con l’alto contenuto di piombo; gli effetti venefici corrodono le sue membra e rendono “irragionevole” la sua anima, ma il suo spirito sente di dover emergere con un lascito, un’eredità, un messaggio all’intera umanità ed il tempo che gli rimane, appunto, si è ridotto all’osso.

Caravaggio dà le sue sembianze alla colpa punita, la testa di Golia ed Oloferne, alla vita che passa per lasciare la scena alla vita che si rinnova tramite un nuovo avvento messianico nella testa del Giovanni Battista. Cerca di far capire al potere della spada che niente può di fronte al cammino del pensiero, che l’Uomo è un uomo, ed ogni uomo è l’Uomo, cioè l’Umanità.

Per renderci conto di aver seguito un discorso corretto basta andare a vedere l’opera, il dipinto ‘Decollazione di San Giovanni Battista’ a Malta, nella cattedrale di La Valletta. In quest’opera, una delle ultime, Caravaggio “dichiara” proprio ciò, che questa verifica sostiene. Dice della testa recisa che è proprio la sua, scrivendo il suo nome, Michelangelo, con il sangue che scorre dal collo tagliato del “Battista”.

D’altronde, per esser ancora più convinti, affidiamoci alla nostra vista; palesemente, la testa del Golia, nelle varie versioni, è decisamente la sua. Il vecchio potere “filisteo” decapitato dal nuovo “davidico”, ma sempre del potere si tratta e dell’istaurazione di un’altra “dottrina”.

Un serpente che si mangia la coda? Forse uno dei serpenti, il più vitale, sfuggito dalla testa della Medusa, recisa da Perseo. Guardiamola bene nelle sue linee somatiche, non assomiglia, forse, ad un Caravaggio giovane e senza barba?

Non vuole egli, nel suo ardore giovanile, stupire il mondo, “pietrificare” l’attenzione di coloro che osservano le sue opere? Esercitare un “potere” sulle coscienze, illuminare, con il suo tocco, l’oscurità del mondo? Interrogativi che rimangono aperti, attualizzandolo in ogni tempo!

Il potere dell’Arte

Può sembrare un gioco di parole, ma nessun sistema di Potere si dimostra interessato alle “cose” che non hanno Potere. Nella visione di una realtà concatenata, anello dopo anello, sono molto poche, forse inesistenti, le “cose” ce non hanno potere, ma molte di queste vivono, “esistono” così nascostamente, che il Potere, nella sua “albagia” non le prende neppure in considerazione. Ma non è così per l’Arte.

Se l’Arte non racchiudesse in sé le caratteristiche di una forma di Potere non farebbe affatto impensierire un Potere Egemone, cioè quello che controlla il “sistema generale”. Questo è stato sempre, questo è stato ai tempi di Caravaggio. Questo modo di fare è ancora molto presente nel nostro Tempo, dove le ideologie di contrastanti “poteri” si appropriano, di volta in volta, delle vicende esistenziali, messaggio stilistico e filosofico, di artisti potenti in grado di accentrare l’attenzione culturale più massificata, come appunto Caravaggio.

Per rimanere dentro quel contesto di pensiero che si percepisce attraverso l’opera caravaggesca, dobbiamo renderci conto che, con la nostra ricerca, stiamo in realtà sintetizzando al massimo, parte delle innumerevoli risultanze che da esso pervengono. Siamo comunque lontani da quella risoluzione ideale che ci permette l’utilizzo, in termini chiari, di scienza applicata dell’insegnamento formativo che rappresenta il vero Potere dell’Arte.

Ogni opera dovrebbe avere una lettura singolare, perché ognuna di esse è l’angolazione visiva ed interpretativa di un dato e diversificato momento sul piano esistenziale. Dovremmo riuscire ad intravedere nel senso assoluto che il Daimon creativo non solo in un maestro come Caravaggio, ma in ognuno di noi, interagisce sul senso introspettivo, offrendo una straordinaria capacità, cioè il Potere di infrangere o di dissolvere le strutture confinarie del Dominion.

L’Arte è un potere, quello di essere, a seconda dei punti di vista, Coscienza ed anti-Coscienza, una sorta di cosmico buco nero in grado di assorbire quelle “cose” risanate, restituendole.

Forse è proprio questo il vero Potere e la vera Arte, quella della restituzione della Verità; che ha tolto a noi stessi per primi la benda dagli occhi, un atto nobile, appunto un atto d’Amore.

Il potere dell’Ego

L’artista che sente prepotentemente il “Dovere” della restitutio sa di essere un “chiamato” a dare, ed anche quando niente possiede, come bene materiale, non potrà esimersi dal donare la sua ricchezza vera al mondo, il suo talento, la sua anima, il suo spirito attraverso le sue opere, attraverso la sua Arte.

Il suo Ego impone la propria salvaguardia. Daimon e Dominion si fondono in un unico amalgama, l’energia propulsiva e produttiva, compressa in sé, che permette di affidarsi e credere nelle proprie capacità.

Tutto ciò va messo sull’altro piatto della bilancia, ma, al tempo stesso, rappresenta una radiazione che non controllata con giusta misura può portare alla follia ed alla perdizione. Lo “specchio” introspettivo deve essere sempre nitido sulla linea di confine tra realtà e specularità.

Narciso si specchia e non si accorge, guardando solo la sua figura, di ciò che c’è d’intorno; del sentimento del resto dell’Universo. Nel solipsismo, egli perde il potere di conoscere le “cose” del mondo. Ma, nonostante la sua “sregolatezza”, Caravaggio è sempre al limite della linea di confine, perché ad ogni trasgressione si accorge che il suo amalgama interiore non ha ancora ben dissolto il quantitativo del Dominion.

La “Critica” è divisa sull’attribuzione del Narciso. Ma c’è da fare una seria riflessione: se l’opera è di sua mano, l’equilibrio tra le due dimensioni è rispettato, così pure il rapporto tra immagine interiore ed esteriore, l’Arte come potere si esprime in questo equilibrio.

Se poi l’autore è un altro, non può essere che un pittore caravaggesco. L’Arte, influsso di Caravaggio tra gli artisti del suo e dei tempi a seguire, ha in conclusione dimostrato che quella pittura possiede un tale Potere da riflettere la sua immagine attraverso altri ed altri ancora, a dimostrazione che, infine, il reale potere è dimostrato dall’assioma che l’Uomo è un uomo e l’Uomo è l’Umanità. Così, Michelangelo Merisi da Caravaggio, uomo di luce anche quando si immerge nell’oscuro ignoto è Uomo d’Umanità.

Autore Vincenzo Cacace

Vincenzo Cacace, diplomato all'Istituto d'Arte di Torre del Greco (NA) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato allievo di Bresciani, Brancaccio, Barisani, ricevendo giudizi positivi ed apprezzamenti anche dal Maestro Aligi Sassu. Partecipa alla vita artistica italiana dal 1964, esponendo in innumerevoli mostre e collettive in Italia e all'estero, insieme a Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Ugo Attardi, e vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali. Da segnalare esposizioni di libellule LTD San Matteo - California (USA), cinquanta artisti Surrealisti e Visionari, Anges Exquis - Etre Ange Etrange - Surrealism magic realist in Francia, Germania e Italia.